Losi, la Roma fa 90
Oggi Giacomino avrebbe compiuto novant’anni. Pochi hanno rappresentato e onorato questa squadra e i suoi tifosi come lui: esempio di correttezza, umiltà e romanismo

(IPA)
Giacomo Losi. Ex staffetta partigiana, figlio di un uomo che per le sue idee politiche venne portato per due anni nei campi di lavoro, venne a Roma nel 1954. È diventato “Core de Roma” perché durante “Canzonissima” Walter Chiari lo chiamò così per la prima volta, non per quello che ha fatto vedere nella partita in cui veramente ha giocato col cuore: l’unico muscolo che praticamente gli era rimasto. È l’8 gennaio 1961, Roma-Sampdoria, sempre un po’ il giorno prima (il 9 gennaio del 1977 in una Roma-Sampdoria nascerà il più grande cuore che Roma abbia mai avuto: il Commando Ultrà Curva Sud) partita importante, fino a due settimane prima la Roma era prima, adesso xiv giornata è seconda a due punti dall’Inter. Si gioca all’Olimpico. Piove. Poi uscirà il sole. Losi per anticipare Brighenti allarga la gamba, ma apre troppo, si fa male. Strilla. Resta a terra. La faccia è una smorfia, si è strappato l’inguine. Deve uscire. Dovrebbe. Gli fanno un’iniezione di novocaina, gli mettono una fascia elastica, fanno fatica anche a rialzarlo. Si rialza. Non esce, ma non perché non ci siano le sostituzioni piuttosto perché «io per la Roma giocavo anche da morto». Guarnacci intanto si è rotto una gamba. Lo devono portare via in spalle. La Roma è in dieci, con Losi che a malapena zoppica. Si mette all’ala destra. Più che altro incoraggia i compagni. La Roma non si sa come va in vantaggio con Lojacono, poi tutto va secondo logica: 1-1, 2-1 per la Samp gol di Cucchiaroni e di Brighenti. Manca un quarto d’ora alla fine. Manca anche di meno quando Pedro Manfredini si trova il pallone buono per il pareggio, si allarga, sembra sprecarla e invece incrocia il 2-2. A quel punto la partita diventa un’altra cosa, siamo in quello stato particolare dove i ragionamenti non servono, dove capisci solo che si può fare e che anzi si deve fare. «A quel punto noi, la gente, l’Olimpico volevamo vincere». La Roma in nove giocatori più Losi va all’attacco sotto la Sud. C’è un angolo, Lojacono lo indirizza al centro dove c’è pure Losi che però non può fare molto su quel pallone, e in teoria quasi niente su qualsiasi pallone in quella partita: si è strappato l’inguine, zoppica; Mino non è mai stato così piccolo come quando Lojacono va a battere il secondo calcio d’angolo consecutivo dall’altra parte: bandierina che divide il Distinto Monte Mario dalla Sud.
Quando Lojacono attraversa il campo, Losi gli dice: «Cisco, tiralo come quell’altro verso di me». «Ci provo». Ci riesce. Nessuno sta razionalizzando niente: la Roma in nove più Mino sta cercando di battere un calcio d’angolo non verso Charles, Piola o Meazza, ma verso un difensore alto un metro e 68, che ha l’inguine strappato, zoppica, gioca da sei anni in serie A e non ha mai segnato un gol. Mai. Fino a quel momento. Esce il sole. La maglia rossa numero 8 di Lojacono si tira nel calcio forte dritto per dritto verso il centro dell’area piccola, dove c’è il piccoletto. Forse se lo sono scordato, forse non l’hanno calcolato, quello zoppica, quello è uno stopper, quello è Losi. Sì quello che non si sa come fa piede perno con la gamba buona, salta con tutte e due le gambe più in alto dei difensori anticipando l’uscita di Sattolo, è Losi. Quello che colpisce di testa, girandola, mettendola sotto la traversa e che poi impazzisce è Losi. Salta con la gamba dolorante, Orlando se lo abbraccia, lo tira su a due mani, lui alza al cielo le due braccia: è un’esultanza così pura, così semplice, così intensa, così spontanea...Così Roma. Sembra una scena dell’Attimo fuggente con l’Inno alla gioia e il professor Keating portato in trionfo dai suoi alunni nei boschi. Carpe diem. Carpe diem significa quello che è appena successo a Roma l’8 gennaio 1961. Credo che Losi su quell’attimo talmente breve da diventare fisso sia saltato – bucando qualcosa – fino a prendere un gancio in fondo al cielo dove, come un quadro famoso, è ancora appeso. È la Cappella Sistina del nostro sentimento una partita come quella.
Losi viene ricordato soprattutto per questo e per una fedeltà assoluta alla Roma (386 partite, un’ammonizione, nell’ultima giocata contro il Verona) ma quando mi è capitato, più di una volta, di chiedergli a cosa teneva di più lui ha sempre risposto così: «A parte i tifosi? Alla Coppa delle Fiere. Non toccatemela quella coppa». Non toccategliela. Non toccatecela. Chi dice che era una coppa a inviti o di poco conto è il ventriloquo di qualcuno che ci vuole male, era una coppa a cui bisognava fare domanda per iscriversi e ogni città poteva avere solo una squadra. La Lazio l’ha fatta solo quando la Roma era in Coppa delle Coppe, la Juve l’ha persa due volte in finale. Organizzata dalla Fifa, la Uefa faceva parte del comitato organizzatore prima di trasformarla direttamente in Coppa Uefa e poi in Europa League.
Quando entrate al museo del Barcellona la prima cosa che trovate, sulla destra, sono le Coppe delle Fiere vinte. Ci tengono al Barça, certo non come ci teneva Giacomino Losi, in particolare quel giorno che giocò il ritorno della semifinale con l’Hibernian anche se 24 ore prima era stato in Nazionale. Giocò e sul 3-3 salvò la Roma dalla sconfitta fino a portarla alla terza partita di spareggio vinta 6-0 contro gli scozzesi e ad alzare la coppa. Due a due a Birmingham, doppietta di Manfredini e mille parate di Ragno Nero Cudicini. Al ritorno anche se è mercoledì pomeriggio e c’è lo sciopero dei mezzi, in uno stadio pieno e innamorato un autogol e una rete di Pestrin proprio all’ultimo minuto ci danno il nostro primo trofeo europeo. Una gioia profonda. È l’11 ottobre 1961, dovremo aspettare 61 anni, Mourinho e Tirana per vincerne un altro. Per far contento Giacomo Losi che oggi avrebbe compiuto 90 anni, pure se è eterno.
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