Gasp che Roma: più "senza" che "con", ma primi
Fra condizioni dell’attacco e lacune in rosa, la vetta prima di ogni sosta assume i contorni dell’impresa
(GETTY IMAGES)
Serietà prima di tutto. Esattamente come la Roma, che guarda tutti dall’alto rendendo la virtù in questione un proprio tratto distintivo. Anche una preposizione però può fare la differenza: questa squadra prima non lo è in tutto per il dato riguardante l’attacco, ancora avaro di gol nonostante la vetta e molto distante dalla coinquilina all’attico della classifica. Ma è un elemento che impreziosisce l’impresa, più che attenuarla. Perché di impresa si tratta, se reiterata prima di ogni sosta e mai prevista: né dalle griglie di partenza prestagionali, né dalle attuali previsioni della critica.
Fateci caso: i media continuano a concedere scarso credito a questa squadra, mentre man mano che i turni scorrono, spetta agli avversari che la affrontano riconoscerne potenzialità forse ancora inesplorate. D’altra parte dopo l’undicesima giornata il torneo è vicino a un terzo del suo svolgimento e nulla può essere soltanto frutto del caso. Senza dubbio non lo sono i numeri: se la Roma è nona in Serie A per numero di gol fatti, può però vantare la difesa meno battuta dei primi cinque campionati d’Europa (insieme all’Arsenal) con appena cinque reti incassate. Attributo caratteristico delle squadre vincenti: negli ultimi venti anni la squadra campione d’Italia è stata per ben 18 volte quella che ha subito meno gol. Le obiezioni sono arcinote: si tratta di un dato ancora troppo parziale; non è affatto scontato che le proiezioni finali rispecchino l’andamento di questa fase; e via discorrendo. Ma è mera cronaca, senza alcun corollario dettato da voli pindarici. Eppure la tendenza è sempre stata chiara, perfino fuori dai confini nazionali. «L’attacco vince le partite, la difesa i campionati», asseriva in ossequio al più spinto pragmatismo Sir Alex Ferguson, uno che in fatto di titoli portati a casa qualcosa ne sa.
Gasperini ha invece capovolto le attitudini dei tempi di Bergamo, quando finiva spesso con la fase realizzativa più prolifica per distacco, ma concedendo tanto agli avversari. «Devo uscire fuori dalla mia comfort zone», è stata una delle sue prime dichiarazioni d’intenti una volta approdato nella Capitale. Detto fatto. Da queste parti finora ha dovuto convivere più con i “senza” che con i “con”. Senza un bomber (almeno per il momento); senza l’esterno d’attacco chiesto sul mercato (Sancho); senza quello arrivato dal mercato (Bailey, più in infermeria che in campo); da tempo senza l’esterno sinistro a tutta fascia designato come titolare (Angeliño, fuori da oltre un mese); a lungo senza Dybala; e ora anche senza i due centravanti in rosa, entrambi out. Certo, col miglior portiere del campionato e con una serie di buoni giocatori, che però costituivano già l’ossatura della squadra (Wesley è l’unico nuovo innesto in pianta stabile nella formazione titolare), eppure nelle ultime stagioni dalle parti della vetta non si erano mai nemmeno affacciati. All’undicesima giornata, la Roma mancava dal primo posto dal 2013-14. Undici anni fa. Una vita.
Allora come si spiega quanto sta accadendo in questa fase? Non è un miracolo. È “soltanto” (si fa per dire) serietà, applicazione nel lavoro, fiducia nei dettami del tecnico che evidentemente ha convinto il gruppo a seguirlo senza esitazioni. Le stesse (poche) sconfitte non sono certo figlie del pressappochismo, e almeno con le milanesi la Roma è uscita dal campo con accresciuta consapevolezza nei propri mezzi. I volti simbolo di questa presa di coscienza non possono che essere quelli di Mancini e Celik (che non a caso hanno confezionato il gol probabilmente più gasperiniano del periodo): il primo emblema di grinta e forza di volontà già prima dell’avvento di Gasp, ma ora fra i primissimi difensori in Italia. Il secondo archetipo della folta schiera dei rigenerati: dai margini ai riflettori, da oggetti quasi indesiderati a protagonisti. La chiave è nella dedizione, nell’impegno, nella serietà appunto. E in quel signore che dall’estate occupa la panchina.
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