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Francesco Totti è come quel “gabbiano ipotetico” di cui cantava Gaber: due sogni in un corpo solo, soltanto che il suo non s’è mai rattrappito

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Tonino Cagnucci
27 Settembre 2025 - 07:00

Totti, che oggi compie gli anni, è stata una giornata della nostra vita. Ci ha già assicurato l’accompagno. Ha segnato da mezzogiorno, come quando a Firenze segnò il 200esimo gol, a mezzanotte circa (il rigore con l’Arsenal). Ha segnato al 1’ in una finale di Coppa (nel 6-2  all’Inter) o all’ultimo minuto di recupero di una partita durata tre ore (il 3-2 su rigore con la Samp nel 2016). Ha segnato da Palermo a Udine, da Silkeborg, che sta dalle parti del castello di Amleto, ai Giochi del Mediterraneo. Dall’Europeo dei piccoli, al Mondiale dei grandi. Ha segnato tutti i mesi dell’anno, anche a giugno – persino un gol Scudetto – a luglio in Europa League, ad agosto in Supercoppa. La sua stagione dell’amore è l’unica che non viene e va. Ma c’è qualcosa di ingiusto nel celebrare Totti solo per i gol, e non solamente perché ha giocato da prima punta solo un terzo della carriera. 

I gol sono come i premi per i grandi ricercatori, conta quello che si fa ogni giorno, ciò che ti porta al titolo. La quotidianità passata da Porta Metronia al Torrino: l’intero sistema solare. Totti è “Tottigo” per i gol fatti contro la saracinesca più che a San Siro o al Bernabéu. Se ha vinto il Mondiale in Germania è per come giocava alla tedesca fra San Giovanni e Trastevere. Totti è sempre stato uno di quartiere, uno che da ragazzino prima o poi doveva andare dal barbiere. Totti è il telefono coi fili, la pizza rossa o la pizza bianca, la villeggiatura più che la vacanza, più che il gettone – che vale sempre 200 lire – è la cabina telefonica. 
Il mangianastri arancione che aveva la zia più moderna, la prima moquette nelle case di Roma. Totti è certe zone di Roma, San Giovanni dov’è nato è tutta sua, è uno dei posti di Roma meno cambiati dal 1976 a oggi. C’è lì una specie di medietà romana dove respiri il centro, perché ci stai, la storia, perché ce l’hai davanti, ai bordi del Colosseo, ma attraverso l’arco t’arriva pure l’eco bucato della periferia, non quello sostenuto della Cassia, di Collina Fleming... 

È un modo di essere più sostanziale che stiloso. Totti ha la faccia di un film di Pasolini, non quella di un libro di Moccia. Non sta tre metri sopra il cielo, ma in mezzo ai binari dove passa il tram di Fellini per Roma. È la tombolata, non lo shopping. Totti ha rappresentato soprattutto il tifoso medio della Roma. Francesco non è di nicchia, non è una esclusiva ultras, perché è del popolo. Totti è “Tottigo” detto dai ragazzini piccoli. Totti è il disegnetto sul banco che una volta era UR. Totti è la Roma più che l’Aesse Roma. 

Francesco Totti è il chiacchiericcio di Roma, quello che gira per l’aria, prima di essere un nome già impresso nella sua storia. Totti è quella Roma che resiste. Lui l’ha fatto: non se n’è mai andato. Anche in questo ha risparmiato tempo a Dio: niente parabole da figliol prodigo, semmai pallonetti, palombelle giallorosse, cucchiai. «Forza che il pranzo è pronto, ma speriamo che Totti domani segna». Il congiuntivo a volte è un errore, non dà il senso. Totti resta Totti perché dov’è nato è rimasto: indicativo – col pollice – sempre presente. 

Non l’aveva mai fatto nessuno prima. Strano, è il segreto più scoperto del mondo: la Roma nella sua storia, uno romano, romanista così per sempre non ce l’aveva mai avuto. Dico, tecnicamente. Totti è una rarità già semplicemente per questo, escludendo quel capolavoro d’arte varia che ha mostrato al mondo con cui ha giocato a pallone. A consegnarlo al cuore delle mamme romane, cioè all’eternità, sarebbe bastata già quella maglietta, “v’ho purgato ancora” alla Lazio, l’11 aprile 1999. È in quel momento che si è consacrato il genio. Non l’aveva mai fatto nessuno prima di lui. Nessuno, ti giuro, nessuno. È lì che contro i potenti, fantomatici pseudo benpensanti ha cominciato a usare il grimaldello. Quelle erano già barzellette per beneficenza. Il suo romano, lampo di una battuta («Ahò») che fa a cazzotti e vince con la noiosa prosa mentale dell’italiano, giustamente archiviabile in un «è normale che». È normale per tutti ma non per Totti. Totti è il calciatore che in Italia ha segnato più volte con la stessa maglia. È una poesia di pane questa. Il trionfo della semplicità. Pensateci. È romanità. Ricordatevi. Tutti. 

Quando si è ragazzini e quasi subito ci si innamora del pallone, si hanno due sogni: quello di giocare per la Roma (o per un’altra squadra, per chi crede nell’esistenza di altre squadre) e di segnare. Di fare gol. E correre sotto la Curva Sud. E tutti sono pe’ te. E tu piangi, e ti immagini tutte le rivincite, i trionfi, i titoli, gli abbracci... t’immagini mogli, amanti, figli, stirpi, dinastie, o un fumetto, la tua faccia su Topolino. Ecco Francesco Totti è come quel «gabbiano ipotetico» di cui cantava Giorgio Gaber: due sogni in un corpo solo. Soltanto che il suo non s’è mai rattrappito. E permette al nostro di continuare a esistere, di dire che qualcuno non solo è stato, ma continuerà a essere sempre e solo romanista. Buon compleanno Francesco.

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