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L'intervista

Rongoni, il preparatore di Garcia: «Anche a Lione seguiamo il modello Italia»

Ha lavorato con lui anche a Roma: «In Francia stanno sottovalutando il problema. Dal punto di vista atletico questo stop non è un problema per i calciatori»

Rongoni con De Rossi e Paredes

Rongoni con De Rossi e Paredes

15 Marzo 2020 - 10:20

Quando Rudi Garcia fu chiamato da Walter Sabatini ad allenare la Roma si è ricordato di quel preparatore italiano che aveva conosciuto a Le Mans e gli chiese di seguirlo. L'ambiente quell'estate era particolarmente depresso: rialzarsi dopo la sconfitta in finale di Coppa Italia con la Lazio non era facile e a contribuire a far decollare quel gruppo, che dopo una partenza portentosa (dieci vittorie consecutive) arrivò ad insidiare il primato fino a poche giornate dalla fine del campionato alla fortissima Juventus di Allegri, fu l'uomo che l'anno prima aveva preparato proprio la Lazio che in effetti, in quel 26 maggio 2013, sembrò aver più "benzina".

Quell'uomo era Paolo Rongoni e in pratica da Garcia da quel giorno non si è più staccato, nonostante lo stop temporaneo imposto in qualche modo da Pallotta, che esonerò Rongoni prima di Garcia. Ma poi i due si ritrovarono a Marsiglia e infine a Lione, dove lavorano tuttora con grande profitto.

Rongoni, la situazione in Francia com'è?
«Siamo indietro. In Francia ancora adesso faticano a fare i controlli».

Non deve essere facile per lei, oltretutto da italiano.
«Infatti la vivo male, ho tanti amici e parenti in Italia, ho i miei genitori nelle Marche, in una zona ancora non troppo colpita, ma so che il virus potrebbe arrivare anche lì, con tutti i disagi del caso. Ma in Italia stiamo facendo le cose per bene».

E lì?
«Qui forse pensano di essere più furbi. Ma siamo indietro più o meno di tre settimane. E secondo me sbagliano, dovremmo fare come ha detto il presidente Conte in Italia, in qualche modo sfruttare l'esperienza. Poi magari i numeri diranno chi ha avuto ragione».

Che cosa in particolare secondo lei dovrebbero fare?
«Hanno sbagliato a non chiudere subito tutto. Non sono dottore, ma il contatto che vedo nei posti pubblici è pericoloso se tieni tutto aperto. I ragazzi non vanno più a scuola ma più o meno credo che abbiano preso la cosa come una vacanza, in più la Francia ha messo subito tutti i lavoratori delle aziende in crisi in cassa integrazione. Ora sta arrivando pure il bel tempo, e io se mi affaccio dalla finestra vedo gente al golf, al parco, in giro per gli aperitivi a mezzogiorno e a sera, e penso che non ci sia cosa migliore per la diffusione di questa porcheria. Io da buon italiano seguo i diktat del Governo italiano anche qui, mogli e figli sono qui con me, non li mando in giro, non prendono i mezzi pubblici, al massimo se c'è necessità li mandiamo in taxi».

Anche in Francia ci sono differenze di diffusione del contagio a livello regionale?
«Per quello che so Lione è toccata in questo momento, Marsiglia un po' meno, chissà se è vero che ci sia una connessione con le temperature. A Marsiglia fa indubbiamente più caldo che a Lione. Ma non sapremo mai se è vero o no».

Esattamente invece i suoi genitori dove sono?
«Sono tra Marche e Abruzzo, esattamente tra Fermo e Ascoli: e al momento ci sono 11 casi a Fermo e 1 a Ascoli. Ma i miei genitori sono anziani, la paura è che il virus entri dentro casa...».

Ora la Ligue 1 è stata fermata. Ma la decisione è recentissima.
«Consideri che sabato mattina eravamo addirittura pronti a giocare la partita della sera a porte chiuse, poi è arrivato il comunicato della Lega che ha stoppato tutta l'attività almeno fino al post attività delle nazionali, ma anche quelle si stanno fermando, per esempio i brasiliani sono stati già stoppati, i nostri non vanno, e la nazionale francese la fermeranno presto».

E i vostri giocatori?
«Noi abbiamo dato riposo fino a martedì pomeriggio, aspettando la decisione dell'Uefa alla mattina: se si stoppa l'Europeo e di conseguenza si posticipa il campionato di un mese, un mese e mezzo, faremo i nuovi programmi, magari lasceremo i giocatori a casa con programmi personalizzati e li riprenderemo sul campo 15 giorni prima che il campionato ricominci».

Che effetto farà ai muscoli dei calciatori questo stop? Questo è un tema che vale per tutti, anche per la Roma.
«Beh, dipende. Per noi in questo momento non è certo un male fermarsi. Consideri che abbiamo già giocato 48 partite tra campionato, Champions e coppe nazionali, visto che siamo arrivati in fondo in tutte e due (in finale in una, e abbiamo perso in semifinale l'altra): da gennaio ad oggi abbiamo avuto una sola settimana senza partite infrasettimanali, l'organismo di tutti i ragazzi è stato provato e la sosta, da questo punto di vista, farà persino bene. I giocatori faranno un po' di vacanza a casa e poi spero che si possa ripartire».

Il vostro club, il presidente Aulas che ha deciso?
«Sono state subito messe in atto delle misure drastiche. Sono stati fermati tutti gli impiegati, gli amministrativi, ci sono circa 500 dipendenti. A parte noi e la squadra femminile, il resto è tutto fermo, immagino che sia quello che accade in ogni società strutturata».

È facile controllare i giocatori in una situazione come questa?
«È stata la principale preoccupazione di Rudi e dello staff medico e sempre perché stiamo seguendo i protocolli italiani, così magari evitiamo di fare gli errori che qui stanno sottostimando. Non facciamo terrorismo, ma Rudi è stato chiaro. I giocatori non sono liberi. Ci sono tre giorni di stop, ma se qualcuno prova a partire e magari si ritrova poi bloccato da qualche parte è un problema. L'obiettivo è stare a casa, a riposo, niente feste o party o discoteca. Diciamo che per fortuna i giocatori ormai sono sensibili. Paradossalmente a far capire meglio la situazione c'è stato il fatto che abbiamo affrontato la Juventus, loro hanno dei positivi, con loro "te ce sei strofinato un pochetto" (sorride, ndr), ci sei andato faccia a faccia. Insomma, se prima sul virus ci ridevano, adesso un po' meno».

A proposito di anticipazioni sui tempi. Qui adesso a Roma hanno chiuso pure i parchi, andare a correre anche da soli è diventato più complicato. Quanto tempo un atleta può stare senza correre? E senza pallone oltretutto?
«Per un giocatore professionista 15 giorni senza correre non è un problema gravissimo, sempre che poi ci sia comunque un periodo più o meno lungo prima di ricominciare. Ovviamente anche i nostri avranno tutti programmi individuali. Considera che quasi tutti i calciatori professionisti hanno delle minipalestre in casa, hanno quasi tutti i tapis roulant, poi tutto dipenderà dalla data di rientro. Vediamo se riusciremo a finire il campionato. Siamo sempre lì: in Italia state più avanti. In Italia, magari tra un mese, un mese e mezzo, se tutto va bene riprenderanno a giocare. Qui in Francia ce ne vorranno almeno due, perché qui stiamo indietro. Così c'è il rischio che non si riesca a finire il campionato. Ma ripeto: i giocatori sono abbastanza responsabili, sanno pure che la loro salute è la loro fonte di guadagno. Anzi...».

Anzi?
«Forse questa pandemia ci sta insegnando a tornare con i piedi per terra. Si sta tornando a mettere in fila le vere priorità. Prima viene la salute, poi il resto. Ecco perché anche qui in Francia siamo stati criticati, per qualche giorno si è pensato solo al riscontro economico. E gli stessi giocatori non erano contenti».

Eravate arrivati anche a un gran momento di forma. La prova con la Juventus da questo punto di vista è stata significativa.
«Sì, è vero. Con la Juventus è stata una grande prova, poi un po' meno in semifinale di Coppa col PSG».

Però almeno fino all'espulsione di Fernando Marçal il risultato era stato in equilibrio.
«È così, anzi, li avevamo anche messi sotto per un po'. Ma il Psg davanti ha dei veri fenomeni, sono più forti anche della Juventus in attacco, una volta che sono andati sopra non c'è stato verso...».

I club hanno dato un'indicazione sul campionato? Se non si dovesse terminare la Ligue 1 a chi verranno assegnati i titoli?
«I presidenti si faranno la guerra... titolo a parte ci sono molti piazzamenti importanti in bilico. Sarà una battaglia politico-economica».

Allora come qui.
«Sarà così dappertutto. Prevalgono gli interessi economici. Questo è il passo avanti che proprio non riusciamo a fare».

Il suo sodalizio con Garcia è sempre più solido.
«Rudi è un grande uomo e un grande allenatore. È sempre lo stesso, anzi forse quest'anno nella gestione della squadra è diventato ancora più armonioso. Conoscete le sue qualità. È un uomo dritto, corretto, sa scherzare, sa gestire il gruppo, parla chiaro, non fa giri di parole, è anche capace di sorridere, il nostro rapporto è solido dall'inizio».

A Roma finì male.
«Purtroppo in questo senso ci sono molti allenatori che hanno fatto la stessa fine a Roma. È stato così per Spalletti, penso pure a Di Francesco che ha fatto miracoli eppure l'anno dopo anche lui... patapum! La realtà è che in questo mestiere la fine è sempre la stessa. C'è un timer programmato, quando suona la campanella vai. Puoi uscire pacificamente o con l'esonero, questa è l'unica differenza, ma sai che fa parte del gioco».

Dicono tutti che però a Roma sia più difficile che da altre parti. Lei ha girato per mezza Europa. Conferma?
«Mah, forse Roma è più vulcanica rispetto ad altri posti. Ma io sono stato anche in Turchia, al Samsunspor, è la situazione lì è stata decisamente più complicata. A Roma se c'è contestazione ti ritrovi qualcuno fuori da Trigoria, ma poi lì finisce. Dove sono stato io c'era un ambiente decisamente più caldo, e magari senza società sufficientemente strutturate. E allora rischi qualcosa pure dal punto di vista fisico... Ma alla fine sono tutte esperienze. In generale sai che più vai al sud e più i paesi sono caldi».

Lei ha vissuto anche la curiosa esperienza di essere tesserato per la Lazio nella stagione che culminò con la Coppa Italia del 2013, poi l'anno dopo arrivò alla Roma.
«Già, ma io sono stato felicissimo di andare alla Roma. Avrei potuto seguire Petkovic in nazionale, guadagnare bene e lavorare anche meno, ma con tutto il rispetto che debbo alla maglia biancoceleste, quando mi hanno sottoposto la prospettiva di allenare gente come Francesco, Daniele e altri campioni di quel livello non ci ho pensato due volte. Mi sono preso il rischio ed è andata benissimo, almeno la prima stagione, poi la seconda non l'ho fatta, l'ho vista da casa. Ma forse si sottovaluta quello che ha fatto la Roma in quegli anni. Nel primo anno arrivammo secondi dietro una Juventus decisamente più forte di oggi, furono capaci di vincere campionato, coppa Italia e arrivarono in finale di Champions contro il Barcellona, e quello era il Barcellona vero, quello di Luis Enrique, un altro che è andato via da Roma con la patente del brocco...».

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