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L'analisi di Roma-Cremonese

Se anche José Mourinho abdica dal ruolo

Carica in campionato, scarica in Coppa Italia. Fanno discutere le scelte tecniche dello Special One e anche la risposta di chi ha giocato contro la Cremonese

Lorenzo Pellegrini chiede scusa ai tifosi sotto la Curva Sud

Lorenzo Pellegrini chiede scusa ai tifosi sotto la Curva Sud (GETTY IMAGES)

03 Febbraio 2023 - 09:31

Come non c’è mai un solo segreto per le perfette alchimia che portano a volte una squadra a diventare vincente all’improvviso, così non c’è mai una sola causa a determinare il repentino annientamento di ogni ambizione, che un po’ è quello che è capitato alla Roma l’altra sera di fronte ai suoi 60.000 appassionati spettatori, usciti dallo stadio mortificati per l’ennesima eliminazione in Coppa Italia contro una squadra di valore inferiore, stavolta la Cremonese. Divisi per macroaree, sono 3 i motivi che hanno determinato l’assurda debacle e li proponiamo alla vostra attenzione: l’aspetto mentale, intanto per tutte le energie bruciate a Napoli. L’aspetto tecnico, per l’incredibile mole di errori compiuti. L’aspetto tattico, per le difficoltà di costruzione di una manovra brillante quando la situazione lo richiede.

Il black-out mentale
Cominciamo dunque da quello che può essere accaduto nelle menti dei giocatori mandati in campo mercoledì dopo l’innegabile sforzo psicofisico richiesto dall’impegno agonistico e dalla feroce applicazione tattica che peraltro hanno garantito a Napoli solo una sconfitta dignitosa (ma nessun punto), riducendo però in maniera significativa la riserva energetica mentale che ogni atleta ha a disposizione e che spesso viene messa a dura prova dopo sforzi superiori alla normalità. Va aggiunto a questo che già di suo chi è stato mandato in campo nel primo tempo con la Cremonese non ha nelle sue riserve disponibilità tali da sostenere anche il compagno che va in difficoltà. A centrocampo, ad esempio, Cristante è apparso da subito troppo scarico per giocare per sé e per far da balia a Tahirovic che a sua volta, come ogni allievo mandato di fronte a una commissione giudicante a dimostrare qualcosa, aveva da pensare più che altro alla sua performance, oltretutto nello specifico decisamente insufficiente. Kumbulla si porta ancora il fardello di Bodø Glimt, quella sindrome da annegamento che porta le persone che in mare vanno in difficoltà per le acque un po’ agitate a trascinare giù anche quelli che provano a salvarli. C’è poi chi, come Mancini, ha provato a lavorare spostando più in là il proprio limite mentale, che è quello a volte di voler imporsi sull’avversario (e anche sull’arbitro) con tutti i mezzi, pazienza se non troppo leciti: così è andato fuori giri e ha costretto l’allenatore a toglierlo di mezzo prima che combinasse guai maggiori. Nonostante il gran lavoro fatto su se stesso, Ibañez è ancora uno di quelli che non sembra ancora totalmente sicuro di aver colmato certe carenze tecniche e quando si alza il livello emotivo, anche solo in una serata in cui c’è tutto da perdere e niente da guadagnare, ecco che riemerge il passato e persino un passaggio di 5 metri senza l’ombra di un avversario nei paraggi diventa un’impresa impossibile da compiere. Se ci si aspetta poi che siano ragazzini come Volpato o Zalewski ad interrompere certi cortocircuiti si va chiaramente lontano dalla realtà. Né aiuta in questi casi il nervosismo estremo della panchina giallorossa, che non finisce ormai una partita senza una sanzione per qualcuno dei suoi componenti.

Il deficit tecnico
Se la squadra aveva dunque qualche svantaggio da colmare dal punto di vista della forza mentale, anche dal punto di vista strettamente tecnico qualcosa non ha funzionato nei meccanismi della trasmissione del pallone. I due campi sono spesso strettamente correlati: appare difficile, ad esempio, credere che non ci sia un’implicazione legata alla pressione emotiva quando, come accaduto spesso durante la gara, si sbagliano semplici passaggi orizzontali senza l’ombra di avversari o quando si calcia un rigore in movimento tipo quello di Smalling senza neanche centrare la porta, o quando si interviene sul pallone, come è capitato a Kumbulla in occasione dell’azione culminata poi con il rigore del vantaggio, e lo si perde tra i piedi in un tentativo di controllo fuori da ogni logica, oltretutto sulla pressione dell’attaccante avversario (dopo aver toccato, peraltro, per sette volte il terreno con le punte dei piedi nello spazio di un secondo e mezzo); o, infine, quando si va ad intervenire di esterno destro invece che di piatto sinistro per mandar lontano un pallone che si sarebbe anche potuto far passare senza danni alle proprie spalle e invece, come logica vuole, lo si devia nella propria porta come ha fatto Celik. E non mettiamo nel conteggio i tiri sbagliati, lenti o fuori dallo spazio della porta, quella ormai è una costante che sta decisamente penalizzando la Roma da inizio stagione.

Il (non) gioco della Roma
C’è poi un tema periodicamente ricorrente nelle questioni che riguardano le partite della Roma, guarda caso però d’attualità solo quando non si vince: la qualità della manovra della squadra giallorossa. L’impressione, come al solito, è che si trattino i temi calcistici come se fosse una guerra tra bande: odio Mourinho, e non aspetto altro che la sconfitta per poter poggiare le mie tesi sull’ultimo risultato, l’ultimo fatto concreto, rendendolo verità storica. Ma capita anche il contrario: amo Mourinho, e approfitto di ogni sua vittoria per raccontare come l’efficacia delle sue strategie tattiche sia intanto garanzia di successo e comunque poi “gioca pure bene, altrimenti non vincerebbe tante partite”. Si dovrebbe invece aver la forza di non seguire una fazione, ma di analizzare i dati mettendo al centro gli argomenti più oggettivi e non la propria teoria. Che l’allenatore della Roma sia uno dei massimi esponenti della validità della teoria del controgioco è un dato innegabile, visto che non ha alcun interesse a mantenere il controllo del pallone per la maggior parte della partita, anzi, quasi sempre le sue partite migliori nascono da una deliberata rinuncia al possesso palla. Così come per la struttura stessa della squadra è complicato immaginare lo sviluppo armonioso della manovra dal basso con un sistema di gioco che prevede cinque giocatori piuttosto statici (i tre difensori e i due mediani) e poco adatti al fraseggio brillante e altri cinque più dinamici (i due esterni e i tre attaccanti), ma non tutti con adeguate capacità tecniche. Mourinho, del resto, è così: prendere o lasciare. E dal momento in cui Friedkin lo ha preso, la Roma ha tratto un gran guadagno, peraltro dopo periodi storici in cui a una presunta brillantezza non venivano mai associati risultati sportivi adeguati. Dunque forza Mourinho anche quando abdica, almeno parzialmente, dal suo ruolo.

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