AS Roma

Se giochi a uomo, ma ti perdi l'uomo...

Le conseguenze possono essere facilmente intuibili: rischi seriamente di prendere gol, soprattutto se gli avversari hanno un buon tasso di qualità

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PUBBLICATO DA Rinaldo Boccardelli
24 Dicembre 2025 - 08:00

Se giochi a uomo ma ti perdi l’uomo… Le conseguenze possono essere facilmente intuibili: rischi seriamente di prendere gol, soprattutto se gli avversari hanno un buon tasso di qualità.

La Roma di Gasperini gioca a uomo, a tutto campo, rischiando sempre la parità numerica in fase difensiva, rinunciando ad avvalersi del fuorigioco come arma a favore. È il modo di giocare che, nel giro di non pochi anni, ha portato l’Atalanta del tecnico piemontese a frequentare le zone alte della classifica con la coccarda del trionfo in Europa League. Modo di giocare che nel passato prossimo ha colto di sorpresa molti avversari, ma che nel presente ha trovato tecnici ugualmente preparati e con materiale umano di prim’ordine a trovare contromisure adeguate. Non è un caso che la Roma abbia perso con le squadre che la precedono in classifica e con la Juve che di quel gruppetto aspira giustamente a farne parte.

In fase di non possesso, giocare a uomo significa non perdere mai di vista l’avversario e tamponarlo regolarmente ad ogni pallone che arriva dalle sue parti. Ma se l’avversario è bravo e ti salta con un dribbling o con una giocata a tre fatta bene (vedi gol di Conceiçao)? Devono scattare necessariamente le contromisure: scalate veloci, scambio di avversari nel minor tempo possibile. È la cosa più difficile da fare per una squadra che sceglie di marcare a uomo. Necessità di tanto allenamento, disponibilità, velocità di gambe e pensiero. Non sempre riesce e se il portiere non ci mette una pezza il rischio di prendere gol aumenta.

Negli Anni Sessanta e Settanta, in un calcio molto più statico e con regole diverse per quanto riguarda la figura del portiere, si giocava a uomo, ma con una differenza decisiva: il libero. Nel senso che, esclusi i portieri, in campo si giocava 9 contro 9 a uomo mentre un giocatore, appunto il libero, se ne stava una decina di metri dietro i difensori, pronto ad arginare chiunque fosse riuscito a conquistare la superiorità numerica in fase d’attacco, intervenendo in seconda battuta a difesa della porta. Da tenere presente che a quell’epoca i portieri raramente uscivano fuori dall’area piccola. E in un calcio che adesso può sembrare superato, l’Italia produsse liberi di qualità eccelsa. Cesare Maldini e Armando Picchi, Milan e Inter, alzarono più volte la Coppa dei Campioni. Gaetano Scirea (Juve) diventò campione del mondo nell’82 iniziando a dare un’interpretazione più moderna al ruolo, al pari di Franco Baresi (Milan). Nella Roma l’ultimo “libero” fu Sergio Santarini, veloce e talentuoso, prima della rivoluzione a zona portata dal grande Nils Liedholm.

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