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Il bomber che segna in campo e fuori: quando l'amore è Dzeko

La famiglia di Edin commossa dal video del bimbo che scarta la nove. Il centravanti e la Roma invitano il piccolo David, si incontreranno a Trigoria

, di LaPresse

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27 Dicembre 2020 - 16:53

Sarebbe facile affermare che Edin Dzeko non è un giocatore come tanti altri. Non fosse altro perché sui campi di calcio fa la differenza ed è molto spesso protagonista perché fa gol. Non fosse altro, a Roma, perché del club di cui è capitano sta facendo la storia. Con il gol al Cagliari realizzato quasi alla vigilia di Natale, il numero 113 con la maglia giallorossa ha raggiunto il podio all-time alle spalle di due miti, protagonisti di due dei tre scudetti, Totti e Pruzzo, dopo aver superato Amadei, protagonista del primo dei tre titoli vinti dalla Roma nella sua storia.

Insomma, Edin Dzeko da Sarajevo, Bosnia, classe 1986, è entrato di prepotenza nei cuori dei sostenitori dei colori giallorossi per meriti sportivi. Eppure, come qualche volta accade, ma non così spesso, il campione lo vedi anche fuori dal terreno di gioco. E non solo perché comunica molto e bene (e può rappresentare anche un modello per i colleghi) attraverso i suoi canali social, ma soprattutto perché comunica. Ma perché riesce a emozionare così tanto un giocatore di calcio? Sì, perché fa gol, ma anche e soprattutto per quello che rappresenta.

Ecco, Dzeko, in Italia rappresenta ormai la Roma, così come in Bosnia rappresenta il suo Paese, dove è probabilmente il personaggio più popolare e non solo il capitano della propria nazionale. Alla sua sesta stagione in giallorosso, dopo l'ultima estate tormentata dal calciomercato con la trattativa che l'avrebbe portato alla Juventus saltata solo in extremis, la sua leadership e la sua professionalità non è stata mai messa in discussione nella Capitale. Dove si razionalizzava - per ragioni anagrafiche ed economiche - sulla sua possibile cessione e si aggiungeva che si sarebbe comunque perso un uomo vero, un capitano carismatico. Punto di riferimento per i compagni e per la società, dalla quale per un motivo o per un altro non riesce proprio a separarsi. E per la città, alla quale, assieme a moglie e figli, è legato ormai come un figlio adottivo. Un attaccante che nonostante la caterva di gol segnati riesce spesso a dividere la critica perché «si mangia troppi gol» perché (glielo ricordano ogni tanto i suoi allenatori) «è troppo buono». Un gigante buono, sempre disponibile con i tifosi, soprattutto i più piccoli o i meno fortunati e molto impegnato nel sociale, nel suo Paese come con il suo club, la Roma, sempre in prima linea nelle iniziative di solidarietà (basti ricordare quando durante il lockdown fece avere la sua maglia a un infermiere che affrontava la lotta al Covid in reparto con la sua tuta da lavoro con su scritto col pennarello "9 Dzeko"), anche le più genuine come il video più virale del Natale dei romanisti, con protagonista David, il bambino che sotto l'albero ha trovato la sua maglia, che era l'unico desiderio che aveva.

«Ci ha fatti piangere». Edin e la sua famiglia si sono subito commossi quando hanno visto il video, hanno condiviso quelle lacrime di gioia contribuendo a farle condividere al popolo romanista e non solo. E sanno benissimo che se quel bambino riuscisse a incontrare il suo idolo gli farebbero un dono che ricorderà per tutta la vita. Ma questa sarà, semmai, la prossima puntata di una storia ancora una volta romanista e ancora una volta senza colori. Perché in serata, sempre via social, è arrivato l'invito di Romolo: «Ciao David, ho visto che hai una bellissima maglia. Ti va di venire con me a farla autografare da Edin?».

Non è solo un gioco

«Quando vi dicono che è solo un gioco, fategli vedere questo video», ha scritto Daniele Lavagnini, papà di David nella didascalia del suo post sui social network prima di sapere che avrebbe spopolato. Ma forse intimamente sapendo che proprio perché il calcio, la Roma, non è solo un gioco, avrebbe trasmesso quel virus positivo di cui non si dovrebbe smettere di aver bisogno che è l'arte di emozionarsi ancora, di tornare bambini e tornare a prendere spunto da loro e dalla loro spontaneità. Non è solo un gioco, l'ha capito anche Edin Dzeko, che se ha superato la delusione di non esser andato alla Juventus in estate è anche grazie a questo, grazie alla lettera della figlia di Amadei, all'amore che riceve in cambio dalla città dov'è la sua casa.

È un calciatore particolare. «Edin è felicità, è orgoglio», ha scritto su Facebook dopo aver visto il video virale del piccolo David Lavagnini il suo amico e pr, il giornalista Jasmin Ligata. «Lo conosco da quasi di 18 anni e lavoriamo insieme da un decennio - ha continuato -, non sono uno di quelli che si vanta di aver sempre saputo che sarebbe diventato il miglior calciatore della storia della Bosnia-Erzegovina, perché non potevo saperlo, ma sapevo che era diverso dagli altri. Non ho la sua maglia, ma l'ho data a centinaia di persone. Per i suoi amici, per i miei amici, per persone che conosco e per altre che non ha mai visto, per le aste umanitarie (Dzeko è, tra l'altro, ambasciatore Unicef, ndr), per i bambini, per gli anziani, per i malati e per chi sta bene. Tutti hanno sempre quell'espressione felice, da bambini, come quando si riceve il più bel regalo di fine anno, anche se Edin è un po' inconsapevole di ciò che significhi per le persone. Sanno che è uno dei migliori attaccanti del mondo e sognano di incontrarlo. E lui tanti di questi sogni li ha realizzati, perché lui è davvero una delle migliori persone che conosca. Anche Amra (sua moglie, ndr) è così, ma Edin è qualcosa di speciale e non puoi fare a meno di amarlo, anche se a volte è terribilmente testardo, ma non puoi fare a meno di perdonarlo. La gente che vede in tv quel ragazzo di Sarajevo e già lo ama, senza nemmeno conoscerlo. Come si fa a non amarlo, quando lo si conosce di persona? A volte mi sembra che tutti lo amino più di noi qui a Sarajevo. Quando qualcuno criticherà l'uomo Edin, io gli risponderò di guardare il video di David, solo questo. Non ne avremo uno migliore in campo, ma soprattutto fuori. Se mai avrò un figlio, so già come chiamarlo!».

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