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De Rossi: "A Roma ebbi problemi con Souloukou. Tornare nella Capitale? Lo avrei fatto"

Il tecnico del Genoa a Dazn: "Ricominciare nella Capitale non sarebbe stato giusto, ma credevo nei giocatori. Con i Friedkin un bel rapporto"

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA La Redazione
26 Dicembre 2025 - 10:22

Daniele De Rossi ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni di Dazn, a pochi giorni dalla sfida tra Roma e Genoa. Ecco le parole della bandiera giallorossa.

Questa è la prima intervista che accetti.

"Abbiamo avuto tante richieste, ma ho deciso di fare solo quello che mi piace!".

(Parla Ambrosini) Abbiamo condiviso il giusto. Ma io a un certo punto mi sono staccato dalla routine del calcio. Come hai fatto a coniugare i tuoi interessi calcistici con quelli esterni?

"Mi sono fatto esonerare prestissimo! (ride, ndr) Questa è la soluzione! Tolti gli scherzi, chiunque ha questo concetto di poter dare unicità ai suoi affetti non può fare questo lavoro. Lo spogliatoio è la nostra altra famiglia, è difficile staccarsene e bisogna trovare un equilibrio che solo una donna e una famiglia forte possono dare. Altrimenti si esplode. Una vola ho sentito Allegri parlare di questo: questo lavoro va fatto a trecentosessanta gradi. Ma l'arresto del tempo è una scelta. Non dico che sia sbagliato ciò che fanno gli altri. Se esce 'Stranger Things', voglio guardarlo... Ho smesso di leggere i libri, perché dopo un po' mi distraggo e torno a pensare agli schemi. Ma i film e le serie tv mi piacciono, mi permettono di staccarmi dalla routine e migliorano anche, un pochino".

Quando sei stato fermo hai dovuto rifiutare tante offerte? Ti sei pentito di qualche scelta che hai dovuto fare?

"No. Non ho rifiutato nulla, sono gli altri che hanno rifiutato me. Io ho rifiutato situazioni in cui non vedevo cose chiare. Nelle prime due esperienze ho avuto problemi con i dirigenti. Con quelli della Spal ho chiarito e ci parlo ancora adesso. Ho avuto problemi anche con l'amministratore delegato a Roma, nulla di clamoroso, ma comunque problemi... Può succedere, ma non voglio che accada di nuovo. Non voglio che passi il concetto che io sia uno che ha problemi con i dirigenti. Una volta feci una conferenza stampa con la Spal e parlai di quanto non fossi contento del mercato e di altre dinamiche: il presidente Tacopina si arrabbiò, con lui avevo un rapporto famigliare. Io dissi la verità, lui mi disse: 'Chi ti ha detto che puoi dire la verità sulla tua squadra?'. Lì ho capito tante cose".

Che cosa ti è rimasto dell'esperienza da allenatore della Roma?

"A vederla adesso, mi dispiace nonostante io stia benissimo. La Roma sta avendo un exploit di cui sono felice ed era ciò che avevo predetto. Dicevo: 'Alcuni giocatori inizialmente faranno fatica, poi andranno meglio e il terzo anno potremo lottare per lo scudetto'. Non eravamo pazzi completamente nel puntare su questo gruppo, perché per me è molto forte".

Non ti credevano quando lo dicevi?

"No, no. I presidenti, tra virgolette, pendevano dalle mie labbra. Con loro avevo un rapporto costante e a livello calcistico, con tutti, ho sempre avuto ampia libertà sulle scelte. Si fidavano, addirittura hanno iniziato a chiedermi le cose prima di confermarmi come allenatore per i successivi tre anni. C'era grande rispetto dei ruoli da parte di tutti. Poi si sono incrinate delle cose e di quello mi dispiace, però penso che siamo stati lì, abbiamo fatto una cosa che io e il mio staff, sempre tra virgolette, non meritavamo. Non si è mai pronti all'esonero: era settembre, a causa di questa squadra (il Genoa, ndr) che ora ha un debito con me, perché mi ha fatto esonerare...!".

L'hai vissuta come un'ingiustizia?

"Un po' ci vai sopra perché pensi di essere a posto con la coscienza, nel senso che non ho mai abbassato di un centimetro l'impegno; tradito chi era lì dentro; usato il fatto che al di fuori avessi un potere grande a Roma. Ai miei occhi è importante. Se mi fossi tradito da solo, non sarei stato orgoglioso di ciò che abbiamo fatto, anche se non abbiamo vinto nulla. La si prende male perché ogni volta che si viene esonerati, e a me è successo due volte, si smette di vivere quella cosa che piace. Non penso di aver provato più dolore quando sono stato esonerato alla Roma, rispetto a quando è accaduto alla Spal. Ha lo stesso valore. La cosa che manca è non lavorare più con quei giocatori. Ed è brutto andarli a salutare. Quando ho salutato i ragazzi della Spal, eravamo in una palestra più brutta di quella di Trigoria, con giocatori che erano meno bravi e una società meno forte di quella della Roma. Ma i ragazzi piangevano tutti a Ferrara. E c'è poi il senso di incompiutezza. Che fa pensare: 'Fammi fare, che metto a posto!'. Ogni tanto, questo torna fuori".

Quando sei diventato allenatore del Genoa, hai guardato il calendario? Hai pensato: 'Quando torno a Roma?'?

"Sì, ho guardato quando avrei giocato con la Roma e la Lazio (ride, ndr)".

Non vedi l'ora?

"Si tratta di una sensazione particolare. Sono curioso. Da bambino la vivi in un modo, da ragazzo del settore giovanile in un'altra maniera, da giocatore in maniera focosissima e da allenatore in modo folle. Ho sempre desiderato tutti i giorni che la Roma vincesse, questa è la cosa che mi fa più ridere. Per una settimana dovrò lavorare per far perdere la Roma... Ancora ora se la guardo non sto lì come da ragazzino: la guardo da collega, da ex giocatore ; guardo ciò che fa l'allenatore. Ma se vince, io sono contento per la Roma".

C'è stato un momento in cui potevi tornare alla Roma?

"No. Hanno fatto una scelta talmente chiara... A Roma si parla sempre e il nome mio accostato alla Roma funziona sempre. Non credo che se fosse successo sarebbe stato il passo giusto per me. Eppure, ci sarei tornato. Perché credo nella squadra e in quei giocatori".

Su Spalletti?

"Era ed è geniale. Mi ha sempre spiegato le sue scelte. La stessa cosa è accaduta con Antonio Conte. Io vedevo che ogni tanto, magari, le soluzioni non erano vincenti; ma non c'era nulla lasciato al caso. Lo stesso Ranieri diceva: 'È meglio un'idea mediocre ma funzionale che un'idea geniale ma che sposano in pochi'. Io mangiavo con gli occhi le riunioni di Spalletti: mi piaceva il calcio visto da quel punto di vista. D'altronde, ho un padre che fa questo mestiere, anche se a livello giovanile. Ma a me piace capire quello che mi succede intorno. Se ora ci mettiamo a guardare il basket o la Formula 1, anche se quest'ultima non mi interessa, voglio provare a parlare e a capire come funziona".

C'è qualcun altro che ti ha influenzato dal punto di vista calcistico?

"Ho avuto Luis Enrique da giovane. E quando gli ho detto di voler andare a vedere i suoi allenamenti, era cambiato tutto. In quel momento lui mi ha spiegato ciò che andava di moda nel mondo: mi ha spiegato come fare quei passaggi, quando farli e quando non farli. Io mi sono legato moltissimo all'essere umano, a quello che prometteva e che manteneva. Alle spiegazioni che dava e non dava. Ed è stato illuminante, anche se avevo 29-30 anni".

E oggi?

"Guardavo tanto quando non allenavo. Abbiamo visto Enzo Maresca al Chelsea, che penso abbia qualcosa di geniale; Iraola al Bournemouth, sia per il rapporto con Tiago Pinto sia perché mi affascina scoprire ciò che conosco di meno. C'è sempre curiosità dietro. Non smetto di guardare Spalletti, Gasperini, Conte. In Italia abbiamo tanti allenatori bravi. Penso che Italiano sia quello che sta facendo meglio con più costanza ed è un tecnico che mi incuriosisce molto. Fabregas non è più la bella sorpresa, ma una scoperta che cambia di gara in gara e regala sempre qualche spunto. Impegna. Quando lo affronteremo, sarà una settimana faticosa. Chivu invece ha dato continuità al lavoro di Inzaghi mettendoci qualcosa di suo, aggiungendo qualcosa a una squadra già forte nei singoli. C'è l'ammirazione per uno come Allegri: fa un calcio diverso, ma bisogna farsi una domanda sul perché è sempre in alto. Un po' di curiosità verso qualcuno che fa qualcosa di cui si vorrebbero copiare i risultati. Abbiamo parlato di mille allenatori, ma il mio idolo è sempre Guardiola. Il più forte di tutti è lui".

Ci sei mai andato?

"Sì, ho un rapporto importante con lui. Ci siamo sentiti anche quest'estate, sono andato a vedere gli allenamenti... Ciò che ti cambia è parlare, andare a cena con lui: andammo a mangiare insieme, la foto girò, c'era anche De Zerbi... Non gli stavo dietro! Scriveva numeri, disegnava. Sembravano Leonardo e Michelangelo, Pep e Roberto. E questi allenatori hanno sempre grandi squadre, possono comprare i giocatori che piacciono. E se un domani si manda Guardiola in una squadra più piccola, l'obiettivo resterebbe vincere. Vincere ti fa guadagnare tempo: non ti cacciano dalla squadra, ti fa restare e ti fa inserire quegli spigoli di calcio che pensi possano portare a una vittoria. Non si può perdere quello che si è. Non posso dire bugie ai giocatori. So che non sono una m...a e che non dirò mai una cosa a un giocatore per poi farne un'altra.. Non si fanno promesse ai ragazzi. L'ho imparato da Renzo Ulivieri, al corso... Si è creata sintonia, al Genoa, e dobbiamo essere bravi a non romperla. Non penso che altre squadre abbiano la Cappella Sistina come centro sportivo (ride, ndr). Tutta questa arte... Questa sensazione di essere in un museo. Si tratta del leitmotiv di tutto ciò che sto vivendo al Genoa ed è molto affascinante".

Quando dici la formazione?

"Prima dell'allenamento del sabato, perché voglio provare in campo la formazione che giocherà. A Roma avevamo giocatori acciaccati dalla partita prima, dato che giocavamo una volta ogni tre giorni. Se ho dubbi, lo dico. E li provo entrambi. A volte dico ai ragazzi che non giocano... Questa è un'altra cosa presa da Ulivieri. Non dare mai spiegazioni, perché a volte sono contorte e ci si va a incastrare su cose semplici. Una sola persona mi ha messo in panchina: Donadoni, per far giocare Ambrosini (intervistatore, ndr)... Questa me la ricordo! Finì poi 0-3! Ci sono allenatori che mi hanno dato spiegazioni poco convincenti. Uno mi ha detto: 'Oggi non giochi in Champions col Real Madrid perché domenica giochiamo con l'Ascoli ed è più importante. Ho cambiato il nome delle squadre... Non dico chi, perché è un bravissimo allenatore. Ma eravamo nella partita più importante della stagione! Avevamo un rapporto diretto, così gli dissi: 'Non mi dare motivazioni. Hai preso una scelta, mi conosci, sai che se gioco 1' o 50' do il massimo. Ma non mi piacciono le bugie'".

Ti piace la tendenza all'uno contro uno?

"Sì. A Roma non era così e da giocatore la odiavo. Odiavo giocare contro squadre che venivano a prenderci uomo su uomo. Ma abbiamo affrontato le squadre forti giocando così, come col Barcellona o la Spagna con Conte come allenatore. In quel modo, si mettono a disagio tutti, non solo le squadre forti".

A proposito di ingiustizie: immagino che il tuo sogno fosse finire alla Roma la carriera da calciatore.

"Sì, ma ero curioso di vedere che cosa c'era fuori".

E quando ti comunicano che non ti verrà rinnovato il contratto, come la vivi?

"Non ho odiato così tanto smettere, quanto avrei odiato vedermi trascinare in campo. Quando me lo comunicarono, avevo già capito. Era una cosa che si protraeva per un po' di tempo: giravi l'angolo, vedevi il dirigente che ti evitava...".

Pare però che tu l'abbia vissuto con più serenità.

"L'ho vissuto molto serenamente. Avevo paura più che altro della 'botta' successiva. Di trovarmi spiazzato dopo. Ho chiesto di farmelo dire, perché mancavano poche partite, era un elefante dentro la stanza e io dicevo: 'Il rinnovo non è un problema'. Ma i problemi erano due: per prima cosa, ero curioso; e poi, pur non essendo mai stato un amante di addii in partite tra vecchie glorie, volevo salutare i tifosi. Poco prima dell'ultima partita, andai da Guido Fienga per chiedergli che cosa stesse succedendo. Avrei voluto fare una conferenza, un giro di campo, almeno, qualora fosse finito tutto. E me lo disse: 'L'intenzione è quella di non rinnovarti'. Le alternative erano due. Provare a convincerli, a dirgli: 'Posso continuare'. Ma a livello di dignità avrei perso parecchio, io non faccio queste cose, e forse è anche il motivo per cui non do la soddisfazione di vedermi soffrire sotto la Sud. Rappresento un bel pezzo della storia della Roma e del calcio italiano. Alla fine, che cosa cambia un anno in più o un anno in meno? Ma la mia serenità era dettata anche dal fatto che fossi preparato; e lo ero perché avevo visto la parte finale della carriera di Francesco Totti. Lui era distrutto, ci parlai mille volte e mi dissi: 'Non voglio stare così male'. Non è stato facile, ma volevo prepararmi. Smettere è stata una botta anche per me, ho smesso di giocare e dopo due mesi è arrivato il Covid: ho smesso di giocare, di uscire, di vedere le persone... Per un attimo ho detto: 'Che succede? Se fate così, ricomincio!'. C'è sempre questa cosa dell'almanacco: Roma, Roma, Roma, Roma... Poi mi chiamò De Zerbi al Sassuolo. Quindi ancora Roma, Roma, Roma... E arrivò la chiamata della Fiorentina. Sembrava non finire col botto. Tu (rivolto ad Ambrosini, ndr) eri al Milan; e magari la piazza milanese e milanista affronta e accetta in maniera diversa quel passaggio alla Fiorentina o un'altra squadra. Non avrei mai voluto giocare contro la Roma: sapevo che i tifosi non l'avrebbero presa bene, non tutti ma parecchi. E a qualcuno non piacque neanche il passaggio al Boca Juniors".

(Parla Ambrosini) So che anche a te piace viaggiare. Se le cose vanno bene, facciamo un viaggio insieme! Dove mi porteresti?

"L'America la conosci troppo meglio di me... Ma ti porterei in Argentina. Ho visto troppo poco rispetto a quello che avrei voluto vedere. Altrimenti in Thailandia, Vietnam".

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