L'analisi di Roma-Inter: la partita ha dato la misura, la squadra di Gasperini è forte
Gli errori individuali nei primi minuti hanno rovinato il piano. Ma la reazione già nel primo tempo e poi nel secondo sono prove di forza reale

(GETTY IMAGES)
Se ogni sconfitta, per definizione, ridimensiona un po’ il valore di chi la subisce, stavolta lo 0-1 patito dalla Roma con l’Inter potrebbe aver sortito l’effetto opposto, perché non solo la Roma non esce sminuita dal confronto, ma, al contrario, ha dimostrato di poter reggere il confronto con la squadra più forte d’Italia e, addirittura, di permettersi il lusso di confinarla nella propria metà campo costringendo il suo allenatore (che bravo, a proposito, il giovane Chivu e quanto è bello quando le società si affidano a tecnici di prospettiva con il coraggio di assecondarne le idee) a una serie di cambi difensivi, fino a disegnare un 3-6-1 molto cauto, che ha consentito comunque loro di portare a casa tre punti davvero preziosi.
Non possiamo dimenticare i tempi in cui l’Inter veniva all’Olimpico a dominare, scavando ogni volta una distanza tecnica prima che numerica di evidentissima portata. Stavolta no, stavolta visione della gara, numeri, dati, ragionamenti ed analisi pendono dalla parte giallorossa e schiudono scenari fino a poche settimane fa inimmaginabili. La Roma forse non è ancora da scudetto, ma la distanza da colmare è solo nella qualità di alcuni interpreti: non roba da poco, certo, ma con gli acquisti mirati nelle prossime sessioni di mercato, il margine sarà colmabile e il progetto tecnico partorito con Gasperini potrà trovare il suo coronamento.
Il piano di Gasperini
Sarebbe bello, se fosse possibile, rigiocare i 10 minuti iniziali, quelli che hanno scavato la differenza di risultato in maniera irreversibile. Partendo dalla necessità di dover marcare con uno dei centrali Barella e con l’esterno più veloce, e quindi Wesley, Dumfries, per successivi adattamenti Gasperini è stato “costretto” a mettere in campo una Roma inedita, con quattro giocatori teoricamente fuori ruolo, almeno per le convenzioni tattiche più consuete. Ma Gasperini è altro rispetto a tutti. I suoi ruoli sono nei fatti controruoli, accorgimenti studiati per impedire all’avversario di svolgere il solito compito e magari rubare la palla in zone di campo che possano immediatamente trasformare quella transizione in un’azione offensiva pericolosa. Così contro l’Inter ha scelto di portare Ndicka sulla destra per seguire Bonny, Wesley sulla sinistra, Hermoso sulle tracce di Barella e Koné a schermare Çalhanoğlu, risparmiando qualche faticaccia supplementare a Pellegrini (lasciato su Akanji), a Dybala, falso nove a schermare Acerbi, e Soulé, pronto a chiudere sulle iniziative profonde di Bastoni. Ma qualcosa nei primi minuti non ha funzionato, ad esempio Mancini a un certo punto si è trovato in pressione alta fino alla porta avversaria a tenere Barella, mentre Hermoso si abbassava alla ricerca di un avversario da marcare. Nella confusione iniziale di qualche passaggio avventato e di qualche movimento a scalare non riuscito, l’Inter ha costruito il suo vantaggio con una facilissima verticalizzazione di Barella verso Bonny, complice l’ardita interpretazione individuale (ovviamente non richiesta) di Ndicka, subito imitato nella sventura da Celik. In svantaggio la sensazione più diffusa è stata quella dell’imminente rottura della diga.
La qualità dei giocatori dell’Inter, le giocate nello stretto, ma anche nei lanci a lunga gittata è impressionante e la Roma, sotto choc, per qualche minuto ha dato l’impressione di poter smobilitare. Invece Gasperini un risultato l’ha già raggiunto, ed è quello di aver dotato i suoi di una struttura tattica comunque compatta nella quale gettare tutto il proprio ardore fino a raggiungere il risultato minimo che per una squadra così è quasi il massimo: ridurre le ambizioni di qualsiasi avversario, anche del valore assoluto dell’Inter. Così, cominciando a vincere i primi duelli, la Roma piano piano si è trovata in campo fino a ribaltare il senso della sfida. L’Inter da cacciatrice si è trovata preda, la Roma ha preso coraggio e la partita è sostanzialmente cambiata.
Le responsabilità individuali
Nella patria dei santi, dei navigatori e degli allenatori da salotto è poi naturale che ci si sia sbizzarriti il giorno dopo nelle facili sentenze che qua e là occhieggiano a responsabilità di Gasperini, colpevole, secondo queste approssimative teorie, di aver schierato Dybala falso nove, quattro giocatori fuori ruolo e poi magari anche per i cambi troppo offensivi del secondo tempo. Come al solito conta solo il risultato. Per cui, se, per fare un esempio, Dybala avesse segnato in quello smarcamento da centravanti puro al 7’ del secondo tempo e se magari la conclusione invece di uscire sull’esterno della rete, dopo aver sbattuto sul gomito di Sommer fosse entrata all’interno della rete, allora, in virtù di quella diversa deviazione del gomito, l’esperimento Dybala falso nove sarebbe riuscito e Gasperini indicato come mago dalle soluzioni fantasiose. Sarebbe invece più giusto considerare se le oggettivamente soluzioni trovate dall’allenatore hanno garantito alla squadra solidità difensiva ed efficacia offensiva com’era evidentemente nei suoi propositi.
E in questo senso la risposta non può che essere positiva anche se la Roma ha perso senza segnare. La Roma tutto sommato ha contenuto bene l’Inter, al netto di un errore individuale fatale su gol. Ma per il resto, dopo quei 10 minuti di assestamento iniziale, la Roma ha progressivamente messo sotto l’Inter e in questo senso il piano ha funzionato bene. Ha funzionato Wesley a sinistra, opposto allo spauracchio Dumfries, ha funzionato Dybala usato in una posizione utile a non dare punti di riferimento alla difesa avversaria, ha funzionato la mossa di Hermoso più avanzato e tutto sommato ha funzionato pure la mossa di tenere Mancini e Ndicka sui due attaccanti, liberando Hermoso. Se Ndicka ha sbagliato qualcosa, non è certo per la posizione di partenza di centrodestra. Ciò che invece ci sembra assai più evidente è il gap sotto il profilo della qualità tecnica di alcuni giocatori.
Ogni volta che la Roma sbagliava un disimpegno, l’Inter riusciva ad arrivare in porta con due o tre tocchi, segno di una intesa raffinata degli anni e di una qualità tecnica che la Roma in difesa e in mezzo al campo si sogna. La Roma non ha un Bastoni, non ha un Barella, non ha un Mkhitaryan (ce l’aveva, ma questa è un altro discorso ), non ha un Calhanoglu, non ha neppure un Akanji. E davanti Dovbyk e Ferguson sembrano avviluppati in una strana ragnatela che ne intorbidisce i movimenti, figuriamoci le conclusioni. Ma come ravvisare in tutto questo qualche responsabilità dell’allenatore? A nostro modesto avviso, domenica la Roma ha dato una prova di grandissima consistenza, mostrando contro l’avversario più forte possibile di aver raggiunto un livello di solidità e di efficacia offensiva che può durare nel tempo, anzi, può solo migliorare ed è una prospettiva che negli ultimi anni si era intuita solo nel lavoro di Daniele De Rossi.
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