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E aveva un solco lungo il viso

Di fronte a questo addio senza senso, a quella gente consumata nel farsi dar retta... Hai sorriso e hai vinto

De Rossi in ginocchio sotto la Curva Sud, di LaPresse

De Rossi in ginocchio sotto la Curva Sud, di LaPresse

27 Maggio 2019 - 10:00

Hai vinto. Non so nemmeno contro chi perché con tutta quella bellezza dentro gli occhi e attorno a te, la tua famiglia, la tua compagna, le tue figlie, quel piccoletto gigante che c'ha stampato sulla testa la luccicanza tua e la vita sua sulla faccia, non credo tu possa conoscere lo stesso nome di guerra. Tu che sei stato il nostro guerriero. Tu che hai indossato la nostra armatura. Hai sorriso.

Hai vinto contro questo giorno insensato, maledetto, avvelenato, contro questo addio senza addio, senza tempo oltre che senza senso, fatto così all'improvviso, con una sporca dozzina di giorni d'anticipo troppo tremendo sul tuo e nostro stupore che t'avrei consigliato "quando verrano a chiedertelo" sempre la stessa cosa: un amore così lungo tu non darglielo in fretta. Tiettelo pe' te. Per noi. Perché tanto tanti non ce capiscono un cazzo di cos'è veramente vivere la Roma.

Di dedicargliela la vita alla Roma, con un lavoro, con un modo d'essere e, sì, d'amare. Invece con quel sorriso nemmeno s'avvicineranno quelli "consumati nel farsi dar retta", cortocircuitati insieme alle loro profezie di guerra, ai loro calcoli, alle loro giustificazioni, ai loro alibi scientifici. Hai sorriso pure a tutti i discorsi preparati, ai salotti, ai soloni, ai "grandi addii", agli slogan, persino a quelli giusti. Tipo: Totti ha chiuso col sole perché è stato divino e la nostra favola (vero), De Rossi chiude di notte e con la pioggia perché è umano umanissimo me e incarna la nostra vita quotidiana.

Ma tu hai sorriso. Alla notte, alla pioggia e alla cattiveria. E non era una smorfia e nemmeno una sfida. È stato il sole a mezzanotte come le nostre notti elettriche di Coppa di una volta. È vero che tu De Rossi sei più la nostra vita che la nostra favola, che tu sei stato carne, fiato e sangue, sei stato chi s'è fatto uomo snobbando l'alto dei cieli perché a quelli preferisci giustamente il tartan sotto la Sud, ed era vero che stanotte non poteva che essere solo brutta, nervosa, sbagliata, insensata, rovinata dal principio dal fatto stesso che qualcuno l'ha concepita con un tweet, che non c'erano possibilità di ricami stanotte, non c'era possibilità di nemesi, né catarsi, né consolazione. Né niente.

Ma tu poi hai sorriso. Non in un momento, hai sorriso per tutto il tempo. Hai sorriso dentro. E hai vinto tutto. Ti sei abbracciato pure Mazzoleni che uno dice "mo che c'entra Mazzoleni da Bergamo con la vita mia?", stavi per cedere solo dentro la giacca di Totti. Stavi. Ma quando hai rialzato la faccia avevi sempre quel solco lungo il viso come una specie di sorriso. Una specie solo tua. Quella del Pescatore.

La vita tua: il mare. Noi invece abbiamo ancora una montagna dentro e non potete chiedere di sciogliere tutte le immagini, tutti i ricordi, tutte le corse, tutta la Roma che sei stata con una notte e basta. Mi manchi. Non potete pretendere nemmeno un bell'articolo. È già tanto che scrivo.

Ma hai visto quanta bellezza e pulizia hai attorno? L'hai creata tu, sopra la merda e l'infamia di chi ti parlava di sgarri, di alcool, di paternità... Ti ricordi quel tifoso che raccontava l'amore che vedeva negli occhi del padre quando gli parlava di Losi e lui l'avvertiva nei suoi quando parlava di te al figlio? ("Parlo di un qualcosa che quando noi romanisti parliamo diventa quel luccichio", scrisse). Io così, come alla fine del Mare di Roma, spero ancora soltanto di trovare nella mia vita la forza e il sentimento di poter trasmettere quel luccichio a mio figlio.

Di mettermelo sulle spalle e sorridergli anche quando ti dicono che è finita. Che è finita. E gli sorridi.

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