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L'analisi di Roma-Parma: Gasperini il camaleonte, una ne pensa, cento ne fa

Contro il Parma ha cambiato tante volte il vestito tattico. E nei secondi tempi la squadra assume una velocità che nessuno sa tenere

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
31 Ottobre 2025 - 07:00

Nei momenti in cui si è felici, e ogni allenatore dopo una vittoria lo è in una purissima forma di felicità, escono fuori anche le frasi più sentite, magari meno utilizzate nel frasario calcistico moderno. Così Gasperini, dopo l’ennesima vittoria, la settima su nove partite di campionato, con la Roma in testa alla classifica, si è lasciato andare ad una frase che forse fa capire bene la sua essenza più profonda: «I cambi tattici? Forse perché io di carattere se faccio sempre le stesse cose mi annoio. Anche nella vita, e in ogni lavoro, modificare le cose a volte fa bene». Questa è l’essenza fino a oggi di Gasperini sulla panchina della Roma: un vulcano di proposte, non tutte funzionanti, ma sempre funzionali al raggiungimento dell’obiettivo di quel momento, che sia vincere una partita che si sta pareggiando, pareggiando quella che si sta perdendo o anche consolidando quella che si sta vincendo. L’allenatore teoricamente più schematico e leggibile (c’è chi pensa che per capirlo basti scrivere su un taccuino gli accoppiamenti delle marcature individuali di ogni partita) si rivela con cadenza settimanale invece il più aperto alle sperimentazioni. 

Tutte le soluzioni col Parma

Pensate solo a quello che è successo nella partita di mercoledì: scende in campo con una indicazione precisa, i soliti tre difensori (anche contro il Parma schierato con due punte), quattro centrocampisti, due trequartisti di piede mancino e un attaccante pesante, Ferguson stavolta, un po’ a sorpresa. Dopo 20 secondi ecco che l’ariete irlandese si affloscia dopo un colpo proditorio che gli fa piegare la caviglia. Gasperini si gira immediatamente verso i suoi collaboratori e chiede di far andare a scaldare subito El Aynaoui, poi, a distanza di 30 secondi, fa aggiungere pure Dovbyk e Bailey. In quei minuti ci pensa e ci ripensa. Fa chiamare Bailey, poi lo rimanda a scaldarsi: vuole vedere se Ferguson si riprende. A un certo momento è Dybala a sollecitare il cambio, e Gasp chiama Bailey. Perché non Dovbyk? Dirà dopo che voleva giocarsela con qualità, ed evidentemente ai suoi occhi Dovbyk non è l’alter ego di Ferguson,  per una questione di qualità può esserlo Bailey. L’ingresso del giamaicano, però, non ha dato all’allenatore quello che cercava. Lento, poco fluido nelle gambe, avulso dal gioco. C’era anche una questione tattica che la Roma non riusciva a superare: i due attaccanti di Cuesta, Pellegrino e Cutrone, non davano punti di riferimento, così i tre centrali della Roma erano costretti ogni volta ad andare in marcatura a seconda nel movimento più facile da compiere e il terzo (molto spesso Hermoso) doveva salire a centrocampo ad accoppiarsi ad avversari spesso distanti  anche 30 metri. Questo rallentava un po’ la pressione offensiva della Roma e il Parma ha continuato per tutto il tempo ad uscire troppo facilmente in palleggio, cadenzata nella sua manovra proprio dalle pressioni individuali effettuate in lieve ritardo dai romanisti. 

Lo stallo

La partita è entrata così in una fase di stallo, davvero brutta dal punto di vista spettacolare, in cui nessuna squadra riusciva ad arrivare vicino alla porta: la Roma girava al largo in una manovra lenta e senza fantasia, con il Parma schierato con due linee da quattro uomini strette e dinamiche che però in fase di possesso non sviluppavano gioco tale da infastidire Svilar. È successo solo al 36’, quando Pellegrino ha finalmente vinto un duello individuale con Ndicka, è andato sul fondo e Wesley che aveva chiuso il cross dalla corretta posizione ha completamente sbagliato il rinvio, favorendo una doppia conclusione degli ospiti con Ordoñez e Bernabé respinte da Svilar e Ndicka. Il campanello d’allarme ha scosso un po’ la Roma che in maniera estemporanea ha poi trovato il gol (annullato) di Soule e l’occasione successiva con il colpo di testa di Dybala. Comunque, tutta roba troppo statica, come quando non trovi l’uscita di un posto affollato e cominci a pensare che la soluzione sia quella di spingere chi ti sta davanti. 

La superiorità atletica

Da qui l’intuizione di togliere via proprio Bailey, un corpo estraneo, inserendo un centrocampista, El Aynaoui, per alzare Cristante, che in quella zona ha tempi di inserimento, intelligenza tattica e capacità di aggressione degli spazi che in questa Roma hanno ancora in pochi. Di conseguenza si è notevolmente alzato il baricentro ed è aumentata la percentuale di possesso palla. Così è stato più facile anche portare le pressioni a livello individuale, scalando in maniera più razionale secondo uno schema la cui interpretazione era spesso lasciata a Mancini, abile da dietro a guidare tutti gli altri. Era lui magari a finire alto su Ordoñez quando si accentrava dall’esterno per supportare i due attaccanti centrali. Ed era lui a ripartire sempre, infastidendo molto i difensori con l‘imprevedibilità dei suoi percorsi. Poi il solito calcio piazzato ha portato la Roma in vantaggio e tutto è diventato più facile, grazie anche ad una superiorità atletica che comincia a diventare caratteristica: nessuno nella ripresa riesce a star dietro alla Roma

L’azzardo finale e l’idea antiMilan

Il raddoppio di Dovbyk ha sostanzialmente chiuso una serata anche se l’azzardo “affettivo”  dell’allenatore ha rischiato di riaprirla: sul 2-0 Gasp ha infatti provveduto a togliere due giocatori tra i più affidabili della serata (Mancini e Wesley) per dare fiducia a due tra i più tenerelli dei suoi giocatori, l’esordiente Ghilardi e l’olandese Rensch. Il cambio l’ha fatto proprio mentre c’era una punizione, da cui è nata la rimessa laterale che ha portato al gol di Circati, lasciato libero come Ordoñez che ha staccato di testa: con Mancini non sarebbe mai successo. Poi per fortuna la partita è terminata. Riassumendo,  Gasperini ha cambiato le posizioni dei suoi tre centrali (Mancini a destra per impostare di più, Ndicka in mezzo ed Hermoso a sinistra, il trio di Juric), ha confermato Wesley esterno su una parte, la sinistra, che non padroneggia (i suoi cross più pericolosi sono sempre quelli quando rientra sul piede buono), ha messo a sorpresa Ferguson al centro dell’attacco, lo ha cambiato dopo pochi minuti non con il suo omologo ucraino, ma con un altro giocatore di movimento, salvo poi rimangiarsi la proposta all’inizio della ripresa, avanzando Cristante e chiedendo agli attaccanti di dividersi lo spazio offensivo; poi ha tolto un elemento di fantasia per rimettere il centravanti “grosso” e così ha vinto la partita salvo poi rischiare qualcosa inserendo due giovani da rilanciare. Tutto questo in soli 90 minuti: alzi la mano chi sostiene che sia un tecnico prevedibile. Annotazione finale: per il 352 di Allegri, la soluzione migliore potrebbe essere un 4231 con Cristante alla Perrotta su Modric, Pellegrini, Soulé e Dybala (o Dovbyk se Paulo deve riposare), El Aynaoui e Koné sulle mezzeali rossonere e quattro difensori, Celik, Mancini, Ndicka e Wesley, pronti a scalare a tre (con Soulé, nel caso, a tutta fascia a destra) all’occorrenza.

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