Nicola Piovani: «Romanisti si diventa. Da piccoli»
Il pianista e compositore italiano a Il Romanista: «Gasperini può rimpinguare la bacheca. Mi piace questa squadra pensata sulla collettività di gioco»
(IPA)
Una vita in musica, non solo da scrivere e dirigere, ma soprattutto da ascoltare a casa e dal vivo. Nicola Piovani, il grande compositore premio Oscar con Roberto Benigni e autore di colonne sonore per Fellini, Nanni Moretti, Monicelli, Bellocchio, i fratelli Taviani, aprirà il nuovo anno il 2 gennaio a Santa Cecilia riportando in scena “I viaggi di Ulisse”, suoni, parole, attori dal vivo e i disegni di Milo Manara. Super tifoso giallorosso e orgoglio della città che rappresenta nel mondo con la sua arte, ha accettato con entusiasmo questa intervista per “Il Romanista” nonostante una fastidiosa influenza.
Maestro, con tutto quello che sta accadendo nel mondo di questi tempi forse è più facile viaggiare con la mente.
«Riprendo uno spettacolo che amo molto, soprattutto il personaggio di Ulisse che a distanza di millenni, non finisce di affascinarci e di stupirci. Il viaggio, anche metaforico, è ricchezza di pensiero, desiderio di conoscenza, voglia di sperimentare quel che non conosciamo. Sennò diventa solo turismo».
Perché nello spettacolo Ulisse ha il volto di Pier Paolo Pasolini?
«Quando Milo Manara ed io abbiamo cominciato a pensare questo spettacolo, ci siamo trovati sull’aspetto che più ci appassiona di questo personaggio: la curiosità. La curiosità in senso lato, culturale ovviamente. E secondo noi Pier Paolo Pasolini incarna più di altri l’intellettuale curioso di sapere, di varcare i limiti, di spingersi a rischiare. Lui è un grande Ulisse del Novecento».
“Andrà tutto bene”, così si diceva durante la pandemia. C’era chi pensava che quanto è accaduto ci avrebbe uniti e invece forse ci ha divisi ancora di più.
«Non credo. Ma è vero che l’abuso di social, telefoni, tablet sta spezzettando la comunicazione e la riflessione. A tutto vantaggio della comunicazione pubblicitaria. Tutto tende a somigliare a uno spot».
“La vita è bella” racconta la straordinaria capacità di un padre di far navigare il figlio attorno agli orrori del nazismo. Tanti dicono che siamo di nuovo sull’orlo di una guerra mondiale.
«Spero che non sia così, spero che riacquisteremo la capacità di guardare gli avvenimenti con attenzione. Ma anche su cose di questa rilevanza, temo domini il pro-contro, il si-no. Vedo tante persone che giudicano i crimini a seconda del fronte a cui appartengono. Un bimbo di Kiev vale un bimbo di Gaza».
Anche per la cultura intesa come musica, arte, scrittura, cinema, teatro sono anni complicati. La comunicazione di massa invece che aprire alla riflessione e al confronto, ha diviso la gente in posizioni dogmatiche: perché?
«Forse perché è il tempo del pensiero binario, del sì o no, del pro o contro, del bello o brutto. Il pensiero recede a favore del giudizio. Ci piacciono tanto le pagelle, ci sentiamo tutti giudici. Così perdiamo le sfumature, il dubbio, la complessità. Giudizi netti, sia che si parli di Greta Thunberg che di Lorenzo Pellegrini. E, mi scusi se mi ripeto, questo dipende dalla presenza invasiva della pubblicità».
C’è un film tra i tanti dei quali ha composto la colonna sonora a cui è particolarmente legato?
«Sono tanti, ma quando passeggio per Roma sono molto contento di aver scritto la musica de Il Marchese del Grillo».
E un film del quale avrebbe voluto scriverla?
«Un film che non ha avuto molto successo e che mi ha commosso profondamente quando l’ho visto: “Anche libero va bene” di Kim Rossi Stuart».
Romanisti si nasce o si diventa?
«Si diventa, ma da piccoli. Io avevo sette, otto anni quando andavo in missione a scrivere col gesso sui muri Forza Roma! Non avevo ovviamente mai visto una partita, manco in televisione. Non ne sapevo niente. Ma ero già romanista in modo incancellabile. E quando passavo per la vicina via Tunisi camminavo con una certa apprensione perché, dicevano, era “piena de’ laziali”».
A maggio lei compirà 80 anni, il bilancio della sua vita umana e professionale è quello che si sarebbe aspettato?
«È un bilancio in credito, non certo in debito. Ho avuto dalla fortuna più di quello che avevo messo in conto. Sul piano del lavoro e su quello degli affetti privati. Certo… qualche scudetto in più alla Roma non ci stava male!».
C’è una Roma o un giocatore della Roma cui è particolarmente legato?
«Ho l’età per ricordare la fantastica Roma di Eriksson, ma mi affascinò anche l’inizio stagione di Garcia. Il fatto è che a Roma è facile cominciare bene, è difficile arrivare in porto. Anche Eriksson andò a sbattere su Roma-Lecce nell’aprile del 1986 per motivi che restano inspiegati».
“La Roma non si discute si ama” non è solo un inno, è una comunione di anime. L’ha mai cantata come fanno i tifosi allo stadio?
«Quando vado allo stadio regredisco, divento tifoso a tutto tondo. Guardo la partita con passione creaturale. Se il rigore è contro di noi “non c’era”, se è a nostro favore “era grosso come una casa”. Canto e sbraito, qualche volta devo aver fatto pure il gesto dell’ombrello.
Le piace la Roma di Gasperini?
«Moltissimo. Finalmente una Roma pensata sulla collettività di gioco, con un allenatore che è uomo di campo, che valorizza giocatori, non li mortifica. Fermo e gentile nelle conferenze stampa. Non un personaggio mediatico, insomma. Speriamo che a lui si dia tempo, e non mezze stagioni come a De Rossi e Ranieri».
Ecco, stasera Roma-Genoa è anche la prima volta di De Rossi da avversario allo stadio Olimpico: un rimpianto o solo un momento di nostalgia?
«Stasera ho tre risultati a disposizione; 1-X-2. E tutti e tre, per un verso o per un altro, mi faranno soffrire. Ma tiferò Roma!»
Ha un augurio particolare di buon anno per i tifosi della Roma?
«Beh, forse questo è l’anno buono per mettere in bacheca qualcosa da piazzare vicino a Bonsai e Conference».
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