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Inchiesta: Il Romanista fra voi. Il Ghetto muore tra cinismo e burocrazia

Da storico rione di commercianti a luogo di passaggio dove passare rapidi, al buio, in cerca di carciofi fritti

25 Novembre 2017 - 11:16

Si affacciava dalla loggetta della sua casa di nascita in via dei Delfini e vedeva "la strada e la piazzetta". Quello che romanticamente appariva agli occhi del poeta romanesco Giggi Zanazzo alla fine dell'Ottocento, non è dato sapere. Possiamo solo immaginarlo: la bellezza di Roma e nello stesso tempo la sua miseria e povertà, animata da "popolane" e "rugantini". Oggi Zanazzo vedrebbe quello che chiunque può osservare: un quartiere spento, morto, soffocato nel commercio dall'isola pedonale, senza cassonetti per la spazzatura, priva di parcheggi e di illuminazione. Sempre più stretto tra burocrazia ottusa, il lungotevere e largo Argentina. E abbandonato. Lasciato solo, e comprensibilmente, anche dagli ultimi ebrei rimasti, fatti salvi i residenti. E pochi ne erano già naturalmente rimasti, per una ignobile pagina di Storia, drammatica, il cui apice è scolpito nel 1938 e da non dimenticare mai.

I problemi attuali del Ghetto non sono nascosti, sono sotto gli occhi di tutti. La regina della vendita all'ingrosso, di tessuti, dei negozi di pellame e scarpe, di artigiani e mercerie è stata costretta anno dopo anno a ripiegarsi su bar, trattorie e ristoranti. Tra lotte al centimetro su spazi di terreno pagati e autorizzati da uffici comunali e controllati dai vigili in loco con straordinaria intransigenza al limite della provocazione. Multe incredibili a cascata ben più ghiotte per le casse comunali delle poche migliaia di euro delle licenze. Persino sui "funghi" invernali che consentono un minimo di sopravvivenza ai clienti si è instaurata una lotta all'ultimo sangue a colpi di carte e bolli, con uffici smentiti dal controllo su strada. E sapete per quale motivo? Perchè tra Primo Municipio e la sindaca Raggi non c'è feeling politico: Pd caduto da una parte e qualche stella cadente dall'altra. Insegne storiche fatte smantellare e sostituite da inguardabili scritte su legno perché "così dice la legge", e per non infastidire il Bene Storico, si prendono a sassate con inconcepibili autorizzazioni a sfondare muri portanti esterni per infilare cardini in sostituzione di serrande. E tutto questo invece sta bene alle Belle Arti?

Ma un giallorosso rilancia

Senza un' associazione commercianti (la cosa vi può dare l'esatta percezione della sfiducia dei pochi esercenti presenti) e da anni senza una luce natalizia seria, anche via Arenula era pronta al collasso finale. Ma non ci stava e non ci sta a subire passivamente tutto questo un super tifoso storico della Roma, Alessandro. Numero civico per numero civico, commerciante per commerciante sta riprendendo il bandolo di una matassa ormai quasi del tutto persa. Alessandro ha rimesso in piedi l'Associazione commercianti, gli sta dando uno Statuto nuovo di zecca e ha già scelto le luminarie bianche e rosse che addobberanno nuovamente la via principale e le limitrofe. Testardo di un romanista. Del tipo "Siamo noi". Siamo noi che proviamo a fare la respirazione bocca a bocca a ex rioni pieni di vita.

Ma quest'entusiasmo di Alessandro, che confesso mi ha contaminato un po' mentre cammino ed entro ancora una volta al Portico d'Ottavia, me lo spegne come un idrante d'acqua ghiacciata la voce di Bruno Pavoncello, nella finzione televisiva papà di Angelina nel fortunato "Romanzo Criminale". «Io non farò parte della nuova associazione e per questioni di principio. Io non entro in un'associazione dove devo convivere con chi non sta in regola. Io pago l'occupazione del suolo pubblico con il mio bar e tutto quello che c'è da pagare e devo stare gomito a gomito con chi arriva e si piazza al di fuori delle regole? No non ci sto». È senza appello il no di Bruno. Mi guarda dentro agli occhi e mi dice: «Da fare ci sarebbe pure e tanto per dare soluzione ai problemi. Lo vedi quel lampione lì. È spento da tre anni». Mi giro e alzo gli occhi. Torno a fissarlo e lui mi fa: «intendiamoci... è una cazzata in confronto alla multa che mi hanno fatto perché una signora aveva spostato di mezzo metro la sedia uscendo dal suolo pubblico a cui ho diritto, o dalla insegna al neon storica del 1946 che mi hanno fatto togliere. La seconda messa a Roma». (continua lunedì)

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