Tor di Valle, una storia sbagliata
L’area scelta nel 2012 per lo Stadio della Roma oggi vive nel degrado. I comitati, però, non si sentono più

Questa è la storia di una mattina d’ottobre, con Roma scaldata dal sole, di una passeggiata trascorsa con lo sguardo puntato a terra, a contare i rifiuti, evitando materassi abbandonati e altri che lasciano intuire degli usi poco convenzionali, incrociando chi, in questo luogo, tenta di portare avanti una quotidianità tutta sua. Gli occhi si soffermano sulla recinzione consumata dal tempo, nella sua accezione cronologica e meteorologica, sul graffito a terra: «Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate». Se Dante andava nella città dolente, nell’eterno dolore e tra la perduta gente, noi siamo tornati là dove la Roma voleva costruire la sua nuova casa. Dove oggi, a distanza di anni, tutto è rimasto fermo, congelato, decadente e, se tra la selva oscura delle piante infestanti ci si può ancora muovere, si fatica a intravedere una possibile scalata verso il Paradiso, verso il recupero di quest’area ormai lasciata al suo destino. Questa è la storia di Tor di Valle. Sedotta e abbandonata.
Dal fiume alla Via del Mare
La Via del Mare come striscia di confine. Da una parte la stazione di Tor di Valle, fermata della Roma-Lido, trasformata rispetto a qualche tempo fa. Ora chi aspetta il treno può farlo coperto dalla tettoia in caso di pioggia, dopo aver pagato e timbrato il biglietto, rispetto alle “corse gratuite” che i precedenti tornelli a singhiozzo potevano permettere. E oltre il confine della Via del Mare, verso il Tevere, che cosa c’è? Ci doveva essere un posto fatto apposta per noi, avrebbe suggerito Venditti, ma la realtà racconta ben altro. C’è ancora lo scheletro dell’Ippodromo fantasma, in disuso dal 2013. Alla fine dell’anno precedente, l’area di Tor di Valle era emersa dopo uno studio portato avanti per mesi da Cushman & Wakefield, società leader nel settore immobiliare alla quale si era affidata l’ex proprietà guidata da James Pallotta per individuare la zona dove far sorgere la nuova casa della Roma. Il 30 dicembre 2012, mentre il mondo doveva essere da poco finito per la profezia Maya, iniziava l’iter per lo stadio a Tor di Valle, con la conferenza stampa congiunta Orlando-Trigoria, con Pallotta, Parnasi e Totti in Usa, Fenucci e l’allora sindaco Alemanno al Fulvio Bernardini. Il 25 febbraio 2021, i Friedkin rinunciavano al progetto di Tor di Valle, dichiarando di aver già iniziato la ricerca di una nuova area, che sarebbe stata poi identificata in Pietralata. In mezzo, 3.314 giorni, tre sindaci di Roma (più un commissario prefettizio), un cambio di proprietà e un’infinita battaglia politica e burocratica.
Non basterebbero le righe di tutto il giornale per raccontare con dovizia di particolari quegli otto anni, ma ricordiamo la presentazione in Campidoglio, alla presenza di Marino. Il progetto di Dan Meis oggetto di campagna elettorale per Virginia Raggi, che una volta eletta ottiene le modifiche al progetto per poi gestire le resistenze dell’assessore Berdini. Il primo progetto definitivo e la Conferenza dei Servizi nel giugno del 2016. Le torri che spariscono e la seconda Conferenza dei Servizi in Regione. «Lo stadio si fa» e gli arresti di politici e imprenditori, tra cui Parnasi, nel giugno del 2018 a frenare tutto. La revoca del pubblico interesse, la due diligence interna, lo studio del Politecnico di Torino, la Variante, la convenzione urbanistica e il Comune che chiede un maggiore sforzo economico al privato. E alla fine il Covid, a congelare il Paese in ogni suo angolo. Pallotta vende, Friedkin compra e rinuncia, cambiando strategia.
Ricordiamo anche, però, le battaglie di comitati, più o meno rumorosi e politicizzati, che chiedevano di salvare Tor di Valle dal cemento, proteggere le rane della zona o le preziose tribune di Lafuente. Tutte battaglie consentite e lecite in uno stato democratico. Come chi oggi, anni più tardi, chiede una tutela specifica per il “bosco” di Pietralata e i numerosi pipistrelli che lo abitano. L’interrogativo più grande che però torna alla mente passeggiando in questa assolata mattinata romana d’ottobre, tra i resti di Tor di Valle è: che fine hanno fatto? Che fine ha fatto, per esempio, Italia Nostra, che dopo aver provato a ostacolare il progetto esultò, il 1° marzo 2021, con un comunicato ancora reperibile online intitolato: «Tor di Valle ora è salva». Da cosa si è salvata Tor di Valle? Da uno stadio che avrebbe portato indotto economico alla zona, modificandone anche la viabilità, con la Via del Mare destinata ad unirsi all’Ostiense. Si è salvata da un parco pubblico aperto tutti i giorni per le famiglie dei residenti. Si è salvata da attività commerciali che sarebbero sorte all’ombra della nuova casa della Roma. Si è salvata da un miglioramento del trasporto pubblico, con investimenti dei privati anche verso la Roma-Lido. Solo che, anni più tardi, tutto pare tranne che salva.
Via dell’Ippica, ormai, è chiusa, transennata. D’altronde qui è tutta zona privata. Un tempo dell’imprenditore Papalia, poi di Parnasi e infine di Vitek, magnate ungherese che si è assicurato il terreno nel 2020, dopo i problemi giudiziari del suo predecessore. Ci si può entrare soltanto a piedi e lo scenario che ci si apre di fronte è desolante. Sullo sfondo, il grande cancello sovrastato dall’arruginita insegna «Ippodromo Tor di Valle» è ormai adibito ad accogliere panni e tappeti, da asciugare al sole, di chi in modo abusivo occupa quel luogo un tempo location di “Febbre da cavallo”. A terra la scritta in rosso: «Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate». La vegetazione cresce incontrastata, affossata solo in alcuni punti da mucchi di rifiuti di ogni genere. Da elettrodomestici a indumenti, fino a sedie e materassi. La zona è abitata da un accampamento nomade, con docce di fortuna e capanne tirate su alla buona. Alcuni dettagli per terra lasciano intuire che anche di notte il luogo sia frequentato per attività diversificate. Il grande muro che circonda l’ex ippodromo è ormai consumato e gli spazi vuoti permettono di scorgere, in lontananza, le due tribune di Lafuente. Hanno vinto loro, non sono state demolite da una ruspa, ci sta pensando il tempo a farle cadere pezzo dopo pezzo.
Da cosa si è salvata Tor di Valle? Che fine hanno fatto i comitati o chi, quattro anni fa, esultava per l’addio al progetto da parte della Roma? Interrogativi che rimangono senza risposta, mentre usciamo dalle transenne e riprendiamo la Via del Mare.
Il memento mori
A Firenze, dentro la Basilica di Santa Maria Novella, c’è la Trinità di Masaccio. Nella parte inferiore dell’affresco, è rappresentato un sarcofago, con su scritto un memento mori puntuale per chiudere: «Io fui già quel che voi siete e quel ch’io son voi anche sarete». Questa è la storia di ciò che poteva essere e non è stato, senza giudizi di nessun tipo: da chi ostacolò, a ogni livello, la realizzazione di quel progetto fino a quei ragazzi di vita che oggi provano a colmare a modo loro quel vuoto urbano e civile. Una speranza, però, c’è. Che questa storia sbagliata possa essere d’esempio per qualcuno. Perché, tornando al memento mori, Tor di Valle è già stata ciò che oggi è Pietralata, ora bisogna solo decidere il destino di quest’ultima. Provando a guardare avanti, senza fermarsi al dito dei propri interessi di partito, ma puntando alla luna del progresso e del bene comune.
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