AS Roma

Masetti, è tutto Ve-Ro

Esattamente 95 anni fa l’esordio in giallorosso del portiere del primo Scudetto Veronese ma bandiera romanista. Il nipote tra i fautori dell’amicizia fra le due tifoserie negli Anni 70

(Fabio Hot Stuff )

PUBBLICATO DA Fabrizio Pastore
28 Settembre 2025 - 09:00

Mille incroci. Quella della sfida fra Roma e Verona è una storia dagli infiniti rivoli, tutti ricchi di suggestioni. Dai doppi ex in ogni ambito (panchina, campo, dirigenza), alle gare che hanno segnato un’epoca, all’epica vera e propria. Liedholm, Mascetti, Zigoni, Iorio, Toni, sono soltanto alcuni dei nomi entrati nei cuori di entrambe le tifoserie. E poi la prima partita casalinga della storia romanista giocata con la maglia giallorossa, l’ultima di Di Bartolomei (con Coppa Italia alzata al cielo), l’ultimo gol di Bruno Conti. E ancora tre campioni d’Italia con la Roma negli altrettanti anni di grazia, veronesi di nascita ma rimasti visceralmente legati alla Capitale: andando a ritroso nel tempo, Tommasi, Faccini. E Guido Masetti. Proprio lui, «che è primo portiere» nella canzone di Campo Testaccio e Capitano della squadra che conquista il primo Scudetto della nostra storia nel 1942. Talmente legato alla Roma da essere ancora oggi nella top five dei giocatori con più presenze in giallorosso in massima divisione (338), addirittura primo fino all’avvento di Losi, altro settentrionale adottato da Roma.

Romano acquisito Masetti lo è fin dai tempi leggendari di Testaccio, quando gioca un derby con la spalla lussata (riuscendo a vincerlo 3-1), tanto da fargli dire da Bernardini «Meglio tu con una mano sola che chiunque altro». D’altra parte Guido in allenamento si diverte a parare con ogni parte del corpo, letteralmente, atteggiamento in linea col suo carattere guascone e la naturale propensione a scherzi, battute, divertimento. Di nordico ha ben poco e della Capitale sposa tutto, eccessi compresi. Fino a diventarne orgoglioso portabandiera il giorno del secondo tricolore, quando viene intercettato dalle telecamere Rai sugli spalti di Marassi - avanti con l’età, ma felicissimo e fiero tifoso - mentre individua in quel trionfo la rivincita di Roma contro il Nord bulimico e rivale già dai suoi tempi. Il tutto con un mai perso accento veneto.

Alla sua squadra del cuore non sa dire di no nemmeno nei periodi più bui: la allena negli anni della guerra vincendo i campionati romani che sostituiscono la Serie A; torna sulla panchina per provare l’impresa disperata del salvataggio dalla retrocessione sul finire della disgraziata stagione 1950-51, battendo comunque il Milan scudettato dei tre svedesi. Torna poi negli Anni 60 per guidare le squadre giovanili, è al fianco di Rocca nel giorno del suo addio al calcio giocato. Tredici anni da calciatore, una vita in altre vesti ma sempre con la Roma nel cuore. Un decennio fa il club lo ha inserito nella Hall of Fame. E oggi sono 95 anni esatti dal suo debutto in giallorosso, il 28 settembre 1930 contro il Modena. Proprio nel giorno in cui arriva il Verona, la squadra della sua città e dei suoi esordi.

«In famiglia siamo tutti tifosissimi dell’Hellas, ma tramite zio Guido la Roma è sempre stata molto presente - ammette il nipote Sandro, interpellato da Il Romanista nel 2019 - A lui era entrata nel sangue: ne parlava sempre con grande orgoglio, come fosse parte di lui. E in effetti lo era con tutti quegli anni di militanza. Ma le si era legato tanto da diventarne tifoso. Quando veniva a trovarci partiva una costante presa in giro verso noi rimasti fedeli alla squadra della nostra città, ma sempre in modo bonario. D’altra parte mio padre lo seguiva spesso nelle trasferte al Nord e io stesso ricordo di essere stato portato da lui a conoscere i giocatori romanisti in hotel a Mantova, dove avrebbero giocato». A casa Masetti restano tutti sostenitori dell’Hellas, ma quel parente diventato due volte iridato con la Nazionale di Pozzo e campione d’italia, sia pure ad altre latitudini, inorgoglisce eccome: «In famiglia eravamo, e siamo ancora, fieri di lui: era un grandissimo portiere. Ho ascoltato tante volte il racconto del rigore parato contro il Venezia, decisivo per lo scudetto romanista, vinto da Capitano. Ma non solo. Mio padre mi diceva che era stato il primo in Italia a rinviare lungo con le mani. Papà aveva vissuto a stretto contatto con lui quegli anni: gli permettevano di restare in ritiro con loro e finiva sempre a dormire con Fulvio Bernardini, che a differenza di zio Guido dormiva, mentre lui se ne andava in giro di notte, gli piaceva la bella vita. Io stesso andai a trovarlo a Roma e mi portò a mangiare in centro, Al momento del conto, l’oste disse: “Non scherziamo, i Masetti non pagano”. Aveva smesso da più di trent’anni, eppure era ancora amato». Una corrispondenza di amorosi sensi che probabilmente influenza anche il nipote, uno dei fautori del gemellaggio fra romanisti e veronesi agli albori del movimento ultras. «Negli Anni 70 fra noi e i romanisti c’era un rapporto di amicizia e quando seppero che ero parente del mitico portiere di Testaccio, cominciarono a trattarmi non solo con rispetto, ma con affetto». L’amicizia fra le due Curve non c’è più, ma Masetti resta un nome epico per entrambe le tifoserie. 

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