L'analisi di Celtic-Roma, il dilemma di Gasperini: pressare o non essere
Il primo tempo di giovedì è la miglior dimostrazione che la Roma ha una sola anima: quella predatrice e aggressiva vista col Celtic
(GETTY IMAGES)
Da oggi c’è un nuovo riferimento finalmente tutto romanista se vogliamo analizzare gli aspetti migliori del calcio di Gasperini. Finora per fissare certi parametri siamo stati spesso costretti a tornare indietro a rivedere le migliori partite dell’Atalanta, ma la trasferta di Glasgow, per la gara con il Celtic di giovedì sera, ha ridefinito la questione, portando finalmente un esempio assoluto legato alle partite della Roma. Il primo tempo del Celtic Park, al netto della follia interpretativa dell’arbitro sull’episodio che in qualche modo avrebbe anche potuto cambiare una piega della partita, è stato infatti praticamente perfetto. La fase di possesso e quella di non possesso sono diventate un’unica cosa come vorrebbe sempre Gasperini e come però è raro che accada e come di sicuro non era mai accaduto finora. Di partite belle la Roma ne aveva giocate e di risultati importanti ne sono già arrivati, e persino da certe sconfitte (per esempio quella di Milano col Milan) era arrivate conferme positive importanti. Ma mai, fino ad oggi, si era raggiunta la perfezione vista al Celtic Park. Analizzando la partita, infatti, si possono (ri)apprezzare tutti i dettagli ben riusciti che hanno contribuito a costruire una prestazione top terminata 0-3, contro una squadra che non è certo dimessa come il risultato potrebbe far credere. Basti pensare che di sicuro la Roma ha affrontato squadre meno forti e con risultati ugualmente apprezzabili, ad esempio poco più di un mese prima sempre a Glasgow con i Rangers, rivali cittadini assai meno dotati dei biancoverdi di Nancy.
Una vita all’opposizione
Cominciamo col dire che ogni buona costruzione di una prestazione nelle squadre di Gasperini nasce intanto dalla migliore opposizione agli avversari. Anche stavolta il dispositivo tattico prescelto (343) ha aiutato i giocatori della Roma a percorrere in marcatura meno distanze possibili grazie all’accoppiamento sostanzialmente a specchio di ogni marcatura individuale, con i tre attaccanti sui tre difensori, i quattro centrocampisti sui dirimpettai di metà campo e ovviamente i tre difensori sui tre attaccanti. Con la brillantezza fisica e la preparazione mentale dimostrate dai giocatori, le pressioni individuali efficaci hanno consentito di recuperare un numero altissimo di palloni sin dalla prima impostazione di gioco avversaria col duplice risultato di seminare dubbi nel loro faticoso compito di organizzazione della manovra (va considerato che Nancy era alla seconda partita con la sua squadra) e il vantaggio di poter organizzare una fase di transizione - molto spesso nello spazio tra la metà campo e la trequarti – con gli avversari in affanno e con la possibilità, dunque, sempre concreta di andare in porta con un paio di passaggi ben indirizzati. E quando poi da dietro i difensori del Celtic cercavano di arrivare con attacco diretto sui compagni più offensivi, le scelte di Mancini, Ndicka ed Hermoso in anticipo erano perfette per tempismo e precisione.
Svuotare per riempire
Le azioni offensive della Roma, dunque, si sono sviluppate quasi tutte in transizione aumentando a dismisura il numero dei palloni promettenti giocabili nella metà campo avversaria, senza bisogno di dover cercare spazi di manovra nella costruzione dal basso. Quelle rare volte in cui la Roma ha cominciato a giocare dal portiere, lo smarrimento degli avversari, non così abituati alle pressioni offensive, ha consentito ai giallorossi di trovare il ritmo di gioco proprio sfruttando le incertezze e i ritardi nelle marcature altrui, con la perfetta applicazione delle rotazioni dei centrocampisti ad aprirsi in impostazione per svuotare il centrocampo con quella circolazione e la trasmissione esterno su esterno che a volte può apparire sterile e invece diventa preziosissima quando all’improvviso si trovano tracce interne, occupate all’improvviso magari dagli attaccanti che vengono incontro al compagno in diagonale. E nel movimento apparentemente opposto rispetto alla marea (la squadra che si apre piano piano sulla destra, per esempio, e Soulé che novello Mosé taglia il mare in due riportando dentro il campo il pallone per i nuovi tagli da assecondare), all’improvviso si trovano quegli spazi che all’inizio dell’azione non si vedevano. Svuota per riempire: eccolo il concetto chiave della fase di possesso di Gasperini, con gli avversari a rincorrere senza mai trovare il tempo e lo spazio giusto per rimediare. E paradossalmente è proprio il ritardo di chi rincorre a dare il ritmo a chi imposta: faccio la giocata nel tempo che mi resta prima che tu chiuda lo spazio (in ritardo), e più vado veloce, più pulita tecnicamente potrà essere la mia giocata. Ecco perché il Gasp si arrabbia così tanto quando la trasmissione del pallone è più lenta o magari non così precisa: perché sa che non si è semplicemente sbagliato un passaggio, ma si è impedito ad un’azione studiata in allenamento e trasferita sul campo di concretizzarsi a causa non del pensiero o dello studio carenti, ma dall’approssimazione dell’attore di quel momento. Basta un meccanismo ritardato per far inceppare il motore.
I guai in transizione negativa
E lì infatti arrivano i guai. E non è infrequente vedere gli avversari a tu per tu con Svilar quando si è sbagliato un passaggio e si è conseguentemente in ritardo per rimediare ad una marcatura magari abbandonata per un momento. È un po’ il difetto congenito del gioco di Gasperini, forse la principale controindicazione utilizzata da chi sostiene che a correre questi rischi si finisce fatalmente con il perdere immeritatamente troppe partite. Il calcio non è il basket dove la produzione offensiva ha una diretta influenza sul risultato. Nel calcio il numero di azioni offensive non conta perché la segnatura di un gol può essere casuale, ma il peso sul risultato è decisivo. Gasp però se ne infischia e resta convinto – e in qualche modo il suo curriculum lo conferma – che alzando il livello tecnico della squadra il suo vestito tattico sarà sempre più rifinito nei dettagli e i margini di rischio si ridurranno notevolmente.
Essere pressanti o non essere
Che cosa è successo poi nella ripresa, quando il Celtic ha aumentato la spinta offensiva trovando quei varchi che nel primo tempo non gli erano stati concessi? Facile: la Roma ha ridotto in maniera evidente la sua capacità di pressione, in qualche modo entrando in una modalità più di gestione che di proposizione e questo all’improvviso l’ha resa una squadra vulnerabile. Ecco perché davvero Gasp non fa troppa differenza tra chi va in panchina e chi invece viene chiamato a cominciare una gara dall’inizio. A Glasgow l’innesto a metà secondo tempo di Bailey, Pellegrini e Dybala ha consentito alla squadra di mantenere comunque alta l’intensità, riequilibrando all’improvviso l’inerzia che si stava pericolosamente spostando dalla parte del Celtic. E Gasp ha risparmiato l’ingresso a Cristante, Koné e Wesley, tenendoseli freschi per il Como. La lezione però è arrivata: questa Roma o fa le pressioni estreme e applicate con tutti i suoi uomini oppure semplicemente non è. Perché diventa proprio un’altra squadra.
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