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L'intervista - Desideri: «Rifiutai il trasferimento, ecco come andò. Mi rivedo in De Rossi»

Inter-Roma, parla il doppio ex: «Fare del disfattismo ora è inopportuno, la pausa avrà fatto bene»

14 Gennaio 2018 - 08:20

Gli anni trascorsi da calciatore della Roma se li sente tutti dentro. Ha l'animo  giallorosso Stefano Desideri che esterna sussulti di romanismo parlando della squadra attuale, raccontandoci la sua Roma e presentando la sfida con l'Inter di domenica prossima. Ci ha parlato di calcio dopo l'ultima buca di un sabato pomeriggio trascorso al Parco di Roma Golf Club, in via dei Due Ponti, tra un ace e  un drop. Gira l'Italia per la Roma alla scoperta di talenti: dieci Academy sparse lungo la penisola lo tengono parecchio impegnato. «Ma il tempo per giocare a golf riesco a trovarlo. Ho scoperto questo sport dopo aver appeso gli scarpini al chiodo. All'inizio è stata dura - ha raccontato Desideri -, il golf è molto faticoso anche se potrebbe non sembrarlo. Superato l'iniziale periodo di scoramento, tenendo duro, quando si inizia ad impattare bene la palla, ad avvicinarla alle buche, arrivano le soddisfazioni. Il resto viene da sé. Un po' come nel calcio: c'è sempre una palla, un impatto, e una... porta in quel caso».

Basta con il golf per oggi, parliamo di Roma. Il periodo di crisi ha compromesso la stagione giallorossa?

«Non è così. La situazione attuale non è una tragedia come si vuole far credere.  In un campionato è fisiologico avere un calo, la Roma se lo è messo alle spalle. C'è ancora tutto un girone di ritorno da giocare, una gara da recuperare contro la Samp, tanti scontri diretti da disputare, e tutto può ancora succedere. Per lo Scudetto è dura, è vero, ma bisogna continuare a credere nella squadra. Non è tutto da buttar via e poi c'è un ottavo di finale di Champions League da vincere. La Roma potrà dire la sua. Fare del disfattismo ora è sbagliatissimo e inopportuno. Ma Roma è questa, la conosco bene. C'è la tendenza a osannare il momento magico e fare del disfattismo quando si va male. Questa città è così. Sempre esagerata, nel bene o nel male. E in questa situazione confido in Di Francesco: il nostro allenatore conosce bene l'ambiente e sa come gestire questa situazione».

Il 21 gennaio c'è Inter-Roma. Che partita si aspetta?

«Tra due squadre che vengono da un momento difficile. Per entrambe sarà una sfida verità. Non è decisiva, neanche fondamentale, ma sicuramente molto importante. La Roma ha da vendicare la sconfitta dell'andata. Giocò meglio e non meritava di perdere, ma il calcio è così».

Come si affrontano gare del genere dopo un periodo di crisi? 

«La pausa avrà fatto sicuramente bene. Per la Roma è arrivata al momento giusto: i giocatori ne trarranno positività dal punto di vista della determinazione e della voglia».

Sfida nella sfida a San Siro: Spalletti contro Di Francesco...

«Li conosco entrambi e li considero due grandi allenatori: hanno modi diversi sia nell'interpretare le gare sia nel disporre le squadre a livello tattico, ma li accomuna la ricerca del risultato attraverso il gioco».

I suoi Inter-Roma: cosa ricorda di quelle gare?

«Una in particolare, fu quasi surreale. Il primo Roma-Inter dopo il mio passaggio in nerazzurro: avevo lasciato la Roma da poco tempo e il calendario fu tremendo, alla seconda giornata c'era in programma la gara all'Olimpico. Quante emozioni in quella partita, mi venivano in mente mille cose, stranissimo».

Il suo passaggio all'Inter: quanto fu difficile lasciare la Roma?

«È stato un brutto momento per la mia carriera. I mesi compresi tra la morte di Viola e l'avvento di Ciarrapico furono complicati. Rifiutai il trasferimento, non volevo lasciare la Roma. La società aveva bisogno di fare cassa, era in difficoltà: i presidenti si misero d'accordo e non riuscii più a oppormi. A quei tempi decidevano i club, oggi è diverso i giocatori con il supporto dei procuratori hanno maggior potere decisionale. All'Inter disputai una stagione positiva, ma c'erano dei problemi di squadra. L'anno successivo scelsi l'Udinese per ritrovare un po' di serenità e poi ripartire da una grande, invece ho finito per restare in Friuli quasi fino al termine della carriera».

È vero che aveva un carattere difficile?

«Ero schivo e parlavo poco, non amavo i palcoscenici e le interviste. Questo significa avere un carattere difficile? In campo ero uno che dava tutto, grintoso, focoso. Poi qualcuno mi aveva etichettato. A Roma, la capacità di etichettare appartiene a tanti mestieranti».

Eriksson, Liedholm, Radice, Bianchi: cosa le ricordano questi nomi?

«Tutti e quattro mi hanno dato tanto. Eriksson  mi ha fatto esordire e ha creduto in me. Liedholm mi ha insegnato a stare in campo, con uno sguardo mi faceva capire cosa dovevo fare. Bianchi, nella sua scontrosità, era diretto e tirava fuori il meglio dai calciatori. Radice mi ricorda un anno fantastico: in questo periodo non sta benissimo, ha qualche acciacco  e colgo l'occasione  per mandargli pubblicamente un grande abbraccio».

Ha dei rimpianti?

«Roma-Lecce e la finale di Coppa Uefa persa contro l'Inter».

Giannini?

«È stato un compagno di squadra per tutti gli anni di Roma: persona leale, abbiamo un buon rapporto».

Ancelotti?

«Carlo è stato il mio grande maestro: il suo addio alla Roma fu molto doloroso per me».

E De Rossi?

«Mi rivedo molto in Daniele. Quando le cose vanno bene viene osannato, quando vanno male è il primo bersaglio ad essere colpito. Lui è romano, romanista e non gli viene perdonato nulla. Non si pensa a quanto tiene alla squadra, nei momenti difficili i calciatori come Daniele sono quelli che soffrono di più».

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