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Lazio-Roma, Cassetti: "Quel gol ha inciso il mio nome nella memoria dei tifosi"

Intervista all'ex terzino giallorosso: "Ancora oggi mi ricordano la rete del 2009: mi ha cambiato la vita. Ricordo ogni istante di quell'azione"

L'esultanza di Cassetti dopo il gol alla Lazio, di Mancini

L'esultanza di Cassetti dopo il gol alla Lazio, di Mancini

26 Febbraio 2019 - 10:28

All'improvviso l'apoteosi. Il 6 dicembre 2009 quel gol è uno squarcio di luce nel cielo scuro di una notte che rischiava di essere anonima. Mentre ha una firma scolpita nella Storia, quella di Marco Cassetti. Il numero 77 che al minuto 77 innesca la rivoluzione punk del terzo millennio. Nome e cognome riecheggiano anche dopo dieci anni: «Ancora oggi mi fermano in strada e me lo ricordano», ammette lui, con un tono sospeso fra l'orgoglioso e il divertito.

Ti avranno citato quel derby decine di volte.
«Decine? Centinaia almeno. Da quel giorno la mia vita è cambiata, inutile negarlo».

Mica ti sarà venuto a noia?
«Ma no, ci mancherebbe. Mi ha segnato ma in positivo. Il gol ha inciso il mio nome nella memoria dei tifosi, un vero onore».

I calciatori non sempre ricordano le proprie azioni a distanza di anni. Tu?
«Come no. Ho fermato al limite della nostra area Kolarov - che allora giocava con loro - l'ho data a Brighi che ha aperto per Riise, da lui a Francesco, dopo un contrasto con un avversario la palla è tornata a Brighi che mi ha pescato dentro, l'ho girata a Vucinic sulla destra, che me l'ha ridata e ho tirato».

Ricordi ogni dettaglio.
«Anche i pensieri di quegli attimi: quando Mirko aveva palla, ho visto un buco dove infilarmi nella loro area e mi sono detto "Vediamo come va", poi ho colpito come sapete, ma è andata bene».

E quella singolare esultanza?
«Non sapevo dove andare. La prima idea era di correre sotto la Sud, poi ho visto un'infinità di cartelloni pubblicitari e mi sono bloccato».

Uno lo hai buttato giù.
«Ero come in trance, felicissimo ma confuso. Poi ho avuto un momento di lucidità che mi ha fatto fermare: era importante portare a casa i tre punti».

Non capitavi spesso in zona gol: come mai eri lì?
«Giocavamo male, non coprivamo come avremmo dovuto la zona offensiva. Totti e Vucinic erano un po' defilati rispetto al solito e ne ho approfittato per inserirmi».

Prima però segnavi spesso.
«Occupavo posizioni differenti: a Verona ero mezzala o laterale in un centrocampo a 5. A Lecce Delio Rossi mi schierava esterno alto».

A Roma sei tornato terzino.
«Non c'era bisogno di giocare avanti con quei fuoriclasse che avevamo. Però qualche golletto l'ho fatto anche qui, dai».

Uno in particolare: che è successo dopo nello spogliatoio?
«Sono rientrato più tardi rispetto agli altri per le interviste di rito e mi hanno accolto con grandi festeggiamenti. Indimenticabile».

Totti e De Rossi in particolare?
«Daniele mi ha travolto già al fischio finale: ero fermo in mezzo al campo e mi è saltato in braccio, facendomi finire a terra, era in preda all'estasi. Francesco mi ha fatto qualche battuta delle sue, ma non ricordo le parole precise».

Al ritorno rimasero fuori entrambi nell'intervallo.
«Mamma mia, eravamo tutti sbalorditi dalla decisione di mister Ranieri. Ma forse ha contribuito a responsabilizzarci: da quel momento in poi guidavamo da soli».

Ed è andata bene.
«Benissimo. Soprattutto per come era iniziata: già sotto, con un rigore contro procurato da me su Kolarov, che già all'epoca faceva la famosa finta col tacco. Purtroppo ci sono cascato, per fortuna ci ha salvato Julio Sergio e Mirko l'ha ribaltata».

I derby erano spesso della Roma allora, come lo sono di recente. È un bene o un male?
«Quello deciso dal mio gol è stato il primo della serie. Sono state stagioni piacevoli da quel punto di vista, ma non bisogna mai sentirsi superiori, nemmeno quando si è oggettivamente più forti. I derby vanno vissuti uno alla volta, senza pensare a quelli passati».

Quindi non credi alla storia che la squadra che arriva peggio alla gara sarebbe favorita?
«È una leggenda metropolitana. Vince chi ci mette maggiore intensità e cattiveria. Se queste non mancano, i valori emergono».

E questa volta chi delle due arriva meglio alla sfida?
«Loro mi sembrano sempre gli stessi: più regolari contro le squadre di bassa classifica, mai vincenti con quelle davanti. Ovviamente facciamo tutti i debiti scongiuri».

Da ex terzino destro, schiereresti Florenzi o Santon?
«Santon all'andata ha giocato molto bene, ma credo giochi Florenzi. A Frosinone ha riposato anche perché diffidato, ora dovrebbe toccare a lui. Anche se nessuno in questa fase dà sensazione di affidabilità, non per colpe proprie, ma di tutta la squadra».

La difesa ti convince?
«Non mi convince l'intera fase difensiva. La Roma attuale mi sembra disattenta, poco solida».

C'è anche un dubbio sulla presenza di Manolas.
«Sarebbe una grave perdita se non riuscisse a recuperare. Sui recuperi in velocità il greco è indispensabile, anche perché loro tendono a verticalizzare su Immobile. Non ci sono elementi in rosa con caratteristiche simili alle sue».

Tu che scelta faresti?
«Non è semplice. Jesus mi sembra il più veloce fra gli altri difensori, ha fatto anche bene quando è stato chiamato in causa, ma ora è fermo da un mese e mezzo. L'importante è concedere pochi spazi».

Per farlo è necessaria la presenza di De Rossi?
«Daniele in campo fornisce un altro tipo di copertura, ma suppongo che non possa giocare due gare fondamentali come derby e Champions a distanza così ravvicinata».

In quale ti sembra più importante far giocare il Capitano?
«Mi verrebbe da dire con il Porto, che decide un passaggio ai quarti di Champions. Ma è anche vero che una vittoria nel derby sarebbe un gran segnale per la qualificazione a quella del prossimo anno».

La Roma può raggiungerla?
«Ha trovato una discreta serie, ma nonostante i risultati non mi dà certezze. Il calendario è stato benevolo ma le ultime due gare sono state preoccupanti».

Gli avversari stanno meglio?
«Il Milan sì: ha entusiasmo e i nuovi stanno funzionando. L'Inter ha ridotto il suo vantaggio per i problemi di spogliatoio, che non mi sembrano di facile risoluzione».

E contro il Porto?
«Sono più ottimista. In Champions siamo un'altra squadra. Paziente, matura, intensa, solida. La Roma che vorrei vedere sempre».

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