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Olimpico Giallorosso: Roma vinci per noi, per gli Ultrà

Con questi cori qui. Una Curva Sud “vecchie maniere” trascina la squadra. Tifo martellante, bandiere, tamburo e megafono. Fino all’abbraccio finale

, di LaPresse

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30 Settembre 2018 - 10:31

La curva e la squadra. Una cosa sola. Una vittoria di uomini, una vittoria di cuore. Così si gioca un derby e così si vince. Era la risposta che la gente di Roma si aspettava. Perché magari andare in ritiro ha fatto pure bene e dopo Bologna è scattato qualcosa nella squadra, l'ha detto il capitano, De Rossi. Uno che sa bene che nella testa dei tifosi non c'è niente che debba scattare, perché è scattato nel momento in cui si è nati tifosi della Roma. Perché i tifosi sono quelli che restano. Quei pazzi che venite a cercare, voi giocatori. Quei pazzi che vi vengono a cercare. Quelli "vecchie maniere" che ieri hanno popolato una grande Curva Sud. E che hanno trascinato la Roma, determinata e martellante, come il tifo proveniente dalle loro spalle. Anzi, dal loro fianco. Undicesimo, dodicesimo, tredicesimo in campo e così via. Con le bandiere al vento, come un vanto. Con i colori di Roma. E un tamburo, grosso come il cuore dei tifosi romanisti. E un megafono per gridare davvero "Forza Roma".

Una Curva Sud tutta piena ha atteso dall'apertura dei cancelli fino all'inizio della partita tenendo alti e arrotolati i nuovi bandieroni. Come a dire: «Aspetta e vedrai». E finché vedrai, sventolar questa bandiera.

Cori personalizzati durante il riscaldamento solo per Daniele De Rossi, beccato come sempre dalla tifoseria biancoceleste. Tutt'attesa. Fino all'entrata in campo delle squadre quando s'è alzata, anzi, innalzata la coreografia della Sud. «Giallorossa al ciel s'innalza... è lei che fa la storia!!!», lo striscione. E tanti bandieroni: alcuni, molti, semplicemente gialli e rossi, altri bianchi, con i simboli della Roma: lo stemma, il lupetto di Gratton, la scritta ASR, e le classiche grandi bandiere di sempre. Una coreografia old style, accompagnata da cori "vintage", soprattutto all'avvio. «Quando al vento si alzeran le bandiere, i tamburi a suonar torneran, un sol grido allor si alzerà: Roma vinci, per noi, per gli ultrà». Un canto tornato in voga e che resta nelle orecchie come l'emblema di questo 3-1 sui dirimpettai. Un urlo salito alla metà del primo tempo, dopo qualche difficoltà della squadra: «Voglio vincere e cantar per te». Incessante fino al cooling break. Tutto fa derby. «SS Lazio 1900: Elite, nobiltà, gloria... cui non parla la storia!», recitava uno striscione nella parte bassa a destra della curva. La stessa che ha metà tempo ha ironizzato su qualche problema che la tifoseria biancoceleste ha recentemente avuto con i ferraresi: «Gambe in Spal». Il gemellaggio con i madrileni del Frente Atletico e con i greci, quelli veri, del Panathinaikos (presenti in Sud).

E poi le bolge: dopo il gol di Lorenzo Pellegrini, ancora un tacco, ancora sotto la Nord (che esponeva inutilmente un grosso stendardo del Liverpool). «Canteremo fino alla morte...» ha aperto la ripresa e «Forza Roma facci un gol», per farci star tranquilli. Fino all'errore di Fazio che ha rivitalizzato una squadra apparsa casuale ieri. Ma per fortuna qualche volta il dio del derby si ricorda di esistere ed è successo che Aleksandar Kolarov ha sfoderato la sua specialità. Bolgia Olimpico, bolgia Roma, perché quello di ieri era solo un derby da vincere. E da festeggiare insieme, con la squadra che ha applaudito a lungo la Sud e lo stadio. Abbracciandosi ancora, per un derby che, come numeri, non è stato da record sugli spalti. Perché, pochi ma buoni, l'hanno visto 37.600 gli spettatori paganti, esattamente divisi a metà tra abbonati e biglietti venduti. Per la cronaca, nessuna coreografia per la curva Nord per una polemica interna.

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