AS Roma

Il Diavolo tentatore

Da Ferguson a Bailey, passando per Cristante e Dovbyk, emozioni e colpi di scena. Poi d’improvviso quel silenzio tra noi e quello sguardo strano... alla classifica e a San Siro

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Federico Vecchio
31 Ottobre 2025 - 07:30

Quando la Roma gioca nel pomeriggio di un giorno feriale, non sai se essere contento, perché quando gioca la Roma è comunque una festa, o essere disperato per la necessità di incastrare tutta una giornata lavorativa che dovrà lasciare il posto, inesorabilmente, alla necessità di essere alle sei e mezza seduto al tuo posto, cascasse il mondo. E, quindi, quel prepartita che ti accompagna normalmente, quando la Roma gioca in mezzo ad un pomeriggio di un giorno feriale, diventa altro, perché fino alle cinque e mezza sei costretto a stare lì, immerso nei pensieri delle mille cose da fare, invece di essere concentrato sull’unica cosa che conta quando questa Roma sta per scendere in campo, e cioè chi metterà di punta stasera Gasperini. Ma non fai in tempo, quindi, a parcheggiare il motorino, al solito, in verticale, su di una ruota, nell’unico pertugio disponibile più prossimo ai tornelli, che finalmente ricomincia la filiera sull’unica cosa che conta. Perché giunge la notizia che Gasperini ha deciso di mettere Ferguson. Ed allora altro che aspettando Godot: la certezza di una formazione, che dovrebbe prima o poi arrivare, da snocciolare finalmente come una filastrocca, si allontana definitivamente. E questo genera dei mostri, perché in molti sono convinti, loro, di avere la certezza delle certezze che albergherebbero nella mente di Gasperini. 

Si passa, difatti, da «ha messo Ferguson perché è lui il centravanti suo», per passare a «punta tutto su Dovbyk e lo sta facendo crescere poco a poco», per finire con «la punta sua è Dybala, il resto è un contorno che serve per fargli da sponda in area». E ciascuno è convinto non solo del fatto suo, e cioè che questa sia l’idea di gioco che abbia Gasperini, ma anche della bontà della soluzione («Ferguson andrà in doppia cifra, vedrai»; «Dovbyk segnerà come Zapata e Muriel»; «Dybala, con Gasperini, arriva a venti gol quest’anno»). 

C’è poi qualcuno che gioca la carta dell’esperto a tutto tondo, e si avventura non già sulla formazione della Roma, ma su quella del Parma, arrivando ad indicarne pericoli e lacune («Suzuki mi piace e starei attento alla corsa di Sorensen e a Pellegrino, che sa segnare. Non vorrei che fosse Simeone due. Per il resto, niente de che»). Fortunatamente di quelli che sento nessuno si avventura sul terreno più scivoloso, e cioè la rincorsa al primo posto. Sento lamentare, ma in maniera poco convinta, un qualche disappunto per la vittoria del Napoli, ma più per la scelta di mandare «un ragazzino a battere il rigore» che per la possibilità, evidentemente sfumata, di potere essere primi da soli. Ma non faccio in tempo a sedermi che i seggiolini a me più prossimi entrano in un frullatore: fuori Ferguson, dentro Bailey. Ed allora, lì, in quel momento, tutte le certezze dei più granitici vengono liquefatte. La logica che aveva guidato i più ad affermare, distribuendo sicurezza nelle proprie convinzioni, che loro sapevano quello che aveva in testa Gasperini - e che lo sapevano, probabilmente, perché glielo aveva riferito il cugino che vive a Trigoria – quei più, dicevo, al cambio, forzato, di Ferguson con Bailey, si perdevano. Perché se Gasperini ha preparto la partita per giocarla con una punta di peso, che senso ha, una volta che esce Ferguson, non mettere Dovbyk? Che senso ha mettere Bailey, che va bene sulla fascia ma in mezzo mica lo so? Ed allora gli sbuffi, mano mano che i minuti passavano, prendevano il posto dei commenti. Perché non si riusciva più a commentare ma soltanto a guardare, con triste disincanto, una squadra che, poco incisiva davanti, se Bernabè non si fosse innamorato del pallone, si sarebbe vista costretta a dovere rincorrere

Quindi, quando, in una manciata di minuti, al tramonto del primo tempo, prima segniamo, ma con Celik in fuorigioco («È in fuorigioco perché gioca con la maglia della Roma, diciamolo»), e poi sfioriamo il vantaggio con Dybala in tuffo («Non gli si può chiedere di essere Bettega»), la Tevere un po’ si rincuorava. E si rincuorava in attesa di un secondo tempo in cui il tridente veloce l’avrebbe sbloccata. Ma, nell’intervallo, sul campo si scaldava El Aynaoui e, quindi, nessun seggiolino si sottraeva al gioco che, in quei casi, va per la maggiore, e cioè individuare il sostituito. E qui va detto che, tranne Svilar e Bailey, tutti gli altri nove venivano indicati. Tutti, giuro

 
 
 
 
 
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Ma poi esce Bailey. Il panico. Si passa, a quel punto, da «se sarà fatto male pure lui» a «chi ce capisce è bravo». Ma nessuno, davvero nessuno, si azzarda più ad esprimere una valutazione. Perché quello che vedi, e lo vedi subito, è che Gasperini ha avanzato Cristante, quello stesso Cristante con cui «nun se po’ continua a giocà», e la Roma gioca, a quel punto stabilmente, nella metà campo del Parma. Ed allora lo senti che ci siamo quasi. E quel quasi diventa certezza quando Dybala la mette in testa ad Hermoso, con Suzuki che fa l’autoscontro con uno dei suoi. E poi entra Dovbyk, quello che «non ne stoppa una», che fa una cosa, in mezzo metro, che solo i centravanti veri. A quel punto le scale della Tevere iniziano a riempirsi, perché mancano dieci minuti e domattina è ancora giovedì. Poi, mentre la voce dello speaker dello Stadio lancia l’annuncio rivolto ai tifosi del Parma, invitandoli a non abbandonare lo Stadio («Ma nun ce stanno!»; «ma che davero?!»; «nun so venuti!»), esce Mancini e, quando esce Mancini, si sa come finisce. Ma finisce. Finalmente finisce. Ed allora, come mi ricorda l’attempato tifoso, che incontro nuovamente, stretto al corrimano, mentre scende le scale, «so importanti i punti, che so ventuno, no la classifica. A meno che domenica a Milano...». Giusto. Ha ragione. Come dargli torto. La classifica, questa nostra classifica, è meravigliosamente tentatrice. Ma è importante soltanto che abbiamo vinto ancora. A meno che domenica. A meno che, appunto. Non ci pensiamo nemmeno.

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