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Tatticamente

L'analisi tattica di Roma-Betis: centrocampo vuoto, il difetto del 3421

La sconfitta con gli spagnoli in Europa League è stata casuale. Ma con difesa e blocco basso in mezzo si soffre. Bisogna avere più coraggio

La Roma dopo il gol di Dybala

La Roma dopo il gol di Dybala (GETTY IMAGES)

08 Ottobre 2022 - 09:38

Quest’anno evidentemente va così. Le tre sconfitte che hanno penalizzato il cammino in Europa e appesantito quello in campionato sono maturate alla fine di partite in cui la Roma avrebbe meritato sicuramente di raccogliere più punti. Tra la trasferta in Bulgaria nella gara d’esordio e la sconfitta dell’altra sera con il Betis la squadra giallorossa ha mancato per sfortuna, per bravura degli avversari (Bravo, davvero) o per sua dabbenaggine le occasioni che avrebbero potuto consentirle oggi di stare in testa al girone europeo a punteggio pieno invece di occupare quel malinconico terzo posto. E la gara persa con l’Atalanta grida ancora vendetta: è stata forse la più bella prestazione della Roma da inizio anno eppure i tre punti sono stati portati via dai nerazzurri di Gasperini: e in serie A la Roma è sesta. Che cosa è cambiato rispetto all’anno scorso? Verrebbe da dire che stavolta si possono chiamare in causa i capricci della Dea Eupalla, quella signora divina che nella interpretazione di indimenticati maestri di giornalismo a volte si diverte a cambiare le carte in tavola distribuite dal mazzieri sui campi di calcio. Andando nello specifico della sfida di giovedì sera Mourinho alla fine ha onestamente riconosciuto che, a differenza di quel che accadde con l’Atalanta, stavolta il Betis qualche merito in più lo ha maturato per vincere la partita, ma la partita sembrava ormai incanalata verso il pareggio. E lo stallo è confermato dai numeri: il grande vantaggio degli spagnoli è solo nel numero di falli commessi, anche se ci sono stati appena due ammoniti nel Betis per scorrettezze.

Le colpe di Tammy e Nicolò

Ma quando il peggio sembrava passato, e ci riferiamo ai momenti più complicati del palleggio andaluso nel primo tempo, la Roma è stata brava a crearsi le sue clamorose occasioni da gol nel finale del primo tempo e all’inizio del secondo dando un po’ a tutti la sensazione di poter ancora una volta portare a casa i tre punti magari con l’atteso spunto di uno dei tre tenori dell’attacco. Ma se Dybala si è arreso alla stanchezza dopo aver spaventato da solo la squadra avversaria, di sicuro stavolta qualche responsabilità in più si può addossare a Zaniolo ed Abraham, impalpabili per tutta la gara e forse anche mentalmente condizionati un po’ dalla frustrazione di non riuscire più ad essere determinanti come l’anno scorso (Tammy), un po’ da quello strisciante nervosismo da cui Nicolò non sa affrancarsi. Alla fine, come sempre, è il risultato a determinare lo sfondo su cui vengono giudicate le prestazioni della Roma. A Milano la squadra non ha combinato tanto di più rispetto alla partita con il Betis, ma lì il guizzo finale ce l’ha avuto Smalling, qui il colpo di testa vincente è stato di Luiz Henrique. Due episodi, piuttosto casuali, che hanno dati inevitabilmente colore diverso al giudizio della critica sulle due gare. 

La “condanna” del 3421

Restano poi dei dati oggettivi, che non sono statistici, ma fanno riferimento esclusivamente alle caratteristiche tecniche e tattiche, elementi di cui si può parlare senza farsi condizionare dal risultato: ci riferiamo a quella sensazione che in mezzo al campo la Roma sia sempre un po’ “vuota”, sia quando prova ad alzare le sue pressioni, sia quando cerca di costruire dal basso per sorprendere gli avversari. La colpa non è, come frettolosamente qualcuno potrebbe pensare, di Matic e Cristante, ottimi giocatori e non per caso titolari di quasi tutte le partite stagionali, per quanto la loro coppia non sia oggettivamente bene assortita. Il problema sta semmai nel sistema di gioco che “condanna” ad un’impostazione con tre difensori, nessuno dei quali col piedino delicato del play, e dell’attacco a tre tenori, che a volte provano ad abbassarsi per cucire la manovra senza che poi qualcuno riesca a riempire al posto loro le zolle offensive. Quante volte è stato detto che la squadra per come è concepita potrebbe tranquillamente disporsi con il 4231 o, ancor meglio, con un sistema a quattro difensori e tre centrocampisti? Mourinho ha scelto invece un’altra strada, quella di una difesa più densa e di un blocco con il baricentro decisamente più basso. Così Cristante e Matic sono destinati a coprire una larghissima fetta di campo e spesso perdono lucidità e in più, per proprie caratteristiche dinamiche, difficilmente garantiscono quella brillantezza nell’impostazione che potrebbe favorire la fluidità di una manovra che raramente scorre veloce. È un difetto endemico, difficilmente correggibile, che sarebbe stato meno sentito probabilmente se non si fosse infortunato Wijnaldum e che potrebbe attenuarsi se Camara dovesse accelerare la sua fase di ambientamento. Quella solidità, quell’esperienza, quella compattezza anche col baricentro basso e quella capacità di colpire gli avversari che inevitabilmente tendono ad allungarsi sui territori che trovano vergini è stata la fortuna dello scorso anno e la caratteristica che è emersa più evidente della Roma targata Mourinho. Come abbiamo più volte scritto, è inutile rammaricarsi dopo una sconfitta per la scarsa brillantezza delle trame di gioco. Questa squadra punta su altre qualità. La sua bellezza non deriva dalle virtuose sovrapposizioni nelle catene laterali, ma dalla pratica capacità di colpire i punti deboli degli avversari, di sovrastarli fisicamente sulle palle inattive, di sfruttare strappi, guizzi e virtuosismi degli attaccanti, almeno quando si prendono le loro responsabilità. 

Dove si può migliorare

Si potrebbe chiedere qualcosa di diverso a Mourinho? La risposta a questa domanda è sempre sì. Ad esempio potrebbe non essere utopico immaginare l’applicazione di meccanismi di uscita del pallone dalla difesa più sapienti di quelli che vediamo normalmente. Di sicuro si potrebbe chiedere un’aggressività nelle pressioni offensive che raramente si vede, nonostante non sia la prima volta che a fine partita poi i giocatori o lo stesso allenatore confessano di non aver saputo pressare come era stato provato in allenamento. E dunque bisogna forse lavorare meglio nelle esercitazioni sul campo, cercando anche strade diverse. Anche se restiamo alla fine convinti che mettendo tutto sul piatto della bilancia l’allenatore abbia trovato un diverso equilibrio, fondato sulle qualità che hanno portato l’anno scorso la Roma ad alzare un trofeo europeo dopo più di sessant’anni. E se la Dea Eupalla non si fosse voltata dall’altra parte, anche l’altra sera avremmo parlato, come dopo Milano, di una Roma cinica, sfrontata e vincente. La Roma di Mourinho.

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