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Lorenzo magnifico e Fonseca maratoneta: la Roma prima di tutto

Pellegrini protagonista e capitano in pectore, ora sta provando a mediare tra Dzeko e il portoghese. Il tecnico è terzo, ma è il meno osannato della Serie A

A sinistra l'esultanza di Pellegrini dopo il 4-3 allo Spezia; a destra la corsa del tecnico verso la squadra per festeggiare, di LaPresse

A sinistra l'esultanza di Pellegrini dopo il 4-3 allo Spezia; a destra la corsa del tecnico verso la squadra per festeggiare, di LaPresse

25 Gennaio 2021 - 07:30

Un fine settimana da Dio. Non è il titolo di una commedia americana, ma la descrizione sintetica degli ultimi dieci giorni di Lorenzo Pellegrini e della Roma. Sì, perché il numero sette di Cinecittà, protagonista di Roma-Spezia con il gol della liberazione al 92', ieri mattina ha presenziato insieme alla moglie Veronica e la piccola figlia Camilla alla messa celebrata in Vaticano da monsignor Fisichella, che poi ha anche consegnato al centrocampista giallorosso una Bibbia speciale all'interno della Basilica di San Pietro. Lorenzo e famiglia hanno avuto modo anche di incontrare Papa Francesco, per «una giornata indimenticabile», come ha scritto la moglie del giocatore sui social. Insomma, una benedizione. Come quella arrivata sul campo all'epilogo di una settimana a dir poco travagliata per la squadra giallorossa. Non era facile rialzare la testa dopo i polveroni scatenati dalla sconfitta nel derby della settimana precedente e l'eliminazione dalla Coppa Italia subita ad opera della squadra di Italiano con la "ciliegina" sulla torta del caos per i sei cambi effettuati da Fonseca e la lite tra Edin Dzeko e il tecnico portoghese e gli strascichi ad essa connessi.

Pellegrini ha sentito forte la responsabilità del ruolo che ha, capitano in pectore, presente o futuro che sia, lui è romano e romanista e ha messo il cuore e non solo dentro le scarpe sabato pomeriggio nella rivincita di campionato contro gli spezzini. Legato a Dzeko, del quale è buon amico, e legato a Fonseca, che lo farebbe giocare sempre e ovunque (anche al posto di un big come Pedro), non si è certo schierato, se non con la Roma. Era uscito esausto dalla gara di Coppa Italia, lui che aveva anche provato in tutti i modi a evitare l'onta dello 0-3 a tavolino ed era stato fra i migliori anche in quella folle partita. Aveva detto al tecnico di voler stringere i denti per la partita di campionato, specie guardando a tutte le assenze che avrebbe avuto la squadra dalla trequarti in su. Ha giocato con un problema al flessore e una fasciatura elastica, ha dato quantità e classe, fatto assist e segnato, anzi no: l'ha magicamente risolta e nel modo più bello per qualsiasi tifoso. Nel tempo di recupero.

Già, il recupero. Ha recuperato la Roma, il gruppo dopo i tormenti e i confronti dei giorni precedenti, tutto in un abbraccio, non tanto Fonseca, che numeri alla mano non è che abbia così tanto da recuperare: sarà pure l'allenatore meno osannato e mediatico della Serie A, ma con tutte le ombre di stimati colleghi che gli son state proiettate addosso è a cinque punti (sul campo, sei a tavolino) dalla prima in classifica, oltre ad essere l'unico tra gli allenatori imbattuto in casa nel girone d'andata (solo quattro volte dal 2008-2009 la Roma ha virato meglio di questa stagione). «La Roma è trattata come una squadra ultima in classifica ma non è così», ha detto a margine di Roma-Spezia.

Un maratoneta, don Paulo, uno che vuole arriva fino in fondo, anche oltre la bandierina del calcio d'angolo per abbracciare i suoi giocatori. Gli hanno detto che è algido, ma come libera le emozioni davanti alle ingiustizie, come sarebbe stato pareggiare con lo Spezia sabato pomeriggio. Basti poi ricordare come le ha cantate a certi arbitri quando non hanno rispettato la Roma. Focalizzato com'è sul proprio lavoro, sempre equilibrato e discreto nelle dichiarazioni e poco attento a dare titoli a chi scrive. Neanche su un caso spinoso come quello legato alla discussione con Dzeko. Un altro "recupero" che si rende in qualche modo necessario per motivi economici di tutte le parti in causa ma soprattutto per il bene della Roma, che ha perso uno degli obiettivi stagionali che era la Coppa Italia, ma ne ha ancora altri due: tornare in Champions e onorare, andando avanti il più possibile, l'Europa League.

C'è chi assicura che anche in questo senso si sta spendendo Lorenzo Pellegrini, che già ha fatto da collante in passato tra il bosniaco e la società: i due passano parecchio tempo insieme anche fuori dal campo, abitano vicini e in queste ore non è difficile immaginare che i due si stiano chiarendo e schiarendo le idee su quanto è successo e su quanto ancora potrà accadere nel delicato rapporto tra il tecnico portoghese e uno dei giocatori più forti della storia della Roma. «Gli screzi si risolveranno, ne sono sicuro, siamo una famiglia», ha detto Lorenzo sabato in occasione delle interviste dopo la vittoria contro lo Spezia. La Roma prima di tutto, allora. Lo sa bene Pellegrini, che Dzeko o non Dzeko, quella fascia un giorno sarà sua (magari anche prima del previsto, ma questo è un altro capitolo della storia). Perché il comandamento è uno solo: la Roma viene prima di tutto. E adesso che la squadra giallorossa è lì, subito dietro le milanesi che guidano la Serie A, sarebbe autolesionistico non (ri)trovare la quadra. Specie dopo una partita che deve essere la chiave per la continuità, come ha lasciato intendere il tecnico dopo aver incassato i complimenti di Italiano, appena sconfitto per 4-3. La Roma, il club e Fonseca, Dzeko, Pellegrini e il gruppo si lascino allora ispirare da quello che potremmo chiamare il terzo comandamento.

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