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L'Olimpico vent'anni dopo: dallo Scudetto all'Europeo

Lo stadio è, purtroppo, un’altra cosa rispetto al 17 giugno 2001, ma gli azzurri di Mancini si stanno guadagnando il rispetto di chi solitamente la passione la riserva solo alla propria squadra del cuore

18 Giugno 2021 - 13:31

Vent'anni dopo i gradini dell'Olimpico più o meno sono gli stessi. Vent'anni dopo è cambiata la distanza tra le persone: e se si è pericolosamente avvicinata quella social, quella sociale invece è decisamente aumentata e non si è capito ancora se questo sia un vantaggio oppure no. Vent'anni fa non c'era un centimetro libero dentro lo stadio. Vent'anni dopo se ti azzardi a salutare un amico stringendogli la mano c'è uno steward che ti guarda storto, e rapidamente ti chiede di aggiustare la mascherina per evitare che scivoli sotto il naso. Vent'anni fa lo steward era più tifoso di te e ti abbracciava convinto ad ogni gol. E uno, e due, e tre. Vent'anni dopo fuori dallo stadio ti invitano ad alzare la voce, a divertirti, a partecipare con spirito gioioso alla festa di euro2020, anche se cade nel 2021. Esulti ancora, e uno, e due, e tre, ma non è la stessa cosa.

Vent'anni fa qualcuno provava semmai a contenere il tuo entusiasmo che a un certo punto tracimò in campo sconsideratamente, per la rabbia di Capello che da quel giorno non fa altro che raccontare quanto si sia prodigato lui per evitare la squalifica del campo. «Dilettanti», li chiamava. Nella sua idea vincente, anche i tifosi devono essere professionisti e saper stare al loro posto. Forse vent'anni dopo si è realizzato il suo sogno di stadio ideale, tutti seduti e composti, pronti ad alzarsi solo per festeggiare il gol e ad urlare Italia, Italia.

Vent'anni fa l'urlo Roma, Roma, Roma, dilagava incontrastato. Il sole era caldissimo, i riflessi accecanti, allo stadio si vedevano più bandiere che teste. Vent'anni dopo le bandiere non le fanno neanche entrare, sequestrano tutto fuori. Vent'anni fa abbiamo vissuto il pomeriggio più bello della nostra vita, prima di arrabbiarci anche noi come Capello ma per motivi diversi. I tifosi che vedemmo scavalcare non erano dilettanti, ai nostri occhi. Erano le avanguardie dei tifosi da social, quelli che pensano che un evento sia tale solo se sono loro ad esserne in qualche modo protagonisti, anche sconsiderati protagonisti, perché la cosa coincide sempre per chi ha queste smanie da prima fila.

Vent'anni fa c'era il rosso Roma e il giallo Parma in un catino abbacinato dal sole. Vent'anni dopo c'e l'azzurro Italia e il bianco Svizzera. C'è un campo vivido di altri colori, più tenui, più sfumati. Forse di simile da un ventennio all'altro c'è solo la squadra che va in campo e lo spirito che la anima. Vent'anni fa i protagonisti erano un manipolo di spudorati assaltatori, anche un po' arroganti nell'affermazione della propria forza, come se fosse stato chiaro sin dal primo giorno che quello era il loro/nostro tempo e di nessun altro. I capelli lunghi di Batistuta, Delvecchio, Totti e Candela stavano lì a dirlo a tutti, manifesto di un'epoca, e che epoca. La chirurgica efficacia di Montella. Il piglio da battaglia, ma con gli occhi buoni, di Antonioli, Tommasi ed Emerson. La solida corazza di Zago e Samuel. L'eleganza di Cafu. Giocare contro la Roma era complicato, a rivedere oggi i gol di quella squadra c'è da stropicciarsi gli occhi per tanta bellezza.

Azzardare un paragone su questo giornale potrebbe essere sacrilego. Anzi, lo è, e quindi non lo facciamo. Ma di sicuro l'Italia di Mancini si sta guadagnando non solo l'entusiasmo dei faciloni del popopoppopoppopo, ma anche il rispetto di chi solitamente la passione la riserva solo alla propria squadra del cuore. Ci si divide, certo, tra tifosi. Resta complicato abbandonarsi all'idolatria nei confronti di qualcuno che hai sentito spesso non solo nemico, ma anche naturalmente nemico, per quanto non fosse affine. Ma indubbiamente all'Olimpico sta succedendo, vent'anni dopo, qualcosa di particolare. C'è un allenatore che parla poco e studia tanto, c'è uno staff di amici tra i quali sta vivendo la sua prima esperienza l'unico allenatore potenzialmente in grado di superare, magari nel tempo, le prodezze di Guardiola, e c'è una squadra che propone un gioco esaltante all'interno del quale ognuno sa dove deve portare il proprio contributo, quanto e quando. Vent'anni fa sparavamo al cielo i nostri droplet senza curarci delle conseguenze, il raffreddore si curava con l'aspirina. Vent'anni dopo ci entusiasmiamo solo con gli occhi, ma nessuno capisce neanche se stiamo ridendo o piangendo. Sono cambiati i tempi, solo il calcio è rimasto lo stesso e quando c'è una squadra in grado di destare (rispetto ed) entusiasmo quella passione che da vent'anni cova sotto la cenere è pronta a riaccendersi. Ma quanto sarebbe strano esultare a suon di pugnetti.

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