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La testimonianza dall'Ucraina: “Sappiamo chi segna, non dove sono i nostri figli”

Il giornalista sportivo: “Non ho più notizie del vostro Misha e del mio Oleksiy. A Mariupol non c’è più niente. Al posto delle partite ora si possono vedere campi di battaglia”

Gli effetti dei bombardamenti su Kiev (Getty Images)

Gli effetti dei bombardamenti su Kiev (Getty Images)

Roman Smorzhevskyy
15 Marzo 2022 - 12:58

Non c'è più pace da nessuna parte. Dopo le bombe lanciate dall'esercito russo sui tetti di Lutsk, Ivano-Frankivsk e Dnipro qualche giorno fa, si capisce che in Ucraina non c'è più alcun posto dove un cittadino possa sentirsi al sicuro. Il pericolo può nascondersi ovunque. La vita nel mio Paese ha decisamente cambiato il suo ritmo. Da noi non esistono più lunedì, mercoledì oppure sabato. C'è il primo, poi il decimo, poi il ventesimo (che è proprio oggi) giorno di guerra.

Non c'è più il calcio, che si è fermato in ogni suo aspetto come tutte le altre attività. Non ci si allena, non si gioca e non si guarda nemmeno più. Dal primo giorno della nuova realtà non vanno in onda trasmissioni calcistiche sui nostri canali specializzati, Futbol 1/2/3. In diretta al posto delle partite adesso si possono vedere le notizie dai campi di battaglia. Ed io non conosco nessun tifoso, né personalmente né sui social network, che prova a lamentarsi con la decisione assunta dal "Media Group Ukraine". Credo che ognuno di noi capisca bene le priorità in questo momento.

Ovviamente può darsi anche che ci siano persone che hanno la voglia e la forza soprattutto mentale di vedere qualche partita di Champions, oppure di Serie A, Premier League, eccetera. Per quei pochi c'è ancora internet, almeno nei posti dove ancora arriva, e lì si può ancora trovare qualche trasmissione interessante. Invece la maggioranza degli appassionati del calcio si limita a guardare solo i risultati, per tenersi comunque aggiornata sul mondo del calcio, di sicuro è troppo difficile rimanere incollati allo schermo per novanta minuti.

Semmai a molti ucraini interessa il comportamento dei nostri connazionali che giocano all'estero, nelle squadre europee. E dunque ci ritroviamo ad applaudire magari le azioni o i gol di Roman Bezus (Gent contro Zulte Waregem), il gol più due assist di Ruslan Malinovskiy (Atalanta contro Bayer Leverkusen), l'assist di Viktor Kovalenko (Spezia contro Cagliari), il gol di Andriy Yarmolenko (West Ham contro Aston Villa). Per noi rappresenta il segnale che siamo forti anche in queste circostanze, quando la voglia di piangere prevale su quella di lottare. Ma sappiamo bene che in questo momento bisogna stringere i denti, fermare le lacrime e lottare sino alla fine.

Bisogna lottare per le persone che adesso stanno al peggio, come quelli accerchiati a Mariupol, la città ucraina che al momento soffre di più. Città dove attualmente vivono circa 300mila abitanti (la popolazione intera è di 430mila persone), tra cui mio figlio tredicenne Oleksiy e anche il mio amico, giovane giornalista di calcio, Misha Surzhin, che voi de Il Romanista già conoscete e che appena dieci giorni fa ha scritto un articolo per voi. Da due settimane lì non c'è internet e non c'è elettricità, così non esiste neanche la possibilità di parlarci, per sapere se loro con le rispettive mamme abbiano trovato un posto sicuro sotto le bombe. Le truppe russe non danno la possibilità di evacuare le persone, così rimane soltanto di pregare che la diplomazia prevalga sugli interessi militari, e che davvero qualche corridoio umanitario possa finalmente essere organizzato per dare la possibilità ai tanti miei connazionali di riabbracciare i loro cari.

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