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L'analisi di Fiorentina-Roma

E adesso De Rossi proverà a pensarci un po’ meno

La partita di Firenze ha confermato che con la difesa a quattro la squadra gioca meglio. Ma nel primo tempo si sono persi troppi contrasti

De Rossi abbraccia Ndicka al fischio finale

De Rossi abbraccia Ndicka al fischio finale (GETTY IMAGES)

12 Marzo 2024 - 07:59

Dopo le tre partite giocate in Europa, con la squadra evidentemente stanca e con l’idea di prevenire ulteriori contrattempi, Daniele De Rossi ha dato libero sfogo alla sua fantasia apportando tre modifiche che non hanno portato i frutti sperati e che hanno, anzi, complicato parecchio i primi tempi delle partite successive. Così col Torino ha scelto di affrontare i granata mettendosi a specchio per la prima volta con la difesa a tre, a Frosinone ha scelto un inedito 424 con due attaccanti centrali e a Firenze è partito con un 3412 che aveva la caratteristica di presentare sulle fasce due giocatori piuttosto offensivi di piede invertito, El Shaarawy a sinistra, e passi, e Angeliño a destra, un inedito assoluto. Il fatto che alla fine di queste tre partite siano arrivati sette punti complessivi, frutto di due vittorie e un pareggio, sta a testimoniare essenzialmente la prontezza dell’allenatore nel riconoscere i suoi errori, visto che ognuna di queste partite era cominciata male, e in parte anche l’incidenza  della casualità nel gioco del calcio.

Sia a Frosinone, sia a Firenze, il risultato alla fine del primo tempo avrebbe potuto essere molto più pesante per la Roma e invece il passivo è stato contenuto al Franchi e addirittura allo Stirpe, all’intervallo, la Roma, è andata in vantaggio. Della sindrome che può colpire ogni tanto De Rossi, come tutti gli allenatori molto pensanti di questa generazione (e non solo: Liedholm presentò in un famoso big match dell’anno dello scudetto contro la Juventus una formazione rivoluzionata in allenamento, e solo dopo gli aggiustamenti le cose presero a funzionare), abbiamo già scritto. C’è, a volte, quella tentazione di voler incidere sulle sorti di un incontro a tavolino, con la carta e con la penna, a volte prescindendo dalle evidenze del campo. Se c’è una cosa, infatti, che gli ultimi due mesi hanno raccontato a guardare le partite della Roma è che questa squadra libera tutta la sua fantasia quando imposta e difende con la difesa a quattro e con tre centrocampisti. Addirittura, anche se in molti se ne sono dimenticati, anche le scelte emergenziali di Mourinho, spesso nei tempi in cui c’era da ribaltare un risultato negativo, la Roma più offensiva garantiva la rimonta che si andava cercando, anche senza una precisa preparazione specifica. De Rossi, invece, quella preparazione ai suo uomini gliel’ha data e la fantasia che si vede sul campo quando la squadra si muove sfruttando le  diverse triangolazioni che il 433 garantisce quasi naturalmente ne è la prova. Ma visto che è stato proprio De Rossi ad imporre il 433 ad una squadra abituata a giocare in maniera diversa, non si può certo rimproverare il tecnico oggi se a volte ci rinuncia.

Il piano anti-Fiorentina

Semmai bisogna chiedersi che cosa avesse in mente. Dunque, ricostruendo un po’ partita e successive parole, viene da pensare che il piano-partita prevedeva in fase di non possesso pressioni molto alte (ormai un timbro caratteristico) per costringere la Fiorentina a calciare lungo (cosa che peraltro la Viola fa spesso, a dispetto di quello che si può pensare del calcio di Italiano) con i quattro difensori della linea presi individualmente dai due attaccanti centrali, Dybala e Lukaku, e dagli esterni (Angeliño su Biraghi ed El Shaarawy su Kayode). Di conseguenza Aouar andava a schermare i passaggi verso Lopez, Cristante e Paredes si alzavano a uomo su Mandragora e Bonaventura e dietro rimanevano però pericolosi uno contro uno dalle conseguenze immaginabili. E infatti Mancini ne ha immediatamente pagato le conseguenze, con il giallo rimediato dopo cinque minuti che ha condizionato il suo e il rendimento anche dei suoi compagni di reparto, fino alla sostituzione inevitabile con Huijsen. Ma ci sono stati problemi anche quando, passata la prima linea di pressione, la Fiorentina si presentava di fronte a una Roma più compatta, eppure gli automatismi e le scalature tra la fascia e la zona centrale non avvenivano mai automaticamente, come ad esempio accade a perfezione nelle partite dell’Inter.

Logico pure, non essendoci possibilità di lavorare lungo tutto l’arco della settimana per preparare questo di queste partite. Ma anche questo Daniele avrebbe potuto immaginarlo. Di sicuro, come ha confessato alla fine, non si aspettava di perdere tutti i contrasti aerei, i duelli fisici, le seconde palle come poi è accaduto, vanificando tutto il lavoro svolto nelle pressione. Ecco dunque come in tutto questo appaia ora la soluzione più logica quella di lasciare la squadra nel suo habitat naturale a maggior ragione in corrispondenza degli impegni avvicinati, per non aggiungere ulteriore difficoltà a quelle inevitabili che ti pone la stanchezza, prima mentale che fisica. Ciò che invece è mancato in fase di possesso è stato ricorrere a quei passaggi di prima che i quinti solitamente sono costretti a fare col piede debole quando ricevono dalla difesa e girano di prima verso le due punte allineate: mettendo ElSha a sinistra e Angeliño a destra questa modalità di sviluppo era garantita. Ma la Roma l’ha cercata pochissimo.

Il dubbio di Angeliño su Gonzalez

In più nonostante il punto forte della Fiorentina sia solitamente il lato in cui attacca Nico Gonzalez (da qui qualche preoccupazione in fase di preparazione della partita, all’idea di un possibile confronto con Angeliño in caso di difesa a 4), è proprio dall’altra parte che invece la Roma è andata in difficoltà, su Sottil, addirittura nonostante quattro cambiamenti in corso d’opera. Ha cominciato Mancini con Angeliño più alto, poi ci si è spostato Llorente, poi è stato il turno di Huijsen, infine si è passati alla difesa a quattro, ma è sempre da lì che sono arrivati quasi tutti i pericoli principali corsi da Svilar, gol del 2-1 e rigore del potenziale 3-1 compresi. A sinistra gli automatismi tra Ndicka ed El Shaarawy hanno funzionato molto meglio, rodati comunque da mesi trascorsi insieme, spesso difendendo bassi. Per Angeliño era invece tutta una novità, compresa quella di trovarsi un paio di volte in area avversaria con la possibilità di calciare ma con il piede sbagliato, vanificando così un paio di preziose occasioni costruite a fatica in quel pessimo primo tempo. In parte è sembrato di rivedere certi impacci della Roma di Mourinho, quando Paredes e Cristante con la linea difensiva troppo schiacciata erano costretti a correre da una parte all’altra per coprire tutta l’ampiezza del campo.

In più è mancata l’esperienza e il passo diverso che sa garantire Pellegrini. Aouar è stato prezioso sul gol, ma è anche mancato in certe coperture (clamorosa quella sul gol del 2-1 di Mandragora) e in certe percussioni offensive. Ma a volte un po’ di rotazioni di uomini è necessaria. È un problema che si ripresenterà anche giovedì col Brighton e poi domenica con il Sassuolo, due gare in cui è già chiaro che la Roma ha solo qualcosa da perdere e assai poco da guadagnare visto che la qualificazione ai quarti e la vittoria con i neroverdi sono date per scontate.

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