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L'analisi tattica di Chievo-Roma, concentrandosi sul Porto

Difesa da registrare. Si vede un’idea di cambiamento ma anche al Bentegodi sono stati concessi troppi tiri. In Champions servono maggiore applicazione e Ddr

Kolarov calcia per il 3-0 contro il Chievo, di LaPresse

Kolarov calcia per il 3-0 contro il Chievo, di LaPresse

10 Febbraio 2019 - 11:28

Dopo, le partite che tutti gli espertoni avevano spiegato in ogni modo quanto fossero difficili, diventano improvvisamente vinte in quanto facili, e dunque avanti il prossimo. Eppure la prestazione della Roma a Verona non è stata né esente da errori né semplice come il risultato (maturato in neanche 50 minuti) autorizzerebbe a pensare.

Basti scorrere in sintesi le cifre sommate dalla squadra di Di Carlo: sono stati addirittura 16 (contro 15) i tiri verso la porta di Mirante (di cui 5 nello specchio), 464 i passaggi effettuati (appena 28 meno di quelli della Roma), 48,5% il possesso palla (quasi il 51% nel secondo tempo) mentre il dato degli expected goal alla fine riconosce alla Roma un vantaggio minimo, 1,4 a 1,05 per i giallorossi.

Significa che sommando tutte le conclusioni in quelle circostanze e da quelle posizioni, il Chievo avrebbe statisticamente meritato di segnare un gol e la Roma un po' meno di un gol e mezzo. Al di là dei riferimenti numerici, però, la partita ha dato la netta sensazione di diverso censo, con una squadra capace prima di imporsi, poi di gestire, poi di chiudere i conti, e poi di scialare un po', lasciando l'iniziativa agli avversari.

La difesa da rivedere

Qualcosa però nella fase difensiva di Di Francesco ancora non funziona ed è quello che maggiormente preoccupa oggi i tifosi alla vigilia dell'importantissima gara d'andata degli ottavi di finale dell'amata Champions League contro una squadra complicata come il Porto di Sergio Conceiçao. L'aspetto più rilevante dei portoghesi è l'altissimo tasso agonistico.

Tatticamente alternano il 442 (il sistema preferito, con tutta la rosa a disposizione) al 433, a volte semplicemente spostando in avanti il polivalente Hector Herrera, spesso accostato alla Roma. Ma in omaggio al carattere ferreo del loro allenatore (che con la Lazio vinse lo scudetto del 2000), sanno alzare i ritmi a volte fino a rappresentare una sorta di Atletico Madrid in salsa lusitana (e chissà quanto incida il fatto che Simeone sia stato compagno di squadra in biancoceleste del tecnico "portista"). E questo aspetto preoccupa un po'.

Sospinto da tanta verve agonistica (esaltata dall'arrivo di Pepe in una difesa già muscolare, che ha costretto il talentuosissimo Eder Militao a spostarsi a destra), il Porto metterà a dura prova la difesa romanista con rapide incursioni in verticale, aggiramenti sulle fasce e diversi cross con i terzini, soprattutto da sinistra, col mancino vellutato di Alex Telles. Ci vorrà massima concentrazione individuale da parte dei giocatori prescelti (se Manolas starà bene, sarà lui l'unica novità nel reparto arretrato rispetto al Bentegodi), ma anche una diversa organizzazione di reparto.

Gli errori di reparto

Anche a Verona infatti non è sembrata inappuntabile la lettura tattica di alcune macrosituazioni che invece una squadra ben organizzata dovrebbe saper gestire con più disinvoltura: dai tempi di "scappata" addirittura su punizione battuta dal portiere avversario (vedi approfondimento nella pagina accanto) alle coperture preventive in fase d'attacco, dallo scaglionamento in area sui calci piazzati (anche venerdì sera il secondo palo è rimasto un paio di volte senza presidi, e in un'occasione stava per nascere il gol di Djordjevic) ai tempi di aggressione nelle pressioni.

Un paio di volte si è sentito attaverso i microfoni di bordo campo Di Francesco richiamare i suoi a una diversa attenzione. Al 18', rivolto a El Shaarawy, ha urlato «Stephan abbassati ancora un po', stiamo tutti un po' più dietro». Al 38', a Dzeko: «Edin dobbiamo accorciare di più tutti perché siamo troppo distanti». Qual è l'obiettivo del tecnico, attraverso quali concetti passa la sua idea di cambiamento maturata dopo la tremenda sconfitta di Firenze?

Sulla punizione al 15' (sullo 0-1) battuta sulla trequarti del Chievo da Sorrentino (fotogramma 1), la difesa giallorossa si colloca a neanche trenta metri di distanza per non portare troppi avversari nella propria metà campo. Scelta coraggiosa condivisa con quasi tutte le migliori squadre d'Europa. Un attimo prima della battuta però la difesa dovrebbe "scappare" in blocco (e invece lo fanno bene solo i due centrali) e quando poi inevitabilmente uno va a saltare, gli altri tre dovrebbero "stringere" il campo alle sue spalle per evitare che l'eventuale duello perso arrechi danni: invece Marcano e Kolarov restano larghi. Per fortuna della Roma, la "spizzata" di Djordjevic, ostacolata da Fazio, non sarà profonda e Marcano riuscirà ugualmente ad intervenire.

L'importanza di De Rossi

Di Francesco non ha alcuna intenzione di rivedere la sua filosofia ultraoffensiva, ma sta cercando una migliore copertura degli spazi sia attraverso il nuovo sistema di gioco (che poi è il suo vecchio modo di difendere, con un vertice basso e due mezze ali davanti ai quattro difensori) sia attraverso diversi movimenti di uscita del regista. Sa bene però quanto sarà importante per lui avere a disposizione in tutte le partite più importanti di questa seconda fase di stagione l'uomo che meglio di tutti sa garantire equilibrio tattico nelle due fasi di gioco: Daniele De Rossi.

Con lui la Roma si difende meglio e attacca con maggior imprevedibilità. Bisognerà solo capire se accanto a lui DiFra sistemerà Nzonzi lasciando a Zaniolo maggiori licenze di attaccare o preferirà il dinamismo di due mezze ali come Niccolò (l'altro sicuro di giocare oltre a Ddr) e uno tra Lorenzo Pellegrini e Cristante.

Le note positive

Ciò che maggiormente conforta Di Francesco in queste ore è la consapevolezza di essere comunque riuscito nuovamente ad uscire dal baratro (l'ennesimo) in cui tutta la squadra era caduta la sera di Firenze. E se col 433 è migliorata la fase difensiva (un gol in due partite), è decisamente più brillante anche la costruzione offensiva, con l'arrivo in forma di Dzeko - il migliore a Verona - al momento giusto.

Una più razionale occupazione degli spazi offensivi consente anche di rivedere un gesto tecnico fondamentale che nella Roma recente era abbastanza sporadico: il cambio di gioco. A Verona è stata un'arma ben utilizzata, nell'attacco alle zone di campo meno presidiate e subito rioccupate con movimenti che in fase di possesso alla squadra giallorossa riescono benissimo. Restano le qualità che il tecnico predilige.

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