AS Roma

Falcao, un white block in Bulgaria

Uno scarabocchio breve, secco e bianco in diagonale, una traiettoria decisa che diventa morbida nel momento in cui il pallone tocca la rete e non scende più

PUBBLICATO DA Tonino Cagnucci
29 Novembre 2022 - 10:23

Inizia oggi con il gol di Falcao a Sofia contro il CSKA nella Coppa dei Campioni 1983 un viaggio di dieci puntate di momenti storici romanisti, raccontanti da Tonino Cagnucci e illustrati da Luciano Scorza

Noi in maglia bianca, loro, il Ciessecappa Sofia, la squadra dell’Esercito. Eravamo una trincea primaverile in un autunno bulgaro. Al di qua e al di là della cortina di ferro e sulla linea di porta della Roma: Falcão non si limita, non si accontenta di salvare un gol sulla sottile linea bianca, allontanare il pallone, rifiatare, no, si mette a rincorrere il pallone oltre l’area di rigore dove l’aveva mandato lui. All’improvviso. Da così vicino-vicino a così lontano. I movimenti sono due in uno e spesso già al primo si grida all’«incredibile». Ma incredibile è un’altra cosa. Il terzo e il quarto movimento, il settimo senso, perché Falcão quel pallone respinto e allontanato lo prende, lo ruba a uno di loro: un uomo vestito di bianco con la fronte alta e i riccioli biondi toglie un pallone senza sporcarsi a un militare. Credo che sia un inno per tutti i manifestanti del mondo. Un white block. Eppure ancora non è niente. Siamo oltre il 3D. Siamo al futuro visto solo da lui, alla quarta dimensione, al quarto potere dell’arte: dopo aver preso la palla che aveva respinto sulla linea, che aveva strappato a un militare, la dà via col tacco rilanciando così l’azione della Roma in Bulgaria. Ha difeso e ha attaccato, ha salvato e rilanciato, ha respinto e contrastato, ha corso e si è fermato, dalla testa al tacco: l’anatomia del gesto, il segno della croce di un’azione. Amen. Ci fosse ancora l’amatissimo CB che adorava PRF direbbe la negazione stessa dell’azione in un gesto, soltanto che Paulo Roberto Falcão l’ha negata in quattro movimenti. Poi ecco il gol nel secondo tempo.  

Dalla bestemmia ai ringraziamenti al cielo, da Pruzzo che perde l’attimo solo davanti a Velinov dopo un suggerimento di Cerezo al gooool di Falcão arrivato proprio grazie all’appoggio del Bomber. Falcão accorreva, che è un verbo che può star bene solo a lui, al Divino che scende, che decide di farci vincere, con uno scarabocchio breve, secco e bianco in diagonale, una traiettoria decisa che diventa morbida nel momento in cui il pallone tocca la rete e non scende più. Non tocca terra. Resta in aria, impigliata fra una ringhiera e le rete, a sventolare la gioia della Roma, a far continuare il momento della felicità, a prolungare il gol, a mezz’asta, bandiera ammainata del CSKA Sofia, città di rosa che rosa non è. Il petalo rimasto appeso alla rete, una sensazione di squisitezza, di deflorazione leggiadra, di amore e di scopata, di carezza proprio quando invece stai vincendo un difficilissimo concorso in banca. Credo che il pallone sia ancora lì impigliato nella rete, in fondo al sacco, sospeso tra il sudore il ricordo. Al di là del muro.

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