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Dybala, Zaniolo e “l’amico di Trigoria”

Paulino è la luce, il virus di Nicolò il buio. Tra i tre punti da prendere e le dicerie di chi tutto sa di quello che accade dentro Trigoria

Zaniolo in azione all'Olimpico con la maglia della Roma

Zaniolo in azione all'Olimpico con la maglia della Roma (As Roma via Getty Images)

Federico Vecchio
17 Gennaio 2023 - 09:50

La puoi dare a bere alle decine di giornalisti che ogni giorno, per tutto l’anno, sono accampati all’interno del Fulvio Bernardini. La puoi dare a bere ai commentatori di Sky, di DAZN, della radio private, che ogni minuto di ogni giorno si occupano della Roma. Ma non la potrai mai dare a bere al tifoso che sta lì, seduto in Tevere, sempre convinto che piova controvento.

È bastato, difatti, un attimo. È bastato che il primo tifoso qualsiasi, prendendo posto in Tribuna, appresa in quel momento la notizia - dopo avere probabilmente passato il pomeriggio a Porta di Roma con la moglie, contando i minuti che lo separavano dal poggiare l’ultima busta della spesa all’ingresso di casa, bacetto bacetto e vado allo Stadio e torno già cenato - della mancata convocazione di Zaniolo per un virus intestinale, è bastato, come dicevo, che questo tifoso abbia esclamato «ma nooo, e perché?», ed è bastato, ancora, che qualcun altro (evidentemente ingenuo), lì accanto, gli abbia riportato la notizia ormai a (quasi) tutti nota del virus, che il tifoso che piove sempre controvento, con espressione disincantata e tono dubitativo, sia intervenuto nel botta e risposta pronunciando la fatidica frase «guarda che non ne sarei così sicuro …», lasciando così intendere, ma senza dire, che evidentemente, in questa vicenda, “loro” ci avevano, a noi tifosi, tenuta nascosta la realtà.

E quando, chi vi scrive, seduto anche lui lì accanto, a fronte di un dubbio di così tale portata, rivolgeva al tifoso che ne sa più di tutti la domanda del perché di questo suo dubbioso convincimento, la risposta che ne riceveva era definitiva:  «perché c’ho n’amico a Trigoria». Frase, questa, che il tifoso che tutto sa pronunciava lentamente, scandendo bene le parole, con tono alto e fermo, con l’espressione di chi sa di stare per dare il colpo definitivo all’avversario, e così mettere la parola fine a quel certame dialettico, rivolgendo, intorno a sé, lo sguardo di chi vorrebbe aggiungere «io non lo volevo di’, ma se proprio me ce costringete…». 

Ma, e qui, va detto, si apriva un mondo di riflessioni. Perché la figura, mitologica, dell’amico che sta a Trigoria va analizzata con cura. Non stiamo parlando, difatti, di un essere vivente, che, da qualche parte, abbia una casa, una famiglia, degli interessi. No, non stiamo parlando di questo. Stiamo parlando di un essere che nessuno ha mai visto, che nessuno conosce, che vive perennemente richiuso dentro le mura del centro sportivo, tanto che ti sorge il sospetto che non sappia nemmeno che, da lì a qualche chilometro, ci sia lo svincolo per la Pontina. Di lui non saprai mai che nome e cognome abbia. Non saprai nemmeno quale occupazione abbia dentro Trigoria. Se sia addetto al “servizio Giardini”, se lavori alla reception, o nel centro medico. Nulla. Di lui nulla potrai mai sapere, se non che esiste, sta a Trigoria, e che lui, a differenza di tutti gli altri, sa tutto.

E, bada bene, quello che sa non lo riferisce a qualche giornalista, a qualche commentatore, a qualche addetto ai lavori. No, non scherziamo. Lo riferisce soltanto ad un amico suo. Che la domenica si siede in Tevere. Per dargli, così, la possibilità di illuminare con la Verità tutto il popolo romanista, sin lì ignaro e schiacciato sotto il peso della menzogna. Ovviamente, va da sé che, fatta questa riflessione, l’impulso di aggredire, con un serrato ventaglio di domande, il tifoso che tutto sa rispetto alla sua fonte, tanto misteriosa quanto mitologica, c’è stato tutto. Ma, a quel punto, l’arbitro aveva fischiato l’inizio.

Giusto il tempo, quindi, di apprezzare la mancanza di Zaniolo («vedi senza de lui quanta fatica facciamo a salire»), che un difensore della Fiorentina, evidentemente per raggiungere un altro impegno che aveva in serata, altrimenti non si spiega, in venti minuti commetteva tre falli che gli costavano l’espulsione. E, a quel punto, tutta la Tribuna ipotizzava che la partita fosse in discesa. E, invece, no. Serviva, difatti, un pallone ben recuperato grazie al pressing di Bove, un assist di Abraham e il solito colpo da biliardo di Dybala. E, ancora, un secondo tempo in cui, malgrado loro tenessero molto il pallone («non rileva, conta vince», a risolvere l’antico dilemma se sia più importante il gioco o il risultato), erano le giocate, lì davanti, di Dybala, ad aprire il gioco, ad accendere gli entusiasmi («c’ha pure l’occhi de dietro; se nun se fa male, non tememo nessuno»). Si chiudeva, quindi, in bellezza, con il raddoppio di Dybala, l’esordio del norvegese ed il convincimento che, quei quattro, debbano sempre giocare insieme. A meno che l’ “amico di Trigoria” non sappia qualcosa che noi non sappiamo. Diciamocelo.

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