La conferma da Firenze: la Roma c’è
Capolavoro iniziale di Kean, prodezza di Soulé e colpo di testa di Cristante: siamo primi. Avvio poco brillante, Svilar si lascia superare, ma Mati rimette le cose a posto

(GETTY IMAGES)
Come una grande squadra che ancora, ed è bene specificarlo, non è, la Roma ha vinto a Firenze e si è confermata capofila della Serie A, sia pure in coabitazione con il Napoli che ha battuto a fatica il Genoa (mentre il Milan, fermato in casa della Juventus, è rimasto indietro). È stata l’ennesima vittoria di misura (sesta su sette successi, tra campionato e coppa), l’ennesima fuori le mura (quarta su quattro trasferte, comprendendo il derby e Nizza), l’ennesima partita tiratissima nella quale sono stati i dettagli a fare la differenza anche se per una volta non si può dire sia stato Svilar a salvare il risultato, ma due pali e un gol mancato da Gosens praticamente a porta vuota. Decisive, dunque, le reti di Soulé e Cristante che hanno annullato l’effetto venefico che il sigillo iniziale di Kean aveva cominciato a propagare.
Il vento ha modificato diverse traiettorie lungo tutto l’arco della gara. Per solito favorisce chi se lo ritrova alle spalle, a spingere più forti i palloni in direzione della porta avversaria, eppure è sembrata la Roma sorpresa all’inizio nonostante il favore di Eolo, con i giocatori che arrivavano sempre in ritardo rispetto agli avversari, e quando dovevano rifinire la palla, nei numerosi duelli rusticani sviluppati già dall’inizio, c’erano sempre un errore o una disattenzione a sporcare l’idea, con Gasperini via via più furioso davanti alla panchina. Al 3’ è stato subito ammonito Cristante, colpevole di aver fermato irregolarmente una percussione centrale di Dodò (alta la successiva punizione di Mandragora dal limite) mentre la Fiorentina sembrava a suo agio nella ragnatela di marcature in qualche modo obbligata dalle scelte di Gasperini, che aveva presentato a sorpresa Baldanzi al fianco di Soulé alle spalle di Dovbyk, con Cristante e Koné nel mezzo, Wesley e Tsmikas sulle fasce (Angeliño neanche convocato) e dietro i soliti quattro, Svilar e i tre moschettieri Celik, Mancini e Ndicka. Quattro cambi rispetto alla squadra anti-Nizza, ma soprattutto un Dybala in più in panchina. Giocando a scacchi, Pioli ha contrapposto lo stesso sistema schierando Gudmundsson e l’amico di Baldanzi, Fazzini, dietro Kean, con Dodò, Nicolussi-Caviglia, Mandragora e Gosens in mezzo al campo, Pongracic, Pablo Marì e Ranieri in difesa. Al 14’ le difficoltà della Roma sono state spiegate plasticamente dall’azione che ha portato al vantaggio viola, con Mancini a risolvere una mischia poco prima della metà campo, davanti alla panchina di Gasperini, salvo essere fermato da Celik che non aveva capito la traiettoria scelta dal compagno (e Mancini, già condizionato dal vistoso cerotto a coprire la brutta ferita rimediata col Verona, sarà medicato anche al labbro colpito dal duro impatto), e immediata ripartenza in verticale dei padroni di casa, con Kean lanciato in uno contro uno con Ndicka, e formidabile nello spostare il pallone e poi calciare fortissimo di destro da un ventina di metri, cogliendo per la prima volta leggermente impreparato Svilar.
Il merito della Roma a questo punto della partita è stato quello di non lasciarsi andare come sarebbe accaduto nella parte iniziale dell’anno scorso (per esempio nell’umiliante 5-1 subito proprio a Firenze durante la gestione Juric) e di cercare con umiltà la via per rialzarsi. A facilitare le cose, al 22’, la bella azione del pareggio, con una percussione di Koné passata per le tracce di Dovbyk, abile a scaricare di tacco in direzione di Soulé che arrivando dalla direzione giusta (da destra verso sinistra) ha potuto calciare come gli piace di più, con quell’interno collo che tante altre volte aveva fatto gonfiare le reti avversarie (la più bella nel derby dello scorso anno, la più recente col Pisa), per l’1-1 quasi immediato. Ed è qui che è cambiata l’inerzia della partita, perché i giallorossi sono sembrati aver capito che l’avversario non era irresistibile e che la buona riuscita delle prime trame viola si doveva più alle proprie imprecisioni che ad altro. A rafforzare l’idea, è arrivata un’altra azione molto simile nelle modalità, con trasmissione da Koné a Baldanzi e intelligente tocco verso Soulé che ha calciato ancora a ricalcare la conclusione di poco prima, trovando stavolta sulla traiettoria Pablo Marì, a deviare in corner. Poi, poco dopo, rimonta completata con un grande classico del repertorio giallorosso: calcio d’angolo di Soulé da destra a rientrare, stacco di testa di Cristante sul primo palo (arma utile con le squadre che marcano a zona sui corner) e vantaggio conquistato. Sul velluto, la Roma ha conquistato progressive zone di campo e al 36’ ha costruito un’occasione grandiosa per il terzo gol, con un appoggio di Soulé per Wesley che ha calciato in area non cercando la deviazione di testa, ma una sponda verso il secondo palo, clamorosamente mancata da Dovbyk che s è allungato, ma è riuscito solo a toccare il pallone senza infilarlo nella porta vuota. E per un po’ lo scherzetto poteva costar caro: subito dopo, è sembrato concretizzarsi il vecchio adagio del gol mangiato, gol subito, nel taglio di Kean ben servito da Fazzini (in un’azione partita forse dall’unico errore commesso nel pomeriggio da Celik), con conclusione stavolta di sinistro incrociata a superare di nuovo Svilar, fino ad incocciare sulla parte interna del palo. Prima del finale del tempo c’è stato spazio per qualche protesta dei padroni di casa, con Fazzini ammonito per un fallo su Celik imitato poi dal tecnico Pioli per via di proteste un po’ troppo vigorose. E anche per un’altra occasione romanista, con un tiro di Cristante deviato da Gosens e alzato da De Gea oltre la traversa.
All’inizio della ripresa Pioli si è presentato con Piccoli al posto del deludente Gudmundsson (non si è capito che fine abbia fatto il talento messo in mostra dall’islandese ai tempi del Genoa), nel tentativo di alzare l’impatto offensivo, anche se per un po’ la partita non ha offerto spunti di particolare pregio. Al 5’ un cross forte di Wesley non è stato controllato in area da Dovbyk, sul ribaltamento di fronte Fazzini ha scaldato i guantoni di Svilar. Un po’ poco per esaltare i tifosi sparsi qua e là tra le macerie di uno stadio ancora in costruzione, con i soli 300 romanisti a cui è stato consentito entrare, confinati nel solito formaggino, ma mai domi. Persuaso da un paio di mancati controlli, Gasperini ha scelto allora di togliere il riferimento offensivo garantito da Dovbyk, per inserire Dybala, mandando in campo anche Pellegrini al posto di Baldanzi, con un evidente innalzamento delle qualità tecniche. Subito dopo Pioli ha tamponato l’infortunio di Fazzini inserendo il più solido Ndour (e perderà più tardi anche Dodò, fermato da una distorsione al ginocchio), mentre Gasperini ha dato fiato a Tsimikas mandando ancora una volta a sinistra Rensch. Nel momento più caldo del secondo tempo è salito in cattedra Roberto Piccoli, un’invenzione di Gasperini (lo fece esordire in Serie A sei anni fa, particolarmente affettuoso il loro abbraccio a fine gara), uno degli acquisti più cari della storia della Fiorentina (25 milioni, secondo solo a Nico Gonzalez): al 24’ ha solo sfiorato di testa una punizione laterale calciata benissimo da Nicolussi Caviglia (aiutata ovviamente dal vento), con la palla che è sfilata lateralmente spaventando Svilar, al 29’ ha calciato di prima un altro pallone rimbalzato sulla trequarti direttamente su rilancio di De Gea, e sfruttando ancora la spinta del vento si è inventato una strana traiettoria che è ricaduta sulla traversa, lontano dalla portata dell’intervento di Svilar. Dopo gli ultimi cambi (dentro Comuzzo e il fantasma di Dzeko per una Fiorentina a tre centravanti, e per la Roma El Aynaoui e Ziolkowski al posto di Soulé e Wesley, per un 352 piuttosto cauto, con Pellegrini e Dybala punte), ci si è avviati al finale e Gosens ha sbagliato una palla-gol clamorosa, arrivando comodo sul secondo palo ad intercettare un cross basso dalla parte opposta di Fortini, mandando però incredibilmente alto. Poi ci sono state le occasioni per Dybala, percussione centrale e tiro deviato in corner da De Gea, e dall’angolo per Ndicka, bravo a salire in cielo più alto di tutti e a schiacciare però con troppo angolo, facendo così rimbalzare il pallone troppo alto sopra la traversa.
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