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A Soriano

De Rossi: «Il calcio giocato non mi manca, la Roma sì»

La bandiera: «Coi giallorossi un percorso d’amore, ho dato tutto ma ora penso a fare l’allenatore. Friedkin fa bene a tenere tutti con i piedi per terra»

08 Settembre 2020 - 15:23

Quanti romanisti ci saranno a Soriano nel Cimino, cuore della provincia di Viterbo, quasi 100 chilometri da Roma? Parecchi, a giudicare dall'ovazione che ha accolto Daniele De Rossi sul palco del premio intitolato a Pietro Calabrese. Seguita da uno striscione, «Da Ostia a Soriano / DDR nostro Capitano». E Daniele non si è sottratto: camicia bianca e abito color nocciola, si è dovuto abbassare più volte la mascherina per non deludere i tanti che gli hanno chiesto un selfie. Prima di salire sul palco, in una sorta di zona mista, gli è stato chiesto del suo futuro in panchina.

«Negli anni si è detto di tanta gente a cui non avresti dato una lira, invece hanno fatto bene. Parlare prima non è giusto. Di sicuro ho grande voglia e penso di avere qualche idea, intanto devo prendere il patentino». Anche se la Fiorentina aveva pensato a lui, già per la prossima stagione. «Sono molto vicino a fare il corso, spero di avere opportunità importanti. La Fiorentina sarebbe un'occasione gigante, una piazza importante e ci andrei a piedi, così come in qualsiasi altra squadra di Serie A. Sarebbe una grande responsabilità ma sono questi gli obiettivi di ogni allenatore».

Quando gli viene chiesto della nuova proprietà romanista non si sbilancia: «Devo prendere il patentino per fare l'allenatore, il patentino da dirigente lo lascio ad altri. Non mi sento di dare consigli particolari. Tenere tutti con i piedi per terra fa bene, perché fare promesse che non puoi mantenere in una piazza come Roma rischia di accendere gli animi subito. Sarebbe un grande errore. Meglio partire calmi e poi sorprendere tutti. Cosa avrei fatto se mi avessero chiamato? Io devo fare il mio percorso e poi vedere chi sarà interessato. Adesso parlare del nulla non serve. Poi ogni parola mia a Roma pesa il doppio e non è corretto. C'è tanta gente che sta lavorando, un allenatore e una società nuova: devono fare il loro percorso e io farò il mio. Devo stare attento quando parlo e devo rispettare tutti, in primis Fonseca. Un ritorno di Totti? Non lo so, chiedete a Francesco. L'ho sentito ma non abbiamo parlato di calcio».

Nessuna risposta sulla possibile cessione di Dzeko: «Il mercato è una questione molto vostra. Il campo non mi manca, non ho più toccato un pallone da quando ho smesso. Avrei voluto vivere un po' di più il Boca. A Roma sento di aver dato tutto, lì invece mi è mancato qualcosa. Quando vedo lo stadio sento di aver perso qualche mese o un anno che avrei potuto dedicare a quel posto speciale. Il calcio non mi manca, a una certa età scendere dal letto senza dolori è un regalo. È bello poter allentare la tensione, ma la Roma mi manca sempre, i tifosi li incontro per strada. È stato un percorso talmente lungo e pieno d'amore che l'ho metabolizzato. È stato un lavoro fatto nel corso degli anni e ci sono arrivato abbastanza preparato. Il passaggio da calciatore vecchio ad allenatore giovane? Sono ancora un pensionato giovane. L'espressione "il mio calcio" mi fa sorridere: prendiamo questo patentino e si vedrà». Poi, sul palco, un ricordo del De Rossi tifoso, quando gli viene chiesto del giocatore più forte (Totti escluso) con cui ha giocato. «Ero appena all'inizio, ma posso dire di essermi spogliato vicino a Batistuta. Quando ero al Boca avremmo dovuto vederci, ma non ci siamo riusciti. Ma ammetto che quando chiama e mi appare il suo nome sul telefono, è sempre un'emozione».

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