Interviste

Cufrè a Radio Romanista: «Roma, la mia vita»

L’intervista nel podcast 'S.R.Q.R.": «Ci sono un prima e un dopo la squadra giallorossa. Incredibile il derby delle 11 vittorie consecutive. Che rabbia con la Juve... La famiglia Sensi speciale»

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Alessandro Cristofori
29 Dicembre 2025 - 08:00

Leandro Cufrè, non è stato un goleador e neanche uno di quei giocatori che incantano il pubblico con un passaggio filtrante o con un colpo di tacco. È stato però uno vero, che ha dato tutto quello che poteva ogni volta che ha indossato la maglia della Roma. Un argentino che non ha dimenticato quei colori che per lui rappresentano “il momento più bello della mia vita” ed era naturale quindi ascoltare la sua voce in “S.R.Q.R. – Sono Romanisti E Quasi Romani”, il podcast di Radio Romanista, disponibile sia nell’app dell’emittente che in tutte le piattaforme streaming.

Che cosa ricordi della trattativa che ti portò alla Roma?

«Arrivai in un momento particolare, l’estate del 2001, con la città in festa per lo scudetto appena vinto. Accadde tutto molto velocemente perché mi chiamò il procuratore di Walter Samuel che mi comunicò l’interesse del club. Lassissi si era infortunato nell’amichevole di presentazione contro il Boca Juniors e a Capello serviva un difensore, mancavano due giorni alla fine del mercato, feci in tempo a giocare il derby con la mia ex squadra, il Gimnasia La Plata e poi presi l’aereo perché le società avevano già fatto tutto. Ricordo che quando atterrai all’aeroporto rimasi sorpreso nel vedere dei tifosi che erano lì per me oltre a tante altre persone del club o giornalisti».

Come in ogni puntata di “S.R.Q.R.” all’intervistato vengono fatti ascoltare degli audio che ripercorrono la sua carriera romanista. Stagione 2005-2006: Fiorentina-Roma 1-1, il primo gol in campionato con la Roma.

«Fu una partita molto difficile in cui segnai il mio primo gol in campionato con la Roma, proprio nel giorno della mia centesima partita. Era uno spareggio Champions e fortunatamente questo gol evitò una sconfitta (la Roma arriverà quinta in campionato ma si qualificherà in Champions League dopo le sentenze di Calciopoli, ndr). Una bellissima emozione anche perché questa gioia immensa la provai sotto la nostra curva».

Il rapporto con De Rossi?

«Daniele è la Roma così come Totti, Bruno Conti o Giannini. Lui per me è un amico che è sempre presente nella mia vita, è una persona stupenda. Nel 2019 allenavo l’Atlas de Guadalajara in Messico e sapevo che gli sarebbe piaciuto provare un’esperienza in un campionato diverso da quello italiano. Perciò lo contattai per ingaggiarlo prima che andasse al Boca Juniors. Purtroppo, però non se ne fece niente».

Molti anni prima che De Rossi smettesse di giocare, avevi indicato per lui un futuro da allenatore.

«Certo, Daniele progettava di fare questo lavoro fin da giovanissimo ed era infatti un allenatore-giocatore già all’epoca. Sono sicuro che avrà una grande carriera, anche soltanto per la passione che mette in tutto quello che fa. Ha allenato la Roma molto bene e spero che un giorno possa tornare a casa».

Stagione 2005-2006: Lazio-Roma 0-2, il derby che segnò l’undicesima vittoria. 

«Undici vittorie consecutive è qualcosa d’incredibile. In quel momento era veramente un record molto importante che purtroppo l’anno dopo fu raggiunto e superato dall’Inter che però aveva una rosa infinita. Noi eravamo un gruppo stupendo che seguiva in pieno le indicazioni di Spalletti ma tutto era possibile grazie al rapporto che si era creato tra noi calciatori. In realtà non cominciammo bene la stagione ma poi un po’ grazie alle qualità che avevamo, ma soprattutto alla grande compattezza, riuscimmo a riprenderci e a fare quella striscia che continuo a ritenere non normale».

Hai parlato di un gruppo unito, davate l’impressione di essere una comitiva di amici che si ritrovava la domenica per giocare una partita. Era questo il vostro segreto?

«Assolutamente sì, io uso il termine famiglia perché noi eravamo questo. Andavamo a cena o in vacanza insieme e anche nei giorni in cui non c’erano allenamenti, spesso ci vedevamo per andare da qualche parte. Quindi condividevamo sia lo spogliatoio che la vita fuori dal campo. Quello è stato un anno magico e almeno io, non ho mai più ritrovato un’atmosfera del genere».

Stagione 2004-2005: Roma-Juventus 1-2, lo schiaffo a Del Piero.

«Sono cose che in campo possono succedere, soprattutto se uno gioca con il cuore e mette tanta passione. La mia però è stata una reazione, non mi è piaciuto farlo e infatti non ho mai commesso una cosa del genere in tutto il resto della mia carriera, non voglio giustificarmi ma so perché l’ho fatto».

C’è mai stato un chiarimento con Del Piero?

«No, e non mi interessa farlo».

Quella partita finì anche nell’inchiesta “Calciopoli”: l’arbitraggio di Racalbuto condizionò fortemente la partita, addirittura Montella disse al guardalinee “Non puoi vedere solo bianconero”.

«Ti assicuro che in campo si avvertiva perfettamente che ci fosse qualcosa di strano. L’arbitro fischiò un rigore su Zalayeta per un fallo avvenuto un metro fuori area e    convalidarono un gol di Cannavaro in fuorigioco. Mi dispiace essere così netto ma quella sera provai solo schifo. Era impossibile giocare perché quella squadra, che non voglio neanche nominare, doveva vincere per forza e noi in campo lo avevamo capito benissimo. Quella partita non avremmo mai potuto vincerla, perché dovevano essere loro a portarsi a casa i tre punti e fecero di tutto per indirizzare la gara. La partita è stata rubata, c’è poco da aggiungere».

C’è anche un altro episodio di cui ti volevo chiedere: Champions League 2001/2002, Roma-Galatasaray. Nel finale c’è una rissa in cui viene coinvolto soprattutto Lima però qualche anno fa tu tornasti sull’episodio dicendo che quel giorno “avevamo difeso casa nostra”. Ci puoi dire cosa accadde negli spogliatoi?

«Beh, finimmo per pareggiare e quindi andammo a compromettere la qualificazione nel girone. Tutto nasce per un episodio che coinvolse Batistuta a fine partita quando ebbe un diverbio con alcuni di loro. Poi nel sottopassaggio Gabriel si è trovato da solo e noi abbiamo cercato di difenderlo, soltanto questo. Poi si sono spente le luci e non mi ricordo più niente (ride, ndr)».

Il rapporto con Spalletti e l’addio alla Roma.

«Noi avevamo fatto una bellissima stagione dove si era formato un gruppo splendido che era riuscito a vincere undici partite consecutive, disputando anche la finale di Coppa Italia. C’era un clima bellissimo ma ci rimasi male quando Spalletti dichiarò che riteneva Mexes come l’unico incedibile tra i difensori. Mi sentii offeso e da lì comincia a prendere in considerazione un’altra destinazione».

Provasti a chiarire con lui?

«Sì e lui mi disse che non dovevo reagire così ma ormai l’avevo presa sul personale. Non fece piacere a nessuno ma credo soprattutto a me perché poi quando a fine mercato arrivò la proposta del Monaco l’accettai subito. Fu una scelta fatta di pancia che a distanza di tempo non ripeterei, gestendo quella situazione in maniera diversa. Avevo ancora tre anni di contratto e a Roma stavo benissimo però sentir dire dopo quella stagione che solo Mexes, che era comunque fortissimo, fosse indispensabile mi fece male. Io però non ero convinto di andarmene e infatti la mia esperienza in Francia non andò benissimo e questo insegna che a volte è meglio riflettere di più. Spalletti, comunque, al di là di questo episodio è stato il tecnico che mi ha più segnato nella mia vita calcistica e soprattutto adesso che ho intrapreso la carriera da allenatore, cerco di ispirarmi a lui per alcune cose in particolare».

Cos’è la Roma per Leandro Cufrè?

«La Roma è la mia vita. Per me esiste un prima e un dopo la Roma, quando qualcuno mi nomina questa squadra mi fa brillare gli occhi. La squadra, la città e i tifosi rimarranno sempre nel mio cuore. E poi mi permetti di fare due saluti?».

Certo.

«Oltre a salutare affettuosamente tutti i romanisti voglio mandare un abbraccio particolare alla famiglia Sensi».

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