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Partire basso per arrivar lontano: il diverso approccio di Fonseca contro il Sassuolo

La sconfitta del 1º febbraio bruciava ancora: così il tecnico ha rinunciato alle pressioni. Ma una volta rimasto in dieci ha preso coraggio

Paulo Fonseca nella gara con il Sassuolo, di LaPresse

Paulo Fonseca nella gara con il Sassuolo, di LaPresse

08 Dicembre 2020 - 11:31

C'era una volta, e per fortuna non c'è più, il calcio speculativo all'italiana. Quello che nei tempi in cui pochi movimenti calcistici avevano compreso appieno l'importanza del gioco offensivo, ha consentito al nostro paese e a molte nostre squadre di sfruttare soprattutto il valore tecnico dei grandi attaccanti e di acquisire meriti e trofei puntando sul vecchio catenaccio e sul contropiede. Ma visto che la scuola era quella, a più bassi livelli si vedevano spesso partite tra squadre catenacciare, con tecnici che spingevano soprattutto all'agonismo e chi vinceva era il più furbo e di conseguenza il migliore, senza alcun riconoscimento alla famosa "prestazione".

Una delle grandi recriminazioni che avevano i tecnici innovatori, che comunque lottavano disperatamente e meritoriamente per aprire una breccia nel muro del conservatorismo tattico italiano, era che troppo spesso si ritrovavano a predicare nel deserto. Il calcio di Zeman, tanto per fare un nome caro a molti romanisti, risultava troppo offensivo soprattutto perché troppo marcata era la differenza tra la sua impostazione tattica e quella difensiva di quasi tutti i suoi colleghi. Così anche se era bello vedere giocare le sue squadre, molto spesso con un buon dispostivo difensivo e con sapiente utilizzo dell'arma del contropiede gli sforzi dei folletti di Zemanlandia venivano vanificati. E le sue idee attecchivano molto meno di quello che avrebbero potuto fare.

Oggi, dopo la rivoluzione definitiva di Guardiola, nessun allenatore di alto livello predica più un calcio difensivo, semmai usa quella parolina magica legata alla ricerca del giusto "equilibrio". Ma tutti partono da una predisposizione offensiva che ha reso il calcio globalmente migliore e, in Italia, molte squadre finalmente più forti (e siamo sicuri che di qui a poco tempo torneranno anche i trionfi europei).

Che c'entra questa premessa con Roma-Sassuolo? C'entra perché in tempi in cui il calcio è tutto concepito in maniera offensiva, le partite restano emozionanti anche se lo stallo poi produce lo 0-0 che s'è visto all'Olimpico domenica pomeriggio. Ma questi non sono più gli 0-0 di una volta, quelli poveri di occasioni con squadre che non attraversavano mai la metà campo per paura. Questi scaturiscono da stalli tattici di diverso livello, e magari di conclusioni sbadate e imprecise, questo sì. In questa sede, peraltro, ci siamo ripromessi di non parlare delle nefandezze dell'inadeguato arbitro Maresca, nella speranza magari che anche i vertici arbitrali capiscano che nel calcio moderno non deve esserci più spazio per gli autoritari fischietti di una volta, quelli che pensano di risolvere tutto sventolando cartellini rossi e gialli al primo cenno di dissenso. Oggi la collaborazione tra allenatori, giocatori e arbitri è molto più elevata di prima e non è un caso se questo è avvenuto in coincidenza con l'innalzamento del tasso di spettacolo delle partite. Ma al netto delle imprese del direttore di gara, si possono isolare e analizzare due diverse Roma-Sassuolo: quella del primo tempo, in parità numerica, e quella che invece è scaturita dopo l'espulsione di Pedro, con la Roma costretta in inferiorità.

La cautela del primo tempo

La rubrica Tatticamente del dopo Sassuolo-Roma del 1 febbraio scorso portò un titolo sanguinoso: "Il suicidio tattico del pressing furioso". Qual era il lamento dell'estensore? Che l'eccesso di offensivismo di Fonseca aveva portato la squadra ad andare fuorigiri contro una delle squadre migliori d'Italia a ripartire in verticale. Quel giorno i giallorossi si ritrovarono sotto di tre gol dopo 26 minuti per via di una scriteriata ricerca di un pressing alto che lasciava solo i due difensori centrali a difendere sugli assalti avversari in fase di transizione negativa. La Roma giocava con il 4231 e sei giorni dopo quella sconfitta si arrese anche al Bologna, in maniera così fragorosa da spingerci a suggerire su queste colonne a Fonseca la soluzione: inserire un difensore a centrocampo (Mancini) oppure «passare alla difesa a 3, con due esterni, due centrocampisti, due trequartisti e Dzeko».

Con due esterni così offensivi restare a quattro sembrava ogni volta un rischio esagerato, a meno che non si fosse così bravi da recuperare ogni pallone perduto in transizione o nelle marcature preventive, dove però la Roma sembrava piuttosto lacunosa. Magari quelle parole suonarono troppo critiche, mentre erano solo l'auspicio di vedere un giorno la Roma con lo stesso allenatore e la stessa mentalità, ma più attenta alle conseguenze di errori che mettevano a rischio la possibilità di concorrere per i primi posti della serie A.

E oggi che invece questi equilibri sono stati trovati con i correttivi apportati dall'allenatore portoghese, siamo lieti di applaudire partite come quelle di domenica: per arrivare lontani si può anche partire più bassi, se l'obiettivo è quello di non scoprire la difesa alle letali transizioni avversarie. Ecco spiegato quel primo tempo in parità numerica assai cauto, come dimostrano anche le posizione medie dei giocatori in campo. È stata così la Roma a giocare più in contropiede abbassando spesso i quinti sulla linea dei difensori, per evitare che le straordinarie geometrie di De Zerbi, con rapidissimi sviluppi di manovra a uno o due tocchi, trovassero facile sbocco nelle maglie slabbrate del dispositivo difensivo. Ecco come si può garantire equilibrio "all'interno di una squadra "dentro" una concezione offensiva.

La scelta del 3-5-1

La riprova dell'idea sempre proattiva del tecnico è venuta dalla scelta di mantenere l'assetto tattico invariato dopo l'espulsione di Pedro, rinunciando magari alla tentazione del 441, sistema che avrebbe potuto adottare abbassando uno degli esterni di centrocampo e uno dei giocatori offensivi (in questo caso Mkhitaryan) da esterno di metà campo.

Invece Fonseca ha voluto mantenere gli assalti esterni senza scoprire la difesa, ha addirittura rinforzato il centrocampo mettendo Villar in prima impostazione tra Pellegrini e l'armeno, e lasciando Dzeko a far reparto da solo. In questo senso nulla è cambiato in fase di non possesso e poco è cambiato in fase di sviluppo di gioco, grazie all'ormai acquisita capacità di molti giocatori della Roma di adattarsi non tanto ai ruoli quanto alle funzioni necessarie in quel momento, tra costruttori di gioco e invasori. La Roma è una squadra modernissima e la gara col Sassuolo è stata un gioiello con una sola pecca: la misura delle conclusioni degli attaccanti. Ma considerando il loro valore, può essere stato solo un episodio.

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