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Giorgio Rossi, la nostra storia

Il suo stile e la sua bontà d’animo sono stati un esempio e un riferimento per tutti. Da Ghiggia a De Rossi, per oltre mezzo secolo si è preso cura ed è stato custode della Roma

, di Proietti

, di Proietti

24 Settembre 2018 - 11:43

Caro Giorgio, ho saputo ieri mattina, appena alzato che non c'eri più. Perdonami se preferisco pensare, invece, che sei solo nuovamente partito per una delle tante trasferte che ti hanno portato in giro per l'Italia, per l'Europa e per il mondo a fianco della Roma. Mi piace pensarti affaccendato in quelle che erano le tue mille mansioni all'interno della squadra.

Una volta Daniele De Rossi, poco prima che tu raggiungessi la meritata pensione, mi disse che non avrebbe saputo come adattarsi a vivere in un calcio in cui non avrebbe avuto più te accanto. Rimasi colpito nel sentire un Campione del Mondo pronunciare quelle parole ma poi pensai che era normale, perché tu con le tue attenzioni, le tue parole, il tuo modo di essere riuscivi a trasformare un pullman, uno spogliatoio, un centro sportivo e un'intera squadra di calcio in una famiglia.

Ho avuto il privilegio di conoscerti bene quando ho avuto l'opportunità irripetibile di "spingere" e "comprimere" la tua vita in un libro. Ho parlato di te con decine di persone: dirigenti, calciatori, impiegati della portineria. Tutti ti portavano in un palmo di mano. Roberto Tedeschi, fotografo eccelso di questa nostra amata Roma (perché tu l'hai amata per tutta una vita, fino all'ultimo giorno e so che in qualche modo continui ad amarla anche adesso) mi disse che prima delle partite, quando faceva veramente caldo, eri tu a rifornire di bottigliette di acqua i fotografi a bordo campo.

Ecco, il tuo modo di essere, il tuo stile, la tua bontà innata, ti ha sempre portato a guardare non solo ai personaggi inondati dalla luce dei riflettori ma a tutti coloro che si avvicinavano alla Roma. Rimane indelebile, per me, l'episodio di quel giorno a Piazza Don Bosco. Ricordi? Un signore mai visto né conosciuto ci fermò in mezzo alla strada: «Bella Giorgio! Forza Roma… Ahò, ma che me daresti na foto der Capitano pe mi fija?». Gli spiegasti che in mezzo alla strada, sulle strisce pedonali, la foto non l'avevi. Quindi gli hai fatto scrivere l'indirizzo su un foglio. Poi, dopo che l'hai salutato, siamo andati a scovare un tabaccaio, hai comprato il francobollo e nel pomeriggio, dopo aver trovato la foto, gliel'hai spedita. Chi lo avrebbe fatto? Chi potrebbe avere un tale garbo, un'attenzione così squisita per "tutti"? Giorgio Rossi.

A Trigoria una mattina ti accorgesti che al cancello da qualche ora c'era un gruppo di tre ragazzi. Ti sei avvicinato e hai chiesto perché e chi attendessero da così tanto tempo. Ti dissero che venivano da Niksic, una città del Montenegro per avere una foto con il loro idolo. «Fino da lì venite?». Non hai aggiunto niente, ma all'uscita della squadra dall'allenamento sei andato da Mirko Vucinic e lo hai portato lì: «Mirko, ti fai una foto con questi ragazzi? Sono qui per te da stamattina, vengono dal Montenegro». Vucinic era una persona molto riservata, ma a te non poteva dire di no e venne a fare la foto, con quei tre che momenti "cascano per terra".

Mi piaceva sentirti raccontare dei tempi andati, non solo di Alcides Ghiggia e dei suoi scarpini (gli piacevano lucidati e splendenti) di Toninho Cerezo e del suo cuore brasilero ("faceva impazzire i magazzinieri, perché volutamente in allenamento spediva dei palloni fuori dal perimetro del campo per farli prendere ai tifosi") e del "grande" Aldair (ti scappò qualche lacrima quando venne a portarti la maglia del Genoa quando per poche partite si trasferì in rossoblù) ma anche del magazziniere Peppe, di Angelino Cerretti, di "cappelletto" Rovida.

Conoscevi tutti e a tutti volevi un gran bene. Sapevi, hai sempre saputo, del debole che avevo e ho per Carlo Ancelotti. E un giorno hai guardato una sua foto che è a casa mia e mi hai detto: «Carletto per me rimane il Bimbo. Ci vogliamo bene. Sai, una volta, prima di un Roma-Milan, quando lui era già allenatore dei rossoneri, mentre salivo le scalette mi sono sentito abbracciare. Mi giro, era lui: "Giorgio, so' io, il Bimbo. Vieni a Milano con me? Ti voglio al mio fianco". Ho finito le scale, l'ho abbracciato e mentre lo facevo gli ho detto: "Carlè te ringrazio, ma la mia strada gira qua… lo sai che la Roma non la posso lasciare"».

Non l'hai lasciata mai e non la lasci oggi, perché tu Giorgio sei solo in trasferta, o in ritiro prima di una gara, pronto a scattare con la tua borsa, con i tuoi passi svelti mentre l'inno parte, le bandiere sventolano, i fumogeni invadono l'aria e il vecchio altoparlante dell'Olimpico dà le formazioni: «Tancredi, Nela, Vierchowod, Ancelotti, Falcao...». Sei lì in quell'Olimpico dove avevamo solo il cielo sopra la nostra testa… Lode a te, Giorgio Rossi!

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