19 giugno 1993, Roma-Torino 5-2: la gara del Principe
All’andata della finale di Coppa Italia avevamo perso 3-0, avevamo i due portieri squalificati... Davanti a 80.000 romanisti finirà 5-2 con tre rigori e un palo di Giannini

Il giorno dopo questa partita assurda, incredibile, romanista, fra la Roma e il Toro - che è sempre una sfida che ha a che fare con la storia e il prestigio - un giornalista torinese ha scritto questo:
L’ultima mezz’ora è stata l’assalto a un muro sbrecciato. La Roma si è fatta straordinaria, grandissima, violenta come un temporale d’estate. Così bella da far piangere di gioia la sua gente. I granata hanno giocato gettando le ultime once di energia. Soltanto un Dio padano può spiegare come hanno fatto a salvare con il 5-2 l’esilissimo filo che li teneva legati alla loro Coppa Italia…
Lo ha scritto un giornalista torinese che stava allo stadio il 19 giugno 1993, non un romanista. Perché nessun romanista il giorno dopo aveva voce o parole o preghiere: aveva lasciato tutto all’Olimpico.
“Soltanto un Dio padano può spiegare” come il Toro abbia vinto quella Coppa, mentre noi no, né il giorno dopo, né adesso, né mai sappiamo spiegare cos’era quello che ci aveva spinto a riempire l’Olimpico nell’impresa pressoché impossibile di rimontare lo 0-3 dell’andata del Dell’Alpi; nemmeno adesso sappiamo cos’era quella cosa che ci ha spinto a crederci prima di iniziare tanto da scrivere «certi di farcela, annientiamoli. Insieme si può»; nemmeno adesso sappiamo cos’era quella cosa che ci aveva spinto a colorare tutto lo stadio, a far accendere e a girare decine e decine di girandole pirotecniche all’ingresso in campo delle squadre; nemmeno adesso sappiamo cos’era che ci ha portato in vantaggio certi di aver iniziato a scrivere una pagina memorabile, e soprattutto cos’era quella cosa che, dopo il primo e il secondo pareggio di Silenzi (all’ultimo minuto del primo tempo), a crederci persino più di prima, anche se sul 2-2 e con quarantacinque minuti in meno rispetto all’inizio sarebbero serviti 4 gol per alzare la coppa.
“Soltanto un Dio padano può spiegare” come il Toro abbia vinto quella coppa, nessuno riuscirà mai a spiegare come ci credevamo, come tifavamo malgrado giocassimo in porta con un ragazzino, Fimiani, per colpa di assurde e invisibili squalifiche per le partite di andata e ritorno della finale ai primi due portieri, Cervone e Zinetti, nel tunnel del post partita della semifinale Milan-Roma. Cervone che al Diavolo all’ultimo minuto aveva parato un rigore a Papin, facendo strillare in radiocronaca ad Alberto Mandolesi: “Dio c’è”. Ecco, forse soprattutto quelle squalifiche un dio padano le può spiegare, in un momento in cui politicamente eravamo debolissimi, dopo la morte di Viola, i problemi giudiziari di Ciarrapico e il passaggio della società appena formalizzato alla coppia Mezzaroma-Sensi.
Ma nessuno può spiegare quello che è successo quando Mihajlovic ha segnato la punizione del 5-2, proprio lui, il Sinisa romanista che era venuto dalla Stella Rossa campione d’Europa allo slogan «ne segno due su tre», e invece in tutto l’anno ne aveva fatti solo due e quella era il secondo (il primo in un Brescia-Roma di campionato utile solo per la storia: l’esordio di Totti). Nessuno può spiegare soprattutto le lacrime di Giuseppe Giannini dopo il palo che avrebbe significato il 6-2, dopo i suoi tre rigori segnati, tre su tre, e una partita immensa, totale, forse la più grande in tutta la sua carriera. “Forse soltanto un Dio pagano può spiegare” come quella Coppa sia finita al Toro, e in fondo a noi va bene così: perché tutti, quella sera e il giorno dopo, ci siamo stretti stretti attorno alla Roma e al nostro «dimmi cos’è» che si chiama Roma, ma che nemmeno un dio può dire.
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