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Alberto De Rossi: "Daniele un giorno al posto mio? Da padre dico che può fare tutto"

L'allenatore della Primavera: "Quando ho iniziato lo staff era di quattro persone, ora siamo in quattordici. E di questo non possiamo che ringraziare la società"

25 Marzo 2018 - 08:40

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Uno dei problemi del calcio italiano è il gap tra calcio giovanile e calcio professionistico. È proprio così grande?
«Sì. Nel settore giovanile il ragazzo è un soggetto, nel mondo dei grandi diventa oggetto. È tutto diverso. Nelle giovanili lavori per vedere risultati nell'arco di sei mesi, tra i grandi quei sei mesi si riducono a sei giorni».

Sarebbe favorevole alle squadre B anche nel nostro calcio?
«Certo. Per una società come la Roma, una seconda squadra in serie B sarebbe una soluzione e un trampolino di lancio per molti dei nostri ragazzi».

Non c'è anche il rischio che quando un ragazzo della Primavera debutta poi tra i grandi, ci sia un'esposizione mediatica eccessiva? L'ultimo esempio è stato Antonucci.
«Fa parte del gioco. Ma non deve appartenere ai ragazzi e agli staff esaltarsi per un evento positivo o deprimersi per uno negativo».

Ha allenato centinaia di ragazzi. Ci fa il nome di uno su cui avrebbe scommesso e che poi invece si è perso?
«Emiliano Landolina. Quando lo vedevo giocare mi ricordava Rivaldo, ma io certo non glielo dicevo. Ero convinto che potesse diventare un giocatore importante».

Qual è, al contrario, il calciatore con cui si riconosce di aver fatto un buon lavoro?
«Ce ne sono parecchi. Ma se devo dire un solo nome, allora faccio quello di Matteo Politano. All'inizio sembrava uno che non si prendesse troppo sul serio. Un giorno lo presi da parte e con lui fui molto duro dicendogli che stava buttando una grande possibilità perché aveva le qualità per fare strada».

Come le rispose?
«Ascoltando. Che è una qualità importantissima in un ragazzo. Chi ascolta, migliora».

Sulla panchina della Primavera è stato in oltre seicento partite. Ci dice quella che le ha dato maggiori soddisfazioni?
«Non è facile sceglierne soltanto una. Dico la finale di Coppa Italia all'Olimpico contro la Juventus. Meravigliosa. C'erano oltre ventiduemila tifosi presenti, alla fine fu una festa infinita, tutti a cantare. Mi creda, indimenticabile».

Le crediamo. E poi altre partite che vorrebbe rivivere?
«Quanto spazio ho?».

Quello che vuole.
«La finale di Supercoppa con l'Inter, la finale di Coppa Italia con l'Entella, la finale scudetto a Pistoia contro il Varese: riacciuffammo il risultato a venti secondi dalla fine con Montini e poi vincemmo ai supplementari, un'emozione pazzesca. E poi la semifinale e la finale scudetto della stagione 2015-16, Inter e Juventus, squadre fortissime, entrambe battute ai calci di rigore. E poi mi piace ricordare tutta la stagione precedente al terzo scudetto. Avevamo una grande squadra, Pellegrini, Calabresi, Capradossi, Sanabria, Verde, giocammo quarantanove partite, è stato il primo anno di Youth League, arrivammo in fondo a tutte le competizioni. E poi non posso non ricordare la vittoria di quest'anno a Londra con il Chelsea che non perdeva in casa da tre anni e mezzo».

Ci sarà pure una partita che vorrebbe rigiocare?
«Il quarto di finale del 2005-06. Lo perdemmo contro la Fiorentina, ma eravamo nettamente più forti, avevamo giocatori come Cerci, Okaka, Greco, Virga, Marsili, Freddi, uno squadrone. Stavamo vincendo uno a zero, poi buttammo tutto».

Che accadde?
«Che i ragazzi cominciarono a fare i fenomeni in campo. Subimmo il pareggio al quarto minuto di recupero del secondo tempo e poi perdemmo nei supplementari. Nel dopo partita negli spogliatoi arrivarono Bruno Conti e Luciano Spalletti. Erano imbufaliti. Furono durissimi con i ragazzi».

Che valori punta a trasmettere ai suoi ragazzi?
«Correttezza e coerenza. In questo sono fortunato perché sono me stesso. Inseguo il risultato, ma più durante gli allenamenti che in partita, sapendo che quello che dai ricevi. Quest'anno la Roma è la squadra con zero espulsioni e meno ammonita, e siamo pure una di quelle che gioca meglio. Questo è il calcio che conta».

Rispetto ai suoi inizi, cosa è cambiato a livello giovanile?
«Tutto».

Addirittura?
«Le do un semplice dato. Quando ho cominciato con la Primavera, lo staff era di quattro persone, ora siamo in quattordici. E di questo non possiamo che ringraziare la società che ci ha sempre messo a disposizione il meglio».

Anche per quel che riguarda la tecnologia di cui oggi si parla tanto?
«Il calcio si è evoluto. È davvero cambiato molto. Abbiamo fatto tournée in tutto il mondo, Vietnam, Sudafrica, Stati Uniti, Canada, la Youth League è stata una grande innovazione, il campionato è diventato molto competitivo. Per tutti è stata una crescita professionale. Le sollecitazioni sono diverse ma tutte mirate a far crescere i ragazzi. Anche noi della Primavera ora abbiamo il match analist. La tecnologia è all'avanguardia, noi utilizziamo la stessa della prima squadra e questo ci aiuta tantissimo».

Ma davvero la tecnologia può scoprire il nuovo Totti?
«Può aiutare».

Un'ultima cosa che poi è un nostro auspicio: fra cento anni quando Alberto De Rossi dirà basta, le piacerebbe che al suo posto sedesse un altro De Rossi che di nome fa Daniele?
«Da papà, dico solo che Daniele può fare tutto. Arrivederci».

Arrivederci. E grazie. Di tutto.

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