L'analisi di Roma-Milan: le mosse di buon senso dello stratega Ranieri
La più bella lezione che l’allenatore della Roma ha lasciato è una rivoluzione pure per Coverciano: se la gentilezza ha la meglio su tutto

(GETTY IMAGES)
Manca ancora un passo e poi sarà tempo di bilanci. La fantastica impresa di riportare la Roma in Europa è comunque compiuta, resta da capire se si potrà raggiungere addirittura la Champions League - e lì il grado degli aggettivi dovrà necessariamente salire fino alle iperboli toccate con la vittoria del Leicester in Premier League - se ci si ripresenterà in Europa League o se ci si dovrà “accontentare” della Conference. Di sicuro la Roma di Ranieri ha preso una forma tattica ormai riconoscibile uniformata in qualche modo al pensiero di tutti gli allenatori che si sono susseguiti in questi anni a Trigoria, quasi tutti invariabilmente passati dalla difesa a quattro a quella a tre, nella convinzione che solo così si potesse raggiungere quell’equilibrio necessario per non esporsi troppo agli avversari, soprattutto in fase di transizione. L’unico che ha provato per la maggior parte del tempo ad insistere sulla linea a quattro è stato proprio De Rossi che però, per paradosso, si era convinto a passare a tre proprio alla vigilia del suo esonero. Chi può, dunque, confutare tanti tecnici diversi se alla fine si sono ritrovati tutti o quasi concordi nella soluzione più conservativa, come se con la rosa media di questi anni non si potesse fare diversamente?
A quattro per attaccare
Una chiave di lettura piuttosto significativa sta nel fatto che quasi sempre, soprattutto con Mourinho, ma anche con Ranieri, nei secondi tempi di partite non ancora sbloccate la scelta tattica più aggressiva è stata proprio quella di mettersi a quattro rinunciando a un centrale oppure trasformando il braccetto destro in terzino (quasi sempre abbassando dall’altra parte Angeliño). Segno evidente che nella testa degli allenatori, una Roma più spregiudicata e meno coperta in difesa si poteva rischiare solo quando c’era da recuperare qualcosa, ma non dall’inizio. L’unico che abbia cercato di imporre quella mentalità nel DNA della squadra è stato proprio De Rossi e per un po’ i risultati sono stati pure dalla sua parte, almeno fin quando è riuscito a coniugare lo spettacolo di una squadra aggressiva ai risultati. Ma il passato è passato e non torna indietro. Semmai la partita vinta con il Milan può dare l’opportunità di poggiare altri discorsi su considerazioni diverse. Stavolta, infatti, nonostante la superiorità numerica e un risultato ancora inchiodato sul pareggio, Ranieri all’intervallo non ha fatto la mossa che ci si poteva aspettare: quella cioè di cambiare la forma tattica della sua squadra, magari rinunciando a un centrocampista e attaccando il Milan, ridotto in 10, con il 4231, per esempio inserendo un trequartista alla Baldanzi alle spalle di Shomurodov a scapito di un Cristante o di un Paredes. Eppure, ancora una volta, ha avuto ragione Ranieri. Ecco perché.
La coperta corta
Ranieri lo ha fatto capire nella conferenza di fine partita, anche se non è stato sollecitato direttamente sulla questione tattica. La sua preoccupazione è stata rivolta per tutto il tempo alla qualità dei giocatori offensivi del Milan. Non se l’è sentita, insomma, di rinunciare a un filtro in mezzo al campo sin dall’inizio della ripresa, ma probabilmente sarebbe stato pronto a farlo qualora la situazione dal punto di vista del risultato non fosse migliorata nei primi minuti. Ecco invece che la fantastica punizione di Paredes al 12’ gli ha dato ancora una volta ragione. L’argentino poteva essere uno di quelli da sostituire alla ricerca magari di un assetto più offensivo, ma il tecnico non ha voluto rinunciare alla sua qualità che si è liberata in tutta la sua evidenza proprio in occasione del calcio di punizione. Oltretutto, per un po’ Conceição non aveva cambiato l’assetto, nonostante l’inferiorità numerica, restando con la struttura con tre difensori e quattro centrocampisti, abbassando un po’ il proprio baricentro chiedendo a Felix e Pulisic il maggior sacrificio in fase di non possesso delle pressioni sui difensori avversari. A un certo punto, però, dalla panchina del Milan è arrivato un impulso differente e con i cambi al 18’ la struttura è cambiata: 441 con qualche assunzione di rischio in più (Musah e Pavlovic terzini di fascia) e Leao esterno di centrocampo, con un centravanti come Jović, unico riferimento offensivo. Lì sono partiti conciliaboli tra Ranieri e collaboratori e a più riprese sono state ipotizzate soluzioni in risposta, con i vice del tecnico romanista a far la spola tra la panchina e la zona del riscaldamento per avere tutta la situazione sotto controllo, fino alla scelta al 32’: fuori Paredes e Soulé, dentro Gourna-Douath e Rensch, senza cambiare assetto. Ma Svilar ha rischiato lo stesso quando Leao gli si è parato davanti. Quella della Roma di questi anni, insomma, è stata sempre una sorta di coperta corta che nessun tecnico è riuscito ad allungare, per poter garantire la giusta impermeabilità a fronte di una propensione offensiva che comunque è nelle caratteristiche dei giocatori che sono transitati a Trigoria in questi anni. A chi toccherà il prossimo tentativo?
Mancini da Nazionale
Tornando alla partita con il Milan, la differenza l’ha fatto ovviamente la sciocchezza di Gimenez, una specie di Superman che vede Mancini come la cryptonite. Il messicano in questi anni è stato spesso “bullizzato” dal difensore romanista, uno che ha comunque raggiunto livelli di rendimento tali da rendere ancora difficilmente differibile la sua convocazione in nazionale. Anche in parità numerica la Roma era partita bene, aggressiva e propositiva, soprattutto puntando sulle giocate di Soulé e Saelemaekers, ma aveva anche corso qualche rischio sulle improvvise folate offensive in gran velocità dei più tecnici tra i giocatori del Milan. Poi però si è rilassata e si è fatta cogliere impreparata nell’azione del gol milanista. L’ultima considerazione ci viene suggerita dalle modalità attraverso le quali Ranieri ha costruito il proprio rapporto con i giocatori, come emerge sempre più spesso proprio dalle confidenze dei diretti interessati. Quando raccontano i pregi maggiori del tecnico, i romanisti non fanno riferimento né alla strategia tattica né a particolari invenzioni tecniche, ma soprattutto alla gentilezza e al buon senso che l’allenatore ha mostrato ad ognuno di loro nel corso di questa avventura. Non lo dimentichino tutti gli allenatori più o meno affermati che pensano di poter imporre le proprie mirabolanti strategie attraverso urlacci e prese di posizione dittatoriali. Non è un caso se, tanto per restare alla sfida di domenica sera, Ranieri con i suoi modi ha rivoluzionato la Roma ottenendo questo fantastico record di punti nel girone di ritorno mentre Conceicao, con i suoi metodi netti e sbrigativi, ha ulteriormente affossato le ambizioni del Milan. Ma, purtroppo, queste cose a Coverciano non si insegnano.
© RIPRODUZIONE RISERVATA