Totti l'infinito addio
All’Olimpico una cerimonia laica che sconfina nel sacro, un dio con i pantaloncini e maglietta della Roma che torna uomo e chiede aiuto al suo popolo: noi non ti lasceremo mai

(GETTY IMAGES)
Ci vado con mio figlio a vedere Roma-Genoa che è anche l’ultima di Totti. Sento che devo farlo. Poi col Genoa per noi romanisti è sempre l’ultima partita, anche se in verità quella stagione in cui diventammo campioni dopo 41 anni era la penultima giornata. D’altronde chissà se questa lo è veramente l’ultima. Gioca la Roma che vince al 90’ 3-2 dopo una gara – in tono minore certo – che è sembrata quella col Lecce dell’86 perché ti dici “vabbe’ mo vincemo”; “vabbe’ adesso segniamo e pure facilmente”; “ma che davvero questi stanno a gioca’ così”; “ma che vonno questi?”; “oddio ma che veramente non ci riusciamo?”; “quanto manca?”; “quanto manca alla fine?”. Evidentemente era una domanda che ci dovevamo porre bene domenica 28 maggio 2017. Manca il gol di Perotti. Perotti che lo puoi quasi leggere “Per Totti” e per la Roma, 3-2 come col Lecce che era un 20 aprile dell’86, ma stavolta nel verso giusto, 3-2 come col Torino che era il 20 aprile dell’anno prima quando Totti entrò e fece due gol in boh, un minuto suppergiù. Roba impossibile. Qui sta accadendo qualcosa di più grande. Adesso.
Francesco Totti calcia il suo ultimo pallone contro i suoi anni, tira il suo ultimo pallone contro Laxalt che alle 19.59 del 28 maggio ha il numero 93. Laxalt il numero 93 chissà da quanto ce l’ha, chissenefrega, soltanto che in questo momento per la prima volta se ne accorge qualcuno e oggi ci ricordiamo tutti che nel ’93 tutto ha avuto inizio. Era il 28 marzo. È il 28 maggio. Che anno è? Che giorno è? È sempre quello di vivere con te, pensa, soprattutto adesso che è finita, che la Bandiera sta vicino alla bandierina, sulla linea di fondo fra campo e realtà nel semicerchio della vita.
Tagliavento è l’ultimo arbitro, in fondo ha il cognome giusto per un romanzo. Per questa cosa qui. È finita la partita della Roma, è finito pure il campionato, ed è terminato pure tutto all’ultimo minuto. Sotto la Sud. Finisce sempre tutto lì e da lì sempre ricomincia: la Sud è il nostro centro di centrocampo e l’unico centro di gravità permanente possibile. Over and over again. Adesso che inizia? Inizia la fine? Davvero stiamo vedendo l’ultima di Totti? Anzi no, davvero abbiamo visto l’ultima di Totti? Che vediamo adesso? Che cos’è, una cerimonia? Una festa? Un funerale? Un matrimonio-triste o un funerale-allegro, citando Amleto? Essere non essere, forse sognare... Forse...
Totti non ha più il pallone ma ancora la maglia e i calzoncini della Roma, ha giocato la sua ultima partita con la Roma ma è ancora in campo. Non corre, non gioca. Cammina. Sta camminando su quel forse. È un sogno. Sta nel mezzo in un tempo sospeso che non volevamo sognare, fra essere un giocatore della Roma e non esserlo più. Può Totti essere qualcos’altro da Totti? Altro che Amleto e l’inaugurazione della tragedia moderna. Cosa è adesso tutta questa gente che ti piange intorno e si innamora? Totti tu sei la Roma, te lo ha scritto la Curva Sud prima e se lo ha scritto la Sud è vero. Ma come la Roma è “solo” Totti? No, Totti è la Roma, la Roma è anche Totti, anche Agostino, anche Ferraris iv, anche Giacomino...
La Roma è questa cosa qui di enorme che sta accadendo allo stadio, quest’emozione, mentre Totti non è già più un giocatore eppure lo è ancora: la divisa è persino quella dell’anno a venire. In questo momento di addio al passato indossa il futuro. Il tempo si piega su se stesso: un pallone tirato dal 2017 al 93’. L’anno o Laxalt fa uguale. Tutto è numero diceva Baudelaire nell’Olimpo, Totti è tutto dicono all’Olimpico. Avvisate Proust e qualche altro filosofo. Meglio i poeti, forse.
Chi sta allo stadio ha gli occhi solo su quel giocatore che da sempre è stato un po’ uno specchio per i romanisti: quel numero 10, soprattutto col font nuovo, non è mai stato solo un numero e ai romanisti è sempre sembrato più un Io. I tempi crollano. I pronomi spariscono.
In questo post Roma-Genoa (ma quale? quello dell’83? Quello atteso 41 anni, l’età di Totti adesso? O questo?) c’è insieme la persona più sola al mondo e il popolo, e non si sa chi sia più solo. Non si sa chi abbia più paura. Scion Scion (suonano Morricone, un romanista ricordiamolo, un romanista che si metteva dietro la porta di Masetti a Testaccio: la Roma è sempre da Oscar, la Roma è popolo e insieme una storia colta) giù la testa sotto la Tevere a piangere. Scion scion la musica è finita ma i romanisti non se ne vanno. Lui sta solo come Dio.
Lui lo è stato un po’ per tutti, anche per le industrie culturali che se ne sono approfittate e i nemici che lo hanno spesso e, soprattutto, volentieri, bestemmiato e che adesso sono diventati all’improvviso tutti amici. Legge una lettera: c’è una scena più potentemente poetica di questa, di una lettera scritta di notte e vera di giorno? Una lettera, la cosa più antica e intima possibile, letta in diretta Sky e Mediaset da un uomo che non è più un calciatore ma è solo un uomo? Cyrano avrebbe avuto delle difficoltà. Shhhh. Sta lì solo come Dio e chiede aiuto. Chiede persino il permesso, e poi il permesso di aver paura. Il gesto più forte e più fragile insieme.
La sensibilità e la decisione di lasciare senza perdere niente. In quel momento in uno stadio ho visto dio chiedere aiuto. L’ho visto pregare: «ho bisogno di voi». E ho sentito esaudire le preghiere: «Noi non ti lasceremo mai!». Farsi qualcosa più di uomo: con i calzoncini, tirando via l’ultimo pallone Dio oggi non lascia il calcio ma torna bambino. È quello che ha la fascia al braccio. Scion scion. Su la testa adesso perché ci ha detto “ti amo”. Il tempo che c’è stato un giorno è tornato, questo è il giorno in cui un capitano è stato al potere e con quel potere ha detto Vi amo. Scion scion. Shhhh non disturbate, stiamo facendo l’amore. È la Roma.
È quella cosa che i romanisti c’hanno dentro e che sanno bene e non sapranno mai dire. Perché è esattamente quella cosa che ti impedisce di parlare. Quella Cosa che hanno scritto i fratelli Lalli nel 1942. Esiste, accade nel momento stesso in cui tu non puoi spiegarla, perché non ne hai bisogno, in quel momento hai tutto quello che cercavi. La vita, la Roma. Fatta anche di addii e di separazioni, di sogni, e di emozioni. La vita, la Roma. La vita, la Roma.
Diceva Agostino Di Bartolomei che esistono i tifosi di calcio e poi ci sono i tifosi della Roma; io dico che c’è il Calcio e che c’è la Roma.
Si può lasciare il calcio, ma come fai a lasciare la Roma? Non si smette mai di essere romanisti. Lo si è in questo abbraccio con mio figlio (nel mio come in quello di qualsiasi altro padre), mentre gli urlo “Forza Roma” perché lui ha già imparato che si risponde “Sempre”. Così non finisce mai niente.
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