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Dottor Jekyll e Mister Hyde, tra Europa e Italia Roma e Dzeko a due facce

Il problema - In Champions l'attaccante bosniaco ha segnato 13 reti nelle ultime 15 gare. In campionato soltanto 18 nelle 45 giocate in due anni

Edin Dzeko, di LaPresse

Edin Dzeko, di LaPresse

06 Novembre 2018 - 08:58

Lo strano caso del dottor Jekill e mister Hyde. Nella fattispecie, lo strano caso della Roma italiana e quella europea. Ma anche, in sintesi, le due facce di Edin Dzeko. Ovvero come creare parecchio e segnare poco in campionato, l'esatto contrario di quello che la squadra di Di Francesco ha fatto nell'ultimo anno e mezzo. Un'anomalia che, per esempio, va a sommarsi al rendimento casalingo dei giallorossi, devastante in Champions, balbettante anzicheno in campionato, imbattuta in Europa, fin troppo battuta in Italia. Roba da psicanalisi avanzata e forse non basterebbe neppure questa a dare spiegazioni convincenti su questa Roma a due facce con cui ci troviamo a dover fare i conti. E allora, giusto per fare una battuta, non sarà il caso che nelle partite all'Olimpico si metta la musichetta Champions piuttosto che l'inno di Venditti che, oltretutto, abbiamo scoperto simpatizzante viola al punto che sabato scorso era diviso (sue parole) su chi tifare?

Il simbolo Dzeko

L'uomo che rappresenta più di qualunque altro questo bipolarismo giallorosso, non può che essere Edin Dzeko. Che tra la passata stagione e l'attuale, ha avuto un rendimento che rappresenta alla perfezione la Roma a due facce di questi tempi. I numeri nel calcio non sempre dicono la verità fino in fondo, ma in questo caso quelli del centravanti bosniaco sono la perfetta sintesi di quello che stiamo dicendo. Dunque: tra il passato campionato e questo, Dzeko ha messo insieme 45 presenze segnando 18 gol (16 nello scorso torneo) con una media che dice 0,4 a partita (media che scende parecchio se si dovesse andare a considerare soltanto il campionato in corso); i numeri in Europa, anche se rapportati a un numero di partite inferiore ma comunque indicativo, sono decisamente diversi e migliori, ovvero 15 le partite giocate, 13 i gol realizzati per una media che certifica uno 0,86 ogni novanta minuti, in pratica una rete a partita. Insomma, è tutta un'altra storia tra Italia ed Europa. Al punto che il bosniaco nella coppa dalle grandi orecchie è arrivato ad appena due reti di distanza dal record di un certo Francesco Totti, 17 contro 19 e l'augurio, nella certezza che il numero dieci che ora siede in tribuna non se la prenderà, è che Dzeko già nelle prossime partite possa strappare a Totti uno degli innumerevoli record che ha stabilito nella sua straordinaria e irripetibile carriera con la maglia della Roma. Un'ulteriore dato che va a sottolineare la diversità di Dzeko quando deve portarsi dietro il passaporto, è quello relativo all'Europa League di due anni fa quando, con otto reti, si laureò il capocannoniere della manifestazione. Un titolo, quello di capocannoniere, per il quale è in corsa anche in questa Champions dove è al primo posto (insieme a Messi) con cinque reti. Detto questo ci domandiamo: ci può essere qualche spiegazione a questa anomalia?

Una Roma al contrario

Eppure a pensarci bene dovrebbe essere il contrario. Se non altro per la caratura delle avversarie che i giallorossi affrontano in campionato e in Europa. Un conto sono Barcellona, Chelsea, Liverpool, un altro, con tutto il rispetto, Spal, Chievo, Empoli. Ma sarebbe grave se la risposta a questa anomalia tutta romanista, fosse una questione di concentrazione, quindi di testa. Sarebbe grave e colpevole perché non si potrebbe accettare che i giocatori affrontino le partite con una testa diversa rispetto a quella che si deve sempre avere, indipendentemente dall'avversario che si va a incontrare. E allora? Allora non crediamo che possa essere sufficiente a rispondere, neppure il fatto che in Champions si va a giocare contro squadre che non fanno le barricate, che puntano a fare la loro partita, che pensano a vincere piuttosto che a non perdere, che cercano di fare gol e, quindi, tutto questo garantirebbe alla Roma quegli spazi necessari per poter puntare con continuità alla porta avversaria.

Il problema è che probabilmente una risposta sicura non esiste per spiegare come mai la Roma difranceschiana faccia quattro gol al Barcellona (tra andata e ritorno), sei al Liverpool o cinque al Viktoria (aspettando la gara di ritorno), per poi in campionato non riuscire a farne neppure uno alla Spal di Semplici che tanto per mettere il coltello nella piaga te ne fa pure due e si porta via i tre punti. Sarà il caso allora che Di Francesco lavori sulla testa dei giocatori pretendendo che pure in Italia si arrivi a quel cinismo europeo che porta a fare gol e quindi a vincere le partite. Fosse successo a Firenze, cioè sfruttare le occasioni create, oggi non staremmo qui a dire di tutto e di più ai signori Banti e Orsato.

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