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TatticaMente - L'analisi di Juve-Roma: vorrei ma ancora non posso

Che cosa manca. Dietro i numeri della trasferta di Torino: la differenza l'ha fatta soprattutto la qualità

27 Dicembre 2017 - 08:29

Spiegare a chi non sa di calcio come mai in questo sport (forse l'unico sport con questa caratteristica) non basti mettere insieme tutti i parametri per vincere per poterlo poi realmente fare è impresa impossibile e forse, nello stesso momento, la più grande frustrazione per chi lo studia ma anche l'aspetto che rende il calcio lo sport più discusso e popolare nella maggior parte dei paesi del mondo. In tutti gli altri sport quando sommi dei numeri di prestazione che ti fanno essere superiore agli avversari in quasi tutti i parametri fondamentali di qualità e quantità alla fine vinci. Nel calcio i numeri contano fino a un certo punto, ma allo stesso tempo aiutano a capire meglio un mistero a volte inspiegabile. Se la Roma esce frustrata e umiliata dall'ennesimo confronto con la Juventus nella sua inespugnabile tana dopo aver vinto i confronti indiretti su parametri solitamente importanti quali il possesso palla, il vantaggio territoriale, i passaggi effettuati, i cross effettuati, i palloni giocati, le verticalizzazioni, i drbbling, i corner e se ha tenuto il baricentro medio molto più alto e la linea difensiva più alta vuol dire quantomeno che la sua prestazione non è tale da giustificare alcuna umiliazione o mortificazione di qualsiasi genere. Ma la Juve ha tirato di più (nessuno mai quest'anno aveva tirato 22 volte contro la porta di Alisson), ha avuto una percentuale migliore di passaggi riusciti e di contrasti vinti, ha recuperato più palloni e l'ha presa più di testa.

LA MAGGIORE QUALITÀ

Una prima chiave di lettura è che gli indici qualitativi stanno dalla parte della Juventus ed era il dubbio che su queste pagine avevamo sollevato proprio alla vigilia della partita. La qualità soprattutto tecnica dei giocatori resta il più importante parametro che può determinare il risultato di una partita. E la Juventus ha giocatori di qualità decisamente superiore a quelli di qualsiasi altra squadra del campionato. La più lampante dimostrazione pratica di questa teoria sta negli acquisti milionari che si sono potuti permettere per strappare alle principali antagoniste i loro migliori giocatori, Higuain al Napoli e Pjanic alla Roma (quest' ultimo splendido protagonista sabato sera) oltretutto con il preventivo consenso dei protagonisti. Intorno alla Juventus c'è poi un complesso di fattori che se non è determinante, di sicuro aiuta: dallo stadio alla proprietà immutata nella storia, dall'ambiente chiuso e tetragono all'imperativo legato alla vittoria che a volte porta a spropositi illeciti, ma indubbiamente alza molto l'asticella di chi poi a quei colori si lega.

SCHICK E DYBALA

E qui però entriamo in un altro terreno. Perché a Roma quest'asticella va decisamente alzata. Di Francesco lo sta facendo, ma a volte la sua crociata non viene apprezzata. Basterebbe ricordare una frase chiave della sua conferenza stampa alla vigilia: «Qui mi chiedete sempre di Schick, mentre a Torino mettono in panchina Dybala». E come va la partita? Che la Juve senza Dybala costruisce la sua vittoria con la Roma con una prestazione per più di un'ora impeccabile e chi quella vittoria potrebbe negarla, per l'appunto Schick, manca il più facile dei gol a tempo scaduto, peraltro non per un difetto nella conclusione ma per una scelta strategica clamorosamente sbagliata (con Szczesny già orientato a chiudere l'angolo alla propria destra, il ceco avrebbe dovuto avere la freddezza di spostarsi dalla parte opposta o calciare alzando decisamente la parabola tanto da farla passare sopra le gambe del polacco). Forse adesso quel che voleva dire Di Francesco è più chiaro a tutti.

I VORREI MA NON POSSO

Il calcio, insomma, non può essere solo tattica, e questa cosa viene gridata in una rubrica che affronta certe analisi proprio partendo dalla tattica. Ma tattica significa soprattutto scelta. E una scelta può essere di squadra, di reparto e soprattutto individuale. E allora in attesa di avere in squadra venti giocatori decisamente più forti di tutti quelli delle altre squadre, bisogna migliorare altri aspetti. La tattica individuale, ad esempio: come è possibile che in due diverse partite tre giocatori della Roma (e diversi, una volta dall'altra) si facciano tagliare fuori da un blocco in area che determina altrettante reti decisive per le ambizioni ridimensionate della squadra? Peraltro, non solo per una questione di organizzazione, ma proprio per mancanza di convinzione. E Florenzi, che in partita ha perso il duello con Mandzukic, ma che a forza di attaccarlo aveva persino trovato il varco che avrebbe potuto spostare l'ago della bilancia nella sua direzione? Sfortuna, certo, ma mentalmente è sembrato scarico prima ancora che la respinta della traversa gli rimettesse la palla lì vicino. Può aiutare al proposito riguardare la ferocia di Benatia in occasione del suo gol e la staticità dei giallorossi circostanti (Fazio, Kolarov e Dzeko). E ancora, perché Di Francesco si lamenta spesso della ritrosia degli interni di centrocampo a "buttarsi" dentro, soprattutto quando i movimenti opposti degli esterni alti lasciano spazi invitanti da attaccare? Qui, invece, si preferisce sottolineare che Nainggolan ora "gioca più indietro" rispetto ai tempi di Spalletti, come se fosse solo la posizione di partenza a determinare la zona in cui un giocatore può essere decisivo. Tutto sempre vago, rare le analisi dettagliate. E come può una difesa come quella della Roma prendere gli ultimi quattro gol su palla inattiva? Perché, ad esempio, nessuno ora afferma, come andrebbe fatto, che a zona si è meno soggetti ai blocchi degli avversari? Eppure Di Francesco all'inizio questo voleva, poi a cambiare lo hanno convinto le caratteristiche dei giocatori. Sì, perché i giocatori erano stati abituati a prendere marcature personalizzate e a seguire l'uomo molto più della palla, poi però gli avversari ti studiano e vedono che un blocco peraltro appena accennato (e quindi neanche falloso) basta a bloccare omoni di 195 centimetri e a determinare un vantaggio che in partite come quelle diventa incolmabile. Dettagli, magari. Ma che fanno la differenza. Affinché la Roma un giorno vorrà e finalmente potrà vincere certe partite.

CHE COSA SAREBBE CAMBIATO

La domanda che martella nella mente dei romanisti dopo l'errore di Schick è: Che cosa sarebbe cambiato se il ceco quel gol l'avesse fatto? Probabilmente tutto. Di sicuro la considerazione dei tifosi emotivi nei confronti del ragazzo. E la percentuale di emotività tra i tifosi è, purtroppo o per fortuna, assai diffusa. L'intera partita della Roma sarebbe stata giudicata diversamente pur in presenza degli stessi numeri citati prima e delle stesse indentiche giocate. E poco avrebbe inciso nel giudizio il dato dei tiri in porta e delle occasioni create dalla Juventus nella prima ora di gioco. Basti pensare a quello che si è detto e scritto di Napoli-Juventus, partita vinta dalla squadra bianconera con gol nel primo tempo di Higuain e poi solida gestione nel secondo tempo della partita con mostruoso possesso palla napoletano (72,7% nella ripresa), ma poche occasioni reali per pareggiare. Lì la Juve ha prodotto meno ma si è portata via tutti gli elogi possibili dal San Paolo proprio per la sua capacità di soffrire, ripartire e vincere sfide decisive. Si è parlato di cinismo e senso pratico, anche in presenza di un dato dei tiri verso la porta così sfavorevole (21 contro 7!). Se Schick avesse segnato, insomma, si sarebbe potuto persino dire che la Roma aveva trionfato in trasferta nell'aspetto in cui il Napoli aveva fallito in casa, e cioè rimontare la Juve. Tutto in un tiro. Resta la consapevolezza che, in un modo o nell'altro, la Juve queste sfide le ha vinte tutte e due. La qualità alla fine fa sempre la differenza.

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