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L'analisi di Roma-Fiorentina 1-0: la sconfitta non esiste è il segreto di Ranieri

Un’altra fantastica rincorsa: il tecnico deve essere riuscito a trasmettere alla squadra la serenità di chi non vive i ko come un tormento

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
06 Maggio 2025 - 07:00

L’ha fatto di nuovo. Ancora una volta la Roma mette il muso davanti (corto, nella circostanza cortissimo) e ancora una volta dopo aver deliberatamente deciso di difendere quel golletto striminzito segnato a fine primo tempo lungo tutto l’arco del secondo, riuscendovi, ancora una volta. Otto gol segnati in otto partite, sei vittorie e due pareggi, venti punti sommati. Ma esattamente dove finisce la sapienza e comincia invece l’incidenza del destino? Quanto incide su una vittoria un portiere insuperabile? E quanto è possibile con questi presupposti ottenere ogni volta il risultato più voluto riuscendo persino a capire quando è opportuno non spingerti oltre e accontentarti magari di una parte della posta in palio, se una vocina interiore ti consiglia di non mettere a rischio anche quella porzione di gloria che quel giorno magari puoi ottenere? È il fascino eterno del calcio, quello che consente a chiunque di avere una risposta anche se ha visto la sua prima partita l’altro ieri. Perché se avessero chiesto ai cento maggiori competenti mondiali della materia calcistica riuniti la sera del 15 dicembre quante possibilità volessero riconoscere alla Roma di entrare a fine stagione tra i primi quattro posti della classifica, nessuno ne avrebbe concesse. Ma di sicuro in qualche tavolino di un bar di periferia avrà certamente espresso il suo vaticinio quell’amico un po’ suonato che solitamente ascoltiamo solo per farci quattro risate: «Vedrete che la Roma lotterà fino all’ultima giornata per arrivare in Champions League». Ma sì, certo, come no, dai, fatti un altro goccetto e raccontaci di quella volta in cui hai rischiato di diventare presidente degli Stati Uniti. E invece l’amico pazzo aveva ragione e i 100 esperti oggi stanno lì a domandarsi per quale motivo non siano riusciti a considerare possibile il miracolo.  E qui torniamo alla domanda iniziale: quanto c’è di casuale in quello che sta combinando la Roma, anzi, Claudio Ranieri? Quanto hanno ragione i tecnici che affrontano la Roma e che poi arrivano in sala stampa ancora pieni di adrenalina per l’occasione perduta e ringraziano invariabilmente i loro giocatori per l’impegno e per aver dimostrato che in fondo il risultato è solo un dettaglio e che avrebbero meritato miglior sorte? Ed è davvero così, avrebbero davvero meritato di più? Oppure anche Palladino e la Fiorentina non sono che gli ultimi ad essere caduti nella trappola di quel filibustiere di 73 anni e 1000 panchine che conosce così bene la sua materia tanto da maneggiarla come pochi altri sanno fare? 

I complimenti di Bilbao

A queste domande non sarà mai possibile dare una risposta certa. Ci si può solo dividere per fazioni e per partiti, tra un po’ sarà tramontata pure l’era dei giochisti e dei risultatisti, anche se è più facile che nel nostro ambiente ci si divida tra amici (su Instagram è un florilegio di giornalisti che vantano amicizie inossidabili, anche se raramente nel profilo corrispondente emerge la reciprocità) e nemici, magari quelli che non ci rispondono al telefono. Ma la ricetta per vincere le partite, qual è, ammesso che ne esista una? Ognuno ha la sua, quel che è certo è che Palladino avrebbe lasciato molto volentieri i complimenti all’avversario in cambio dei tre punti. Ranieri professa il suo calcio semplice senza mai dare l’impressione di volersi ritagliare un posto tra i docenti all’università del calcio. A lui non interessa insegnare, semmai vincere le partite e ottenere i traguardi che gli si schiudono davanti, che si tratti di una salvezza insperata, di una Champions quasi impossibile da raggiungere o addirittura di un titolo assoluto pur partendo da una posizione decisamente di retroguardia. Ha una forza che gli altri non hanno: se ne frega delle sconfitte. Sì, letteralmente. È talmente sereno nell’animo che non vive la sconfitta, come la maggior parte dei suoi colleghi, come uno smacco professionale che investe e travolge spesso anche la sfera personale, fino ad intaccare ogni certezza. Ranieri non rosica, anzi, riconosce spesso i meriti degli altri quando l’hanno appena battuto, come accadde a Bilbao, quando riuscì nell’impresa di fare i complimenti all’arbitro e all’allenatore avversario che lo aveva appena ingiustamente eliminato, trovando persino il tempo di rifilargli il proprio biglietto da visita per sentirsi successivamente di persona. Uno così diventa imbattibile. Quando  vince vince, quando perde il problema è degli altri. E questa serenità riesce a trasmetterla evidentemente anche ai suoi giocatori. Questo è forse il suo vero segreto. Ed è di conseguenza il motivo per cui il meglio di sé lo dà quando il peso della sconfitta incombe sul gruppo dei giocatori di cui lui all’improvviso assume il controllo. Con il suo modo di fare rassicurante, con i suoi occhi limpidi, con la sua genuina visione del mondo (quel mondo per cui Soulé non deve fare troppi tocchi, Pellegrini deve rimanere più in piedi, Dovbyk deve sorridere di più, dove Hummels e Paredes sono giganti che però se non fanno quello che dice lui scompaiono dai radar, dove l’assenza di Dybala realmente non è un dramma, ma una nuova sfida, ecc. ecc.), è capace di far ragionare tutti con la sua testa. 

Il lavoro per sottrazione

Se poi la vogliamo mettere solo sul piano tattico, anche qui zio Claudio lavora per sottrazione più che per addizione. Ogni tanto trovo una formula che funziona, tipo le pressioni alte sui braccetti avversari con le mezze ali: è stata la chiave di volta per affrontare l’Inter a Milano, togliendo spazi e tempi conosciuti ai nerazzurri, ed è stata riproposta con la Fiorentina. Però a un certo punto i giocatori hanno cominciato ad andare a vuoto, le pressioni non funzionavano e in questi casi piuttosto che insistere e magari aumentare la frustrazione, è meglio cambiare, sottrarre, riconoscere la bravura dell’avversario («Noi volevamo pressare alto, ma la Fiorentina ci ha mandato a vuoto») e difendere più bassi. Nel primo tempo Roma-Fiorentina è stata una partita: il possesso era a vantaggio della Roma 52% a 48%, i gol attesi 0,42 a 0,41, i tiri 7 a 6, gli angoli 4 a 1, nella ripresa, con il vantaggio del gol conseguito a fine tempo, il possesso è stato 30% a 70%, gli xg 0,20 a 0,56, i tiri 5 a 7. La partita nel secondo tempo è stata annunciata dal cambio di Pellegrini con Pisilli (più prosa, meno poesia) e poi condotta attraverso la resistenza all’urto avversario con un blocco basso, quasi inscalfibile. E se poi si apre uno spiffero a richiuderlo, pensa Svilar. Un altro punto di forza su cui Ranieri costruisce le sue vittorie. Così l’ennesimo miracolo è compiuto.

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