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Boston, abbiamo un problema

La Roma era l’Ajax di un anno fa. Inutile inseguire modelli culturalmente troppo distanti, ora serve una struttura in cui sia chiaro chi comanda

18 Aprile 2019 - 13:20

Un anno fa Neres era Ünder, Manolas incornava il Barcellona come De Ligt la Juventus e l'Europa scopriva le alchimie tattiche di Di Francesco come oggi tutti cliccano furiosamente le due paroline "Ten Haag" su Google per sapere dove questo misconosciuto allenatore abbia tratto ispirazione per l'ultimo miracolo della storia dell'Ajax. La Roma dopo il 10 aprile 2018 era celebrata come oggi si scrivono mirabilie dei nipotini di Cruyff. Del resto mentre gli altri costruiscono i loro progetti ognuno secondo le proprie riconoscibili radici culturali, nei nostri bar dello sport ci si innamora dei modelli altrui, senza sapere che da tempo in Figc prima Sacchi e poi Viscidi stanno portando avanti da tempo un protocollo i cui primi frutti sono ormai maturi. Nei bar invece prima si chiedeva di scimmiottare Guardiola, poi è stata l'epoca del Borussia Dortmund, per diversi anni è toccato al Cholismo del "Leti" e alla retorica della garra, il Leicester di Ranieri stupì il mondo e trovò da noi facili proseliti, nel 2017 ci si ispirò al Monaco di Jardim e Mbappè, adesso si torna a guardare alle academy di Amsterdam. L'erba dei giardini di Spagna, Germania, Inghilterra, Francia, sembra sempre più verde perché ogni anno da quei campionati hanno saputo proporre qualche alternativa allo strapotere delle solite note straricche. Tra cui ora c'è pure la Juve che, non avendo alcun modello culturale/calcistico alle spalle, in Europa non vince mai.

L'anno scorso a stupire toccò proprio alla Roma di Pallotta e del consulente Baldini (ah, no, l'anno scorso di lui non si parlava, dei suoi consigli si scrive solo quando le cose vanno male), dell'allora ad Baldissoni e del ds Monchi. Era soprattutto la Roma di Eusebio Di Francesco e del suo calcio bello e sfrontato: sembrava aver trovato breccia nel muro di indifferenza che era diventata questa squadra, sorda ad ogni sollecitazione degli ultimi anni. E invece un anno dopo Di Francesco e Monchi sono lontani (li hanno avvistati insieme a Siviglia, pochi giorni fa), Baldissoni è impegnato soprattutto sul fronte dello stadio, Pallotta fa il casting nel suo ufficio di Boston vedendo ds che propongono allenatori, ma ancora non si vedono gli uni né gli altri. E c'è chi ancora sostiene che sulla tolda di comando il prossimo anno ci saranno un consulente a Londra (Baldini), uno a Monaco (Campos), uno a Trigoria (Massara), e un altro (Totti), senza qualifica, a tener buoni i tifosi e gli eventuali malumori della squadra e dell'allenatore, chiunque esso sarà. Ma sono voci maligne, certo.

Sta di fatto che la nuova struttura verticistica imposta da Pallotta pochi mesi fa (un vicepresidente, Baldissoni, un Ceo, Fienga e un direttore sportivo, Monchi) potrebbe conoscere nuove deroghe ed essere sostituita da quell'altra, che più orizzontale non si potrebbe. E chi comanderà alla fine? Non è ancora chiaro. A Trigoria dicono che le decisioni sono «della Roma» perché sono sempre condivise. Allora non si capisce perché debbano pagare solo ds e allenatore, e magari medico e fisioterapista. Nel giochino delle sliding doors viene da pensare a che cosa sarebbe cambiato quest'anno se al posto di Pastore la Roma avesse affondato il colpo della trattativa Ziyech, rimasto in canna dopo i rialzi milionari dei proprietari dell'Ajax. Che non hanno battuto ciglio quando il Barcellona ha chiesto loro De Jong: 75 milioni di euro e la trattativa è stata chiusa. Chi volesse gli altri talenti può accomodarsi in cassa tirando fuori tanti bigliettoni dal portafoglio: tra l'incasso per il centrocampista che prenderà l'eredità tecnica di Xavi e Iniesta e i soldoni della Champions, a Danny Blind (consigliere d'amministrazione, papà del difensore Dailey), van der Sar (direttore generale) e Overmars (direttore sportivo) sono venuti gli occhi a forma di dollaro, come Paperone. Lì coltivano e vendono, senza preoccuparsi troppo degli eventuali malumori. Del resto la loro bacheca è molto più ricca di quella della Juventus e con i ricavi ordinari (90 milioni di euro nel 2017-18) non possono permettersi grandi stipendi né top player. Ma in semifinale di Champions League ci stanno loro. Cr7 a casa.

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