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Punto e virgola

Bandiera vera

La sensazione palpabile è che pochi abbiano capito le potenzialità di Daniele De Rossi. Lui sì che è una bandiera, va solo sventolata. Facciamolo

De Rossi durante la partenza per Riad

De Rossi durante la partenza per Riad (GETTY IMAGES)

28 Gennaio 2024 - 08:27

La sensazione palpabile è che pochi abbiano capito le potenzialità di Daniele De Rossi. Forse non è davvero chiaro che in un universo calcistico popolato da allenatori bravissimi che però presentano a ogni livello difetti di forma, di formazione, di comunicazione, di preparazione, di intelligenza, di sensibilità, di passione, di competenza, di psicologia, di attenzione, di conoscenza, di buon gusto, di buon senso, di studio, di espressione, di carattere, di rettitudine, di applicazione, di voglia, di serenità, di perseveranza, di giudizio, di esperienza, e, a Roma, di romanismo, alla Roma è arrivato adesso, per circostanze che è inutile in questo contesto tornare a sviscerare, un signore che potrebbe avere invece tutte quelle qualità messe insieme. Potrebbe. Al momento di sicuro gliene manca una, l’esperienza, non essendo sufficiente il vissuto da “secondo” in Nazionale né quello da “primo” alla Spal, per garantirgli quel bagaglio che indubbiamente arricchisce ogni individuo in ogni percorso professionale, ma su questo bisogna solo attendere il signor tempo. Nel frattempo, sarebbe doveroso per chi ha a cuore le sorti della Roma godersi il momento e tutte le potenzialità di quel che potrebbe accadere, in qualche modo favorendone lo sviluppo. 

Nel nichilismo tipico di questi tempi si propaga invece come un morbo lo scetticismo manifestato in diverse forme di chi vuol metterci in guardia da chissà quale pericolo. Pensateci un attimo: se dovesse andare come nelle favole, tra quattro mesi o tra sedici o più ci ritroveremo a festeggiare qualcosa insieme a uno dei migliori calciatori della storia della Roma, nel frattempo diventato pure uno dei migliori allenatori. Se dovesse andar male la Roma sarebbe stata affidata in ogni caso per quattro o chissà quanti altri mesi in mani degne di tenerla in braccio e nel frattempo ognuno avrà fatto il suo percorso. E invece no. C’è ad esempio chi, esonerato Mourinho, terrà il muso fino a chissà quando. C’è chi ogni giorno sfoglia la margherita degli allenatori possibili. E se prima i più gettonati erano Conte e Motta, adesso nel gruppone è entrato pure Klopp e addirittura, e scusate se ci scappa da ridere, Palladino, con una “notizia” pubblicata ieri da Sportitalia e acriticamente rilanciata da tutti i siti che si occupano di Roma (tranne uno, ovviamente). Per la cronaca Palladino è quel signore che al termine di Monza-Roma manifestò stizzito tutto il suo disprezzo per il comportamento della panchina della Roma, lui è che è cresciuto nel fertile terreno morale della Juventus di Moggi e Giraudo e che fece ribollire la curva della Sampdoria e quel sant’uomo del capitano blucerchiato Palombo per le stupide e plateali prese in giro dopo una vittoria in un derby. 

Non sappiamo se, come probabilmente vorrebbero tutti quei tifosi che evidentemente non si fidano delle qualità di Ddr, i Friedkin abbiano già deciso di sostituirlo a fine stagione con qualcun altro. Ci limitiamo ad osservare che la Roma sta conoscendo sotto la guida di De Rossi una fase di profonda trasformazione, che il lavoro sul campo è tornato al centro delle giornate di Trigoria senza che sia stata intaccata la forza propulsiva della “famiglia”, tutt’altro, e che il mercato va in una direzione piuttosto chiara (in arrivo due talenti tecnici alti 170 cm ciascuno, segno che la palla tornerà a volare bassa) e a quanto pare definitiva. Si ha la sensazione, insomma, che stia partendo una nuova era e se ci ha esaltato quella appena trascorsa con Mourinho piuttosto che stare lì a disperarci per il fatto che si sia interrotta preferiamo concentrarci sulle potenzialità di quest’altra. 

Si tratta peraltro di appoggiare uno che ha già fatto la storia della Roma da calciatore. E che per questo ha un dna davvero Unico. Ieri su Sportweek, il settimanale di approfondimento della Gazzetta dello Sport, hanno dedicato a Ddr una serie di servizi. Uno di quelli d’appoggio intendeva raccontare ai lettori la bellezza di affidare la panchina ad una bandiera. Gli esempi citati nell’articolo facevano riferimento alle esperienze di Gattuso e Filippo Inzaghi al Milan, di Conte alla Juventus, di Simone Inzaghi alla Lazio. Dimenticando le esperienze da giramondo che ognuno di questi ottimi allenatori avevano maturato prima e dopo la loro militanza nel club di cui sarebbero asseritamente bandiere. E una volta di più abbiamo apprezzato l’unicità di Daniele, uno che dopo una vita nella Roma è andato fino in Argentina per non chiudere la carriera rischiando di giocare contro la Roma e che finora ha allenato solo a Ferrara, in Serie B. Lui sì che è una bandiera. Va solo sventolata. Facciamolo.

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