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L'analisi di Roma-Verona: più che la classe potè la tigna

Contro i leoni di Juric. Se Ibanez, Mancini e Veretout fanno la differenza. In Serie A ormai è il trionfo del calcio offensivo, e vince chi ha più grinta

17 Luglio 2020 - 08:28

Tra bellezza e tigna il calcio italiano ha trovato l'unico sviluppo possibile: quello nella direzione di un calcio sempre più offensivo. Lo dimostra anche Roma-Verona, gran bella partita a dispetto dello stremo delle forze di questi giorni di campionato pazzo post-Covid. Solo inseguendo nuove reti e abbandonando quindi la non più produttiva tentazione di costruire squadre solo per difendere, le squadre italiane stanno superando i loro stessi limiti. Basti registrare quello che succede nel campionato di serie A, con il primato della squadra da quasi un decennio più forte di tutti messo finalmente in discussione da realtà diverse tra loro eppure tutte legate da un unico comune denominatore: il gioco offensivo. Dietro i bianconeri ci sono nuove squadre che cercano sempre e comunque di far gol: dall'Inter al Bologna, dall'Atalanta al Verona, dalla Lazio al Sassuolo e poi Milan, Napoli e ovviamente Roma, forse la più penalizzata dagli infortuni nella prima parte della stagione, sono tutte squadre che hanno cercato e trovato una propria identità tattica sviluppando mentalità offensiva. La scuola calcistica italiana così sta riprendendo le posizioni perdute. Se ne gioverà la nazionale italiana, anche perché il commissario tecnico Mancini è uno dei principali motori di questo movimento, e con lui gli insegnanti di Coverciano che ormai già da quasi 10 anni hanno dato una svolta "giochista" ai corsi. Detto questo e all'interno dei confini che abbiamo appena definito, le realtà si possono poi sviluppare in maniera diversa e ottiene il massimo chi riesce ad unire alla giusta mentalità offensiva, adeguato tasso tecnico e l'applicazione continua dei giocatori soprattutto dal punto di vista mentale. Ecco come si spiegano i miracoli di squadre tipo Atalanta, in parte Lazio (con limiti che solo troppi risultati fortunati avevano impedito di cogliere, legati alla costruzione della rosa), Sassuolo e, appunto, Verona. Ma ecco anche come possono uscire dalla crisi in cui si erano impantanate con tempi e livelli diversi, squadre tipo Milan, Napoli, Inter e anche Roma. 

La fiera del gol 

Un altro evidente dato deriva dalla incredibile produzione offensiva delle nostre squadre. L'Atalanta è una macchina da gol mai troppo celebrata ed è dagli Anni 40 e 50 che in Italia non si segna tanto. Ecco l'idea alla base delle emozionanti squadre costruite da allenatori come Gasperini, Juric, De Zerbi, Mihajlovic, e potremmo metterci anche Liverani, nonostante il suo Lecce rischi la retrocessione. Sono allenatori che lavorano in maniera ossessiva della costruzione della fase di possesso, non a caso accompagnano spesso la loro squadra dalla panchina come fosse il prodotto sullo schermo di una partita di PlayStation. Chi scrive era all'Olimpico l'altra sera e non si è perso neanche un secondo dello show di Juric, confinato come un leone in gabbia in tribuna dopo l'espulsione: ha urlato per tutta la partita a dispetto della lontananza coprendo invariabilmente le urla assai più flebili di Fonseca, allenatore con uno stile diverso, ma ugualmente preso dalla ricerca del gioco offensivo. Se poi dobbiamo trovare un difetto nei tecnici con questa passione, sta nel fatto che molto spesso tendono ad esagerare nella partecipazione dalla panchina (o dalla tribuna...) e considerano avversari e spesso arbitro come un insopportabile fastidio. Questo toglie lucidità e probabilmente energie positive alle squadre che allenano. 

Ibañez di umiltà

In tutto questo, dopo aver parlato ampiamente in queste settimane del nuovo sistema di gioco della Roma e della sua ormai indiscutibile produttività rispetto gli scompensi che invece regalava l'altro (con gli esterni altrettanto alti e due soli difensori centrali), non possiamo non registrare come il vero upgrade funzionale questa squadra riesca a garantirlo a se stessa, all'allenatore e ai tifosi solo se l'interpretazione sul campo è quella di massima applicazione. In questo senso tre giocatori oggi più di altri magari più celebrati, incarnano il prototipo dell'elemento imprescindibile per Fonseca: Ibañez, Mancini e Veretout. Senza sgradevoli o inopportuni riferimenti metaforici alla classe operaia che raggiunge il paradiso, non si può non notare come il pedigree di questi giocatori sia differente rispetto al lignaggio tecnico di Dzeko, Pellegrini, Mkhitaryan o Kolarov, ma diventi più apprezzabile all'interno di un contesto che rimanda con la mente inevitabilmente a vecchi fasti di Rome non sempre vincenti ma che per natura hanno inorgoglito i tifosi negli anni. L'intervento compiuto dopo 90 minuti e 18 secondi di partita, con il risultato in bilico, da Ibañez saltando a pie' pari da lontano con la palla nel mirino sull'incursione in area di Stepinski, è quanto di più pauroso ed esaltante che un tifoso possa aspettarsi in quel momento. Allo stesso modo l'intervento da dietro di Veretout su Salcedo al minuto 93 e 5 secondi, con relativo doppio passo per eludere le successive pressioni di Stepinski e di Dimarco e rilanciare l'azione, ha fatto entrare il centrocampista francese nell'olimpo dei giocatori più apprezzati di sempre. Il contraltare, purtroppo, in questo senso è rappresentato da alcune amnesie che ogni tanto colpiscono giocatori di età, curriculum e prospettive diverse come Dzeko e Zaniolo. Il bosniaco, nel primo tempo, ha fatto arrabbiare tutti quando per rammaricarsi platealmente perché Pellegrini lo aveva ignorato per la terza volta consecutiva, aveva rinunciato a seguire l'azione non rendendosi conto che il pallone respinto da Faraoni era rimasto nella sua zona. E ogni tanto ricasca nel vecchio vizio che lo aveva allontanato da Roma in passato. Nessuno discute il suo valore della sua professionalità, ma non dovrebbe permettere a se stesso di allentare la tensione in questi momenti. Perché poi può trarre giustificazioni analoghe anche un ragazzo come Zaniolo che al 95' ha fatto avvelenare mezza squadra, l'allenatore e tutti tifosi che stavano guardando la partita, rinunciando a combattere come il momento richiedeva sull'ultima palla della gara. Da lì i duri rimproveri di Mancini e di Fonseca che servano a futura memoria: non c'è campione se non ci sono adeguati comportamenti. Della partita poi c'è poco da dire: pur lasciando l'iniziativa agli avversari, la Roma è stata spietata, grazie all'indubbia qualità superiore dei suoi giocatori, ad andare sopra e a non farsi riprendere, senza mai soffrire particolarmente. Con questo nuovo sistema ormai funziona così. E ora il test-Inter.

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