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Cogito ergo sud

La Roma romanista

Quando la Sud e la Roma sono la stessa cosa non ce n'è per nessuno. Potrai battere pure tutti, ma la Roma no. A Roma "nun se passa"

La coreografia della Curva Sud durante il derby: \

La coreografia della Curva Sud durante il derby: "Questo stemma ho nelle vene, questo stemma mi appartiene", di Mancini

27 Gennaio 2020 - 11:26

Quando la Curva Sud e la Roma sono la stessa cosa non ce n'è per nessuno. La bellezza di questo derby è questo muro fatto di pensieri e anime prima ancora che di cartoncini giallo e rossi a difesa, a corona, a servizio della Lupa. Ha la forma del cuore. Quello è. Lo abbiamo nelle vene, c'era scritto. Quello è. Mattoncini che si sono cominciati a incastrare (a parte che da sempre) da sabato mattina quando veramente si è andato là per far capire ai giocatori il significato antichissimo e ancor più semplice di questa partita: da una parte la squadra che ha il nome, i colori e il simbolo della città, dall'altra gli altri che non amano questo. Tutto qui.

E soprattutto quando si è scelto di andarci tutti insieme senza rispondere a striscioni e provocazioni che stavolta avrebbero potuto far male, più del male che soprattutto a qualcuno hanno comunque fatto. Un'impressione di unità e un messaggio d'amore forte da far tremare tutti, pure la squadra più forte del mondo che ieri si apprestava proprio al derby a vincere la dodicesima gara consecutiva in campionato vanificando quel 26 febbraio del 2006 quando la Lupa proprio al derby vinse l'undicesima di fila fissando all'epoca il record di sempre del calcio italiano.

Uno smacco grosso la 12esima di fila proprio contro di noi, che l'11esima di fila l'avevamo fatta proprio contro di loro! Un vero e proprio storico beffardissimo sorpasso!! E invece no. No, no. Niente. Quando incontri questo muro di sentimenti potrai battere pure tutti, ma la Roma no. Co' la Roma non ce passi. A Roma nun se passa. La Roma ti ferma quando s'abbraccia, quando si sta occupando bene di se stessa. E ieri lo ha fatto.

Al di là del campo dove sarebbe dovuta finire con due-tre gol di scarto, al di là della panchina con quella di Fonseca che si è trasformata in cattedra, al di là del palo, dei salvataggi, dei tiri non tirati o tirati male, è questa morsa tra squadra e tifosi, quei colori così profondi, veri e spudorati che hanno brillato, questa stretta che s'è sentita forte da prima della partita fino a dopo la fine coi giocatori spontaneamente protesi nel ringraziamento, ad aver fatto la differenza. Questa sensazione di "starci" e starci insieme talmente forte da far passare la paura che per forza una partita del genere si porta dietro.

Ieri la Roma è stata semplicemente romanista. E il fatto che il rigore fosse solare, che il protocollo del Var avrebbe dovuto impedire a Calvarese di andare a rivedere, che su Pau Lopez c'era fallo, fa molto romanista anche questo: questo dover essere per forza più forti di tutto anche quando sei soltanto più forte di tutti. C'è l'amarezza per non aver vinto dopo un dominio del genere sul campo e sugli spalti, ma resta la consapevolezza iniziale: quando siamo uniti non ce n'è per nessuno.

Poi in serata arrivano altre botte di consapevolezza sul senso della vita che ti fanno fare una riflessione in più. Ma che non è in meno in questo contesto. Perché dentro questa vita lo sport, il calcio, non sono le cose più importanti fra quelli inutili, ma sono importanti e basta, perché raccontano sentimenti. Di persone o di squadre che te li fanno sentire. Ieri semplicemente ne abbiamo sentiti tanti. Abbiamo vissuto. E poi pensato a chi non lo può fare più. Per questo vale sempre la pena di amare. Preferibilmente la Roma o comunque chi vi pare.

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