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Tatticamente

L'analisi tattica di Sassuolo-Roma: uomini più che schemi, il motivo della rabbia

"Il sistema lo fanno i giocatori". Ecco perché Mourinho si sente tradito da chi sul campo non dà tutto e non è concentrato durante la partita

Karsdorp durante Sassuolo-Roma

Karsdorp durante Sassuolo-Roma (As Roma via Getty Images)

11 Novembre 2022 - 10:30

Se si riguardano i trenta minuti in cui Karsdorp è stato in campo nella gara di mercoledì pomeriggio a Reggio Emilia si può capire meglio per quale motivo Mourinho negli spogliatoi dopo la gara sia stato così duro. Non è solo nell’azione del gol del pareggio che l’olandese si è dimostrato così abulico sul campo. Pochi minuti prima del pasticciaccio è stato rimproverato da Mancini e in un’altra occasione da Cristante proprio per la sua applicazione decisamente poco convinta, dopo un approccio che invece era stato positivo, con un doppio recupero che aveva dato il la ad una occasione romanista. Ma quell’atteggiamento passivo nell’azione del gol è costato una potenziale differenza di classifica tra il terzo posto (traguardo che avrebbe messo la Roma in una invidiabile posizione di tranquillità nei quasi due mesi di sosta) e il settimo in cui si trova adesso. Sull’impostazione del Sassuolo, infatti, Karsdorp non era stato chiamato a pressare alto sul terzino, ma a supporto di Mancini per contenere il più pericoloso degli avversari, il ventiquattrenne francese Laurentié. Eppure, sulla palla alzata da Kyriakopoulos, Rick ha avuto un’esitazione decisiva tanto da dimenticare l’importanza di assorbire il movimento verso la profondità dell’avversario continuando la corsa sulla postura già assunta e addirittura si è fermato a guardare il lancio mettendosi con il corpo in una posizione decisamente piatta: quando è uscito dal torpore e si è rimesso a correre, girandosi dall’altra parte, ormai l’avversario gli aveva preso dieci metri e Mancini è stato costretto a cercare di tamponare la falla scappando all’indietro. L’altra esitazione fatale è stata quella di Smalling che inizialmente si era tenuto più basso rispetto alla linea difensiva proprio per cautela (del resto la Roma non lavora quasi mai sull’allineamento ossessivo dei tre centrali, anzi Mou evidentemente chiede loro di rompere la linea e marcare prima l’avversario e poi il pallone) e poi non ha chiuso con la giusta tempestività su Pinamonti, abile invece a rubare il tempo al più esperto difensore. Un gol che alla Roma è costato molto e che Mou ha addossato completamente all’olandese, senza mai nominarlo. Segno che al di là di una sterile difesa nella conferenza stampa di presentazione di martedì («dopo che è uscito al derby è andato subito negli spogliatoi per un trattamento veloce per l’infortunio di cui soffre», aveva detto il tecnico in sua difesa), già in occasione della sfida con la Lazio qualcosa al tecnico non era evidentemente piaciuto dell’atteggiamento del giocatore.

Alla sua altezza

Del resto Mou su questi aspetti è sempre molto chiaro: "Il sistema di gioco lo fanno i calciatori che ho a disposizione, non lo decido io" ha risposto appena tre giorni fa a chi gli chiedeva se avesse pensato ad un modulo diverso magari su cui lavorare nella sosta mondiale. E questa risposta ha una doppia valenza: da una parte si riferisce alle caratteristiche tecniche, ma dall’altra allo spessore caratteriale. Quando qualcuno non gli sembra all’altezza di giocare per lui (sì, per lui, non per la Roma, nella sua testa sono due cose diverse), non per incapacità tecnica ma per l’atteggiamento, ci mette un attimo a metterlo da parte. Basti ricordare all’epurazione dopo la pesante sconfitta dello scorso anno contro il Bodø, con l’esclusione praticamente permanente degli uomini che ha ritenuto colpevoli soprattutto per l’approccio alla partita, non per gli errori sul campo. Recuperò solo Kumbulla, proprio perché ne apprezzò i miglioramenti settimana dopo settimana (e oggi l’albanese sembra essere nuovamente tornato nel dimenticatoio, tanto che i tre difensori titolari sono alla decima partita consecutiva di Serie A).

Quella voglia di strafare

Chiaro che se invece si guarda alla partita nel suo insieme allora non si possono ignorare le solite difficoltà nella costruzione del gioco, la complicata interpretazione della fase di non possesso con un centrocampo composto da Matic e Cristante (due giorni prima aveva detto "Matic non è stato preso per giocare con Cristante", e non è una contraddizione, tutt’altro) con il limitato contributo di Volpato che aveva il compito difensivo di schermare le iniziative di Maxime Lopez, il ridottissimo contributo che danno i giocatori chiamati in causa saltuariamente e che, inevitabilmente, pensano più a mettersi in evidenza a livello personale che a fare il bene della squadra: sintomatico il comportamento di Shomurodov che, come evidenziato nelle grafiche accanto, nel due contro due nel primo tempo che poteva portare al vantaggio della Roma, ha provato a battere Consigli da posizione molto laterale piuttosto che restituire il pallone a Zaniolo nel corridoio naturale che gli si era aperto proprio per il tentativo dei difensori del Sassuolo di arginare la sua conclusione. E lo stesso Belotti è andato spesso a sbattere il muso contro la difesa schierata avversaria piuttosto che cercare le combinazioni con i suoi compagni: lo ha fatto anche nell’azione da cui è nato il gol del pareggio. Sanno quanto possa valere  per loro un gol nel peso delle valutazioni dell’allenatore e cercano soprattutto quello. Atteggiamento che riscontriamo spesso anche in El Shaarawy.

Manca l’autocritica?

Si dice così che Mou attacca tutto il resto del mondo quando la Roma non vince per allontanare ogni responsabilità da se stesso. Eppure noi siamo sicuri che non è quello il fine di Mourinho. Per quanto abbiamo imparato a conoscerlo, il tecnico è davvero convinto che la responsabilità di un allenatore in certi microcasi siano piuttosto limitate. Lui evidentemente sente che la sua squadra senza i due principali acquisti sul "mercatino", Dybala e Wijnaldum e adesso persino senza Pellegrini sia decisamente meno forte di quella dello scorso anno e già questo dovrebbe metterlo al riparo da ogni considerazione specifica. In più se in certe partite (l’errore di Ibañez in un derby estremamente equilibrato e l’orrore della difesa nel pareggio di mercoledì) nonostante le premesse si perdono punti preziosi per circostanze estemporanee, non è lui a dover essere chiamato in ballo. Insomma, per dover considerare che le sue dichiarazioni siano strumentali per scaricare da se stesso le responsabilità, dovremmo pensare che lui si ritenga in realtà responsabile. E invece siamo sicuri che non lo pensi affatto: "Sono loro che devono salire al mio livello, non io scendere al loro". Mou continua a pensarla così.

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