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La storia di Pastore: dagli esordi in Argentina fino al PSG

Maradona, durante i Mondiali in Sudafrica, disse di lui: «Tocca il pallone come se avesse giocato quattro o cinque Mondiali, Pastore è un “maleducato” del calcio»

26 Giugno 2018 - 07:30

«Tocca il pallone come se avesse giocato quattro o cinque Mondiali, Pastore è un "maleducato" del calcio». Così Diego Armando Maradona il 22 giugno del 2010 ha commentato l'esordio nella rassegna sudafricana del Flaco, entrato in campo a tredici minuti dalla fine di Grecia-Argentina, vinta dall'albiceleste per 2-0 proprio nei minuti finali. Stregato dalla disinvolta eleganza del calcio di Javier, l'allora commissario tecnico argentino non avrebbe mai potuto immaginare che i 36 minuti totali (distribuiti in tre partite) concessi all'allora trequartista del Palermo sarebbero rimasti gli unici disputati in una Coppa del Mondo. Nonostante alcune convocazioni durante il girone di qualificazione, Jorge Sampaoli non ha inserito il nome di Pastore nemmeno nella lista dei trentacinque preconvocati per Russia 2018.

Una scelta che non deve preoccupare affatto i tifosi romanisti, vuoi per la pochezza evidenziata sin qui dall'Argentina, priva soprattutto di inventiva e fantasia a centrocampo, vuoi perché la sua esclusione consentirà a Eusebio Di Francesco di iniziare a conoscere prima del previsto il calciatore. Nato a Cordoba il 20 giugno del 1989, Javier Pastore ha sin da subito incarnato un'idea romantica del calcio, proiettata alla ricerca della purezza estetica del gesto tecnico. Nutrita costantemente tra i vicoli e i campetti ai piedi delle Sierras Chicas, l'innata propensione al bello gli ha consentito di superare le difficoltà e i pregiudizi legati ad una fisicità troppo esile, perfettamente sintetizzata dal nomignolo el Flaco (il magro).

«Per me il calcio è un lavoro, però allo stesso tempo non deve smettere di essere un gioco. Se giochi divertendoti le cose riescono meglio che soffrendo», disse alla rivista El Grafico nel dicembre del 2010. Divertirsi per divertire. Questa la missione dell'argentino con passaporto italiano. Compiuta? Spesso e volentieri sì, anche nelle stagioni più difficili al Paris Saint-Germain dove, non a caso, è entrato nel cuore della tifoseria grazie al suo talento abbacinante che, in quanto tale, anche in un solo sprazzo sa sprigionare quel magnetismo che cattura e non ti lascia più.

Gli esordi argentini

La prima squadra a notare le doti tecniche di Javier è stato il Club Atlético Talleres nel 1999. Svolta tutta la trafila nelle giovanili del club, nel 2007 arriva in prima squadra, collezionando 5 presenze in Segunda Division ancora diciassettenne. Prima dell'esordio ci fu la bocciatura "indolore" da parte del Villarreal. «Quello è stato comunque uno dei più bei giorni della mia vita, ho conosciuto il mio idolo di sempre: Romàn Riquelme», racconterà dopo qualche anno. Vedendolo giocare, il presidente dell'Huracan, Carlos Alberto Babington rimase letteralmente folgorato da Pastore. Al punto che per riuscire a tesserarlo, nel 2008 si appoggia a una holding argentina, pronta a versare duecentomila dollari per accaparrarsi il 55% del cartellino. Un investimento spregiudicato che darà tuttavia i suoi frutti di lì a poco. Al Flaco basteranno infatti 31 partite, 8 gol e 6 assist per attrarre le attenzioni di diversi direttori sportivi europei. Il più deciso è però Walter Sabatini che convince Maurizio Zamparini a sborsare quasi sei milioni di euro per portarlo al Palermo. Con 16 gol e 16 assist dal 2009 al 2011, il ragazzo convince il Psg a staccare un assegno da circa 43 milioni di euro. Caratterizzati da qualche infortunio e da una concorrenza agguerrita, i sette anni parigini hanno comunque portato in dote 45 gol e 62 assist in 269 presenze complessive. Davvero niente male.

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