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Da Tommasi a Perrotta, quando i fischi diventano applausi

Esempi da seguire: loro ce l’hanno fatta. Contestati, poi entrati nel cuore dei tifosi

03 Febbraio 2018 - 08:58

"Il giocatore non va divinizzato... quella che tiene il sudore è la maglia": così parlò Dino Viola, la cui frase fu anche immortalata su uno striscione in tempi più recenti.
Una grande verità, quella dello storico Presidente giallorosso.
C'è però da aggiungere che qualcuno, nel corso della storia della Roma, ha dato più sudore rispetto agli altri.
Perché magari doveva farsi perdonare qualche errore, oppure per la semplice necessità di dover compensare con i polmoni e il sacrificio la tecnica non impeccabile.
Damiano Tommasi e Simone Perrotta, per esempio.
Ecco, loro forse sono la perfetta rappresentazione della "vita da mediano", quella di chi vive lontano dai riflettori, ma in campo si fa sentire.
E le loro storie nella Capitale sono molto simili: entrambi ebbero un avvio tribolato per non dire da incubo -, mesi scanditi dai fischi e dalle contestazioni.
Forse pagarono il fatto di aver vissuto le loro stagioni d'esordio in momenti difficili per la Roma.
Damiano arrivò da Verona quando in panchina si era appena seduto Carlos Bianchi, Simone dalla stessa città (ma sponda Chievo) nell'annata dei quattro allenatori, con una salvezza arrivata aritmeticamente solo alla penultima giornata.
Per circa due anni, quasi ogni pallone toccato da Tommasi era accompagnato da una salva di fischi, ma nell'anno dello Scudetto il numero 17 si trasformò da brutto anatroccolo in cigno, risultando tra i migliori dell'annata 2000/01.
Non solo: l'Anima Candida fu persino inserito tra i candidati al Pallone d'Oro 2001.
Da lì in avanti, entrò in maniera indelebile nel cuore dei tifosi, a maggior ragione quando, dopo il grave infortunio subìto nel 2004, decise di ridursi lo stipendio al minimo sindacale.

Ora è il Presidente dell'Associazione Calciatori, che ha tra i suoi Consiglieri Federali anche Simone Perrotta.
L'ex numero 20, pochi mesi dopo il suo arrivo a Roma, ebbe un duro diverbio con alcuni tifosi giallorossi: la squadra stava andando malissimo e il nervosismo in città si tagliava con il coltello.
Ma quando in panchina arrivò Spalletti, che reinventò Simone da trequartista alle spalle di Totti, le cose cambiarono radicalmente e il centrocampista che per un'intera stagione era stato contestato diventa una pedina fondamentale dello scacchiere.
Talmente fondamentale da entrare tre volte nel tabellino dei marcatori in altrettante finali di Coppa Italia.
Polmoni, intelligenza tattica, spirito di sacrificio e soprattutto l'umiltà di sapersi rimboccare le maniche quando le cose vanno male.
Umiltà che si tramuta quindi in forza d'animo, determinazione, caparbietà.
Perché i tifosi romanisti, alla fin fine, chiedono solo questo: non la vittoria ad ogni costo, ma la consapevolezza di aver dato tutto, l'orgoglio di veder uscire dal campo i propri giocatori a testa alta e con la maglia sudata.
Perché, come recita la celebre battuta di un film, "il vero vincente è solo chi, quando era perdente, non si è mai arreso".

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