ESCLUSIVA - Pellegrini: "Roma mia, ora ce la giochiamo"
Lorenzo a Il Romanista: "In 10 anni raramente ho visto giocare così a San Siro. La mia romanità è amare la Roma a oltranza"
(Il Romanista)
Leggete: «È stato il gol dell’amore». Quello al derby, il quarto sotto la Nord «sì perché è figlio di quello che provo per la Roma, anche se io un giorno al derby voglio farlo sotto la Sud». Speriamo, Lorenzo. Speriamo perché oltre alla bellezza di segnare un’altra volta alla Lazio significherebbe che Lorenzo Pellegrini resterà alla Roma dove è nato, cresciuto, dove è diventato tifoso della Roma e poi giocatore della Roma: «Un sogno realizzato». La Roma? «Sì. La mia romanità». Ascoltate perché è letterale: «La mia romanità è arrivare puntuale a ogni allenamento, la mia romanità è rappresentare al meglio la Roma non solo in campo, ma ogni giorno della mia vita, con o senza fascia, si è capitani se rispetti e fai rispettare la maglia sempre, la mia romanità è fare gruppo quando le cose vanno male, è venire qui ad allenarsi con dieci compagni anche quando non c’è allenamento come è successo quando c’era Juric mentre tutto il mondo intorno sparava cazzate. La mia romanità è anche la mia introversione che significa solo non fare lo stupidino quando bisogna essere seri. La mia romanità è quella di mio padre che mi dice sempre che ha tifato la Roma pure quando arrivava decima. È quella della Curva Sud, è amare la Roma a prescindere». Ha detto pure di più. Fidatevi. L’impressione, la certezza, è quella di parlare con un tifoso della Roma prima che lanci il primo coro, un bravo ragazzo che sente tutto addosso, che si prende tutto senza scuse, alibi. Senza furbizie: «La cosa che qualcuno deve capire quando mi fischiavano che io ero ancora più incazzato di loro per la situazione della Roma. Ma qui sono state dette cazzate su di me, cose non solo inventate ma il contrario di quello che è successo». Quelle di Lorenzo Pellegrini, capitano della banda del sesto posto: «Sì quella che fa fuori gli allenatori perché a Trigoria comanderebbero solo tre persone... Io per Daniele ho fatto il contrario di quello che è stato raccontato. Ho fatto saltare Mou? Tutto inventato. Io con Mou mi sono trovato bene e quando ho capito che gli avevano detto cose sbagliate su di me ho preso e l’ho chiamato». Di Gasperini dice semplicemente... la cosa più importante: «La strada è quella giusta... Soprattutto dopo Milan-Roma: negli ultimi dieci anni a San Siro raramente abbiamo giocato così. Il mister mi piace, è schietto, ci crede, ci fa capire cose diverse, quando interiorizzeremo tutto vedrete». Che cosa? Che cosa vedremo? Lo scudetto nel 27? Istanbul? «La strada è quella giusta...». E tu ci sarai? «Io in campo o fuori. Come romanista ci sarò sempre». Però fidatevi, pure quelli che non l’amano o non l’hanno mai amato, sarebbe un peccato. Sarebbe come perdere un pezzo di noi stessi. Della nostra romanità.
Lorenzo, partiamo dalla fine: da Milano. Hai visto dove stava andando la punizione? Hai avuto modo di rivederla? Andava all’incrocio dei pali...
«Purtroppo sì. Lì per lì però uno vede che è fallo di mano, che è rigore... E si è contenti. Si pensa: “Va bene anche così”. Poi è successo quello che è successo. Però ci sono tanti spunti positivi da prendere nella partita di Milano. Io sto qua da dieci anni, poche volte ho visto la Roma giocare così a San Siro e secondo me siamo sulla strada giusta. Poi è normale, bisogna dare il tempo giusto alle cose, per poter apprendere ciò che ci chiede il mister. Io sono convinto che questa sia la strada giusta».
Vi trovate bene in campo? All’inizio delle partite sembra che dobbiate sempre capire un po’ dove siete... E avete faticato. Avete assimilato il gioco di Gasperini? Vi ci state trovando?
«Secondo me sì. Le difficoltà tattiche dipendono anche dagli altri. Come col Lille: abbiamo perso e fatto fatica, inizialmente, dato che loro avevano uno dei giocatori tra le linee e bisognava andare a prenderlo diversamente da come avevamo preparato. Poi si lavora su quella che è la preparazione della partita. Per quanto ci riguarda, sempre in corrispondenza degli avversari. A volte, non accade ciò che ci si aspetta e serve qualche minuto per capire bene che cosa sta accadendo. Ma siamo sempre riusciti a rimettere la partita sui binari giusti. Anche a Milano, contro un Milan che si chiude bene, riparte e ha una squadra di livello, ci siamo messi lì e abbiamo giocato. Nel primo tempo c’è stata una grande mezz’ora; poi abbiamo sofferto negli ultimi 10’ e siamo andati così così all’inizio della seconda frazione. Ma poi la gara è stata abbastanza a senso unico».
Come valuti questa distanza con le favorite? Avete messo in difficoltà l’Inter, col Milan avete dominato per alcuni tratti. C’è ancora distanza tra la Roma e queste squadre?
«Secondo me c’è distanza tra il Napoli e le altre. Gli azzurri vengono da un anno in cui hanno vinto, in cui si sono fatte determinate cose che stanno continuando a fare. E hanno messo dentro parecchi giocatori importanti».
Pensi che sia quella di Conte la favorita in assoluto in Serie A?
«Sì. Per me sì. Poi viene l’Inter, semplicemente per i giocatori, per la loro qualità e la loro esperienza. E da quello che si nota, si vede che il gruppo segue tanto Chivu, lo rispetta e ci crede. I giocatori sono importanti. Dopo arriva il Milan, che ha una squadra forte. Noi, più che guardare quanto siamo o non siamo distanti da loro, dobbiamo guardare noi stessi e basta. Ci sono cose in cui possiamo migliorare e se si migliorano quei punti, ci si può divertire. Fare le cose giuste. In questo inizio, tante volte abbiamo vinto con un però. “Però qui, però lì, però 1-0...”. Quando aggiusteremo questi però, sarà un po’ più chiaro il tutto».
Gasperini vi parla del vostro obiettivo? Lui ha parlato di obiettivi tecnici ed economici. E sembra non precluda nulla...
«Perché dovremmo precludere qualcosa? Siamo tutti i giorni qui, lavoriamo tanto per cercare di migliorarci e di far andare bene le cose. Il mister ci dice cose in cui io credo, ovvero che dobbiamo concentrarci sul campo. Col Milan abbiamo fatto 20 tiri in porta, 30 cross e zero gol. Sono quelle le cose in cui dobbiamo migliorare. Essere più cinici, tante volte, è anche un discorso di testa. Spesso ci si fissa: “Ora non entra...”. Invece no. Gasperini dice di migliorarci sulle cose in cui dobbiamo migliorare; tutto ciò che riguarda l’impegno, la dedizione, la determinazione. Nelle ultime cinque partite, anche il modo di giocare è cambiato in positivo. Poi, fra un po’ di tempo, ci daremo un obiettivo più concreto. Parlare adesso è anche un po’ inutile».
Hai detto di aver visto raramente una Roma come quella di Milano...
«Con Daniele (De Rossi, ndr) la vidi. È la verità. In Europa League».
Gasperini è diverso come allenatore? Vi fa lavorare più degli altri?
«Sì. Ci fa lavorare, cerca di farci entrare anche a livello mentale nel suo modo di vedere il calcio. Per questo dico che siamo sulla strada giusta: è passato poco tempo, ma già si notano tante cose diverse da quelle di prima. Anche le richieste lo sono».
Si vede quindi che Gasperini è diverso rispetto agli altri allenatori che hai avuto...
«Sì. Ognuno ha le sue particolarità, a livello calcistico, e le sue richieste. Però, personalmente, penso che il mister sia un allenatore da campo, che si concentra su quello e che vuole far migliorare i giocatori lì. Alla fine, tutto il resto non che sia superfluo, ma ciò che c’è fuori è una conseguenza di quello che si fa sul campo. Quindi è giusto concentrarsi su quello».
Parlavi di richieste diverse. Che cosa intendi?
«Sicuramente tutti gli allenatori non vogliono perdere e vogliono vincere. Gasperini però richiede un certo tipo di pressing, che vuole recuperare palla in fretta, dominare la partita. E recuperare la palla alta. Finalmente vediamo i nostri difensori venire a recuperare la palla alta. Ci abbiamo fatto anche tanti gol. L’anno scorso non succedeva. È un modo di giocare diverso, che se si comprende e lo si fa proprio, diventa bello».
Quanto siete lontani dal capirlo completamente?
«Secondo me non siamo lontani. Quello che ci ha sempre detto il mister è che questa squadra ha grande dedizione nel fare le cose».
Sentirlo dire pubblicamente fa piacere, sembra sincero...
«Perché al di fuori di Roma, o magari anche dentro Roma, qualcuno pensa che qui dentro succedano chissà quali cose... Siamo visti come quelli che cacciano gli allenatori... Io, in particolare. Qua decido tutto io: se avessi detto di non farvi entrare, voi non sareste entrati mica! (ride, ndr)».
E tu che rapporto hai con Gasperini? Ora non hai più la fascia, ma stai giocando e sembra che ti tratti con onestà e quasi ammirazione...
«È la verità. Anche negli anni scorsi, quando io portavo la fascia la domenica, ho sempre detto che la fascia è di chi la porta tutti i giorni. Di chi non viene mai un minuto in ritardo a Trigoria, perché è una questione di rispetto verso se stessi e verso tutti i professionisti che sono qui. Di chi ha sempre un atteggiamento propositivo coi compagni. Di chi non si preoccupa solo di se stesso, ma del bene del gruppo. Questo per me è essere un capitano e quello che ho provato sempre a essere. Non solo quando avevo la fascia al braccio, è uguale oggi che non ce l’ho».
In estate, tra l’altro, Gasperini ha parlato di te. E ha detto che la questione del tuo “recupero” doveva essere condivisa da società e tifosi. Che effetto ti hanno fatto quelle parole?
«Secondo me il mister è una persona molto schietta, lo apprezzo tanto per questo. Ci siamo confrontati quando ero ancora infortunato e lavoravo a parte. Una volta rientrato in squadra, mi ha sempre trattato come uno degli altri, senza problemi. Io non so che voci gli fossero arrivate... Né lui, né io siamo persone che hanno bisogno di parlare un’ora tutti i giorni. Però, quando ci si parla, si dicono le cose come stanno. Poi basta. Si è chiuso il calciomercato, sono rimasto qui e abbiamo lavorato in campo».
Sei rimasto qui, ma hai avuto la possibilità di andare via? Ci sono state offerte? Ci hai pensato?
«Ci ho pensato, ovviamente. E più che offerte, ci sono stati interessamenti. Ma comunque quell’infortunio è stato troppo determinante in quel momento. Ancora non mi allenavo con la squadra; ho fatto la prima panchina simbolica a Pisa, dopo essermi allenato una volta con gli altri. In più, sono uno a cui non piacciono le cose fatte all’ultimo: se devo fare una cosa, devo pensarci bene, essere convinto di ciò che faccio».
Ora non c’è più da pensarci...
«No, ora no (ride, ndr). Ora c’è da giocare. Poi, quel che sarà, sarà».
È stato bello vedere come hai reagito ai fischi. Sei il capitano della Roma e 40mila persone - solo 40mila perché la Sud non lo ha mai fatto - ti fischiano...
«Alla fine è il nostro lavoro. È brutto dire che ci si abitua, ma ci si abitua a essere giudicati, questo sì. Il problema di quei fischi, come un po’ dell’anno scorso, è che io ero più incazzato di loro per quello che era successo. E dopo un po’, essere fischiato per ogni cosa che va male, anche quando non ci si entra nulla... Io non ho problemi a dirlo».
Parlavi di De Rossi prima.
«Per me Daniele è e sarà un grande allenatore. Spero che a breve possa tornare in panchina, perché quello che ho visto in lui sul campo - e non parlo di lui fuori dal campo, dato che tutti conoscono il nostro rapporto - lo fa apparire ai miei occhi come un allenatore importante. Forte, preparato. Che studia bene l’avversario e che mette il giocatore nelle condizioni di entrare, la domenica, e sapere tutto ciò che succede. Era facile giocare con lui allenatore».
Raccontaci di quando hai cacciato Mourinho...
«Sì... (ride, ndr). A me piaceva Mourinho. Quello che è accaduto, e che mi è stato detto, è che a lui quando è andato via è stata raccontata una cosa che non era vera. Ma io non potevo lasciar correre questa cosa così, per il rapporto che ho con lui».
Con lui poi, nell’anno della Conference, hai fatto una grande stagione...
«Quelle sono le cose che rimangono. La coppa è storia. Poi ci fu la mia grande stagione... Ma è proprio il rapporto che rimane. Il giorno stesso ho preso il telefono e ho chiamato Mourinho».
All’inizio questa cosa non era stata raccontata per intero.
«È vero. Ma se una persona rimane male di una cosa, io devo chiamarla e chiedere il motivo. Non era il mio periodo di forma migliore, ma può capitare. Le partite non si vincono o perdono in uno, ma in venti. Per quanto riguarda il resto e le cose che sono state dette su di me, non c’era niente di vero».
Pellegrini deve imparare a sorridere, come si diceva l’anno scorso?
«L’anno scorso, sicuramente ridevo poco».
Ti ritieni un ragazzo introverso?
«Mah, introverso... Sicuramente non sono uno “stupidino”. Per me la romanità non è essere stupidini o frivoli. Ma venire qui tutti i giorni, dare il 100%. Io non sarò mai Totti, non sarò mai De Rossi. Sono Pellegrini. Non darò mai anche solo l’1% in meno fino a quando sarò qui. Ma non parlo della domenica. Parlo di ciò che accade tutti i giorni qui, a Trigoria».
E perché la gente ce l’aveva con te, per un periodo? Per il fatto che eri tu il capitano? Per la storia di Mourinho?
«Magari sì, magari un po’ tutto. Poi bisogna essere onesti, e io lo sono: quella dell’anno scorso è stata una stagione brutta brutta. Anche al livello delle prestazioni, del giocatore, del professionista. Lasciamo stare Lorenzo, la Roma, la romanità. È stata una stagione brutta. Quello ci sta. Se vengo criticato per la prestazione, è un discorso. Siamo professionisti, è lecito. Io come giocatore posso piacere, non piacere, stare o non stare simpatico. La cose che mi manda in bestia è che dentro questa città si parli di cose che non accadono mai. Che succedono al di fuori, nella testa di qualcuno. E da quella testa, quella cosa riesce a entrare in altre cinquantamila teste. È quello il problema».
Magari avresti dovuto dire qualcosa prima? Intervenire di più. Te lo sei mai chiesto?
«Sì... Il problema è che se lo si fa una volta, bisogna poi farlo ogni volta, ogni settimana, a Roma».
Tu ti sei fatto qualche domanda sul basso livello di forma dell’anno scorso? Si parla di forma fisica?
«Sicuramente. Ma se una persona pensa a me come un interditore, allora vuol dire che non capisce nulla di calcio. È normale, ognuno ha le sue qualità. Quello che penso si capisca meno di me è che io non sono un attaccante. Io sono un centrocampista: devo giocare con la porta di fronte a me, lì do il 100% delle mie qualità. Non devo stare spalle alla riga del fallo laterale e puntare nell’uno contro uno. Non è una mia caratteristica. Soulé è così. Non io. Poi, il discorso dei gol, del tiro, dell’inserimento e del fatto che io sia stato spostato un po’ più avanti è diverso. Io sono un centrocampista. Che sia nei due mediani, o mezzala, che è il mio ruolo preferito, dato che mi permette di avere spazio, abbassarmi, ricevere palla, muovermi... La mia idea di me in una partita è riuscire a fare un po’ tutto: abbassarmi per fare uscire la squadra; anche difendere, perché non mi pare che io mi sia mai lamentato di dover fare una corsa».
Anzi. La cosa più bella che hai fatto con la maglia della Roma è...
«La corsa in Roma-Venezia...».
Fu fantastica. Al 90’... In una partita ‘inutile’...
«Eh, inutile... Ci ha fatto andare in Europa League quella partita».
Già. Se avessimo perso, non ci saremmo arrivati...
«Però dovevamo vincere la Conference... Avevamo l’altra opportunità, però una finale è imprevedibile. José mi disse: “Tu sei matto... Al 90’ ti fai una corsa così prima della finale”. Mancavano quattro giorni. Feci 80 metri di sprint per recuperare il pallone».
Per migliorare la forma, hai cambiato qualcosa nell’allenamento?
«Ho continuato a lavorare. Basta, E poi, secondo me, più gioco e più sto bene».
A proposito di gioco, sembra proprio che la Roma calci male in porta. A Milano, in 37’ con quella qualità lì, con la capacità di andare a far male 11 volte all’avversario... A fine partite si pensa: “Ma come è possibile?”. A qualcuno dei nuovi pesa un po’ la maglia? O pensate che si possa cambiare in poche partite?
«Secondo me bisogna essere onesti, ogni tanto. Possibile che dobbiamo sempre avere qualcosa di cui lamentarci? Siamo un popolo che si ritiene il più forte del mondo dopo una vittoria e che sta a terra dopo una sconfitta. A San Siro, contro il Milan, siamo arrivati a tirare undici volte in porta. In altri anni, abbiamo fatto un tiro. Certo, è una delle cose migliorabili e che va migliorata. Il pensiero di arrivare sui 25 metri e non dire: “Tiro”; ma magari: “Alzo un po’ la testa, faccio un uno-due... E invece che dai 25 metri, tiro dai 20”. Fa la differenza. Tirare da dentro l’area o da quattro, cinque metri fuori fa la differenza. Il portiere ha un tempo di reazione minimo. Dai 25 metri va fatto il tiro della domenica».
Dopo San Siro siete più convinti di essere una squadra?
«Secondo me sì».
Gasperini sembra credibile.
«Per noi, assolutamente sì. Lo seguiamo tutti».
Questo è importante, magari l’anno prossimo si pensa a vincere lo scudetto. O l’Europa League...
«Tu scherzi... Io però l’ho detto, la strada è giusta. Per i romanisti come noi, la strada è giusta. Che sia in campo o fuori».
C’è stato un momento difficile che hai attraversato a livello personale l’anno scorso e che magari ha inciso sul tuo rendimento.
«Sì perché a un certo punto alle chiacchiere inventate su di me ho dovuto sopportare anche la scomparsa di mia nonna, a cui ero legatissimo. Nonna Michelina. Non è stato facile e forse ne ho risentito».
Ci racconti il rapporto con la Curva Sud? Anche nelle contestazioni, i fischi non sono mai arrivati da quella parte di stadio...
«Io nella Sud mi riconosco tanto. Se ti devono dimostrare il loro dissenso, te lo mostrano a fine partita. Per una sconfitta o per una prestazione non all’altezza della maglia che indossi. Non per partito preso o per sentito dire. Cose non vere, tra l’altro. Quindi mi riconosco nel loro modo di ragionare, anche nel fatto che se c’è un momento difficile è quello il momento di non disunirsi e restare insieme. Mio padre mi dice sempre che tifava la Roma quando arrivavamo 17esimi o 16esimi... la Roma si tifa a prescindere. Non si discute, si ama. Poi se vogliamo, possiamo stare 15 ore a parlare della tattica, del tiro di piatto... la verità è che uno nei momenti difficili vede davvero quali sono le persone che ci tengono. Gli altri non li calcolo proprio».
Gasperini ripete spesso che la squadra dà tutto..
«Questo è vero, ma parte dal fatto che è un gruppo sano. Nel momento più difficile con Juric, avevamo i giorni liberi ed eravamo in 10 qui a Trigoria ad allenarci e a cercare di far andare bene le cose. Solo che queste cose fanno meno rumore rispetto al dire che nello spogliatoio c’è la mafia, che ci sono tre persone che comandano Trigoria. Quelle sono pagliacciate, non mi piacciono».
Qual è il tuo sogno da calciatore adesso?
«Il mio sogno adesso? (Ci pensa un po’, ndr). Il mio sogno è capire di che livello sono. Il mio sogno era giocare per la Roma e vincere con la Roma. Ho avuto la fortuna di realizzarlo, vincere è sempre un sogno, poi con questa maglia... Ma la mia romanità è amare la Roma a prescindere».
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