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il bosniaco

Edin torna Dzeko. Goal e applausi

Non solo la doppietta, giocate tra il nove e il dieci e spirito di sacrificio difensivo. Dialoghi d’autore con gli altri veterani

, di LaPresse

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19 Ottobre 2020 - 08:00

Criticatelo. Fischiatelo. Spernacchiatelo. Insultatelo. Ripudiatelo. Lui vi risponderà così. Con una partita sontuosa che rimane tale anche se l'avversario di nome faceva Benevento.

Pensate, diciamo questo non tanto per i due gol realizzati, ma per tutto il resto che ci ha fatto vedere con quei piedi baciati dagli dei del calcio, per quella virtù di essere anche numero dieci capace di vedere cose ad altri negate, dominatore della fase offensiva paradossalmente anche quando non riesce a mettere in pratica il pensiero calcistico che il suo cervello ha partorito. Lui non può essere altri che Edin Dzeko che, poi, in questa stagione, ai suoi fianchi ha altri due tipetti come Pedro e Mikhytarian che tecnicamente parlano e pensano lo stesso calcio del bosniaco. Cioè quello dei campioni. Ma è soprattutto attraverso Dzeko che passano i sogni per centrare uno dei primi quattro posti, quelli buoni per tornare in quella Champions League che ci manca tanto. Sia chiaro, non vogliamo sminuire nessuno. Del resto come si fa con Pedrito e la sua faccia eternamente giovane, uno che ha una bacheca che magari ci fosse pure a Trigoria. O, anche, come l'armeno che sa disegnare calcio come pochi, alle spalle anni di carriera ai massimi livelli, gol e assist in quattro campionati. O, pure, aspettando Smalling e il ritorno di Zaniolo, come Lorenzo Pellegrini, tornato dalla Nazionale con quella fiducia che gli serviva per tornare a far capire, anche ai più capoccioni, che può garantire un calcio di primissima qualità, aveva solo bisogno di una scintilla, l'ha trovata in azzurro. Tutto vero, e la cosa non può che farci piacere, ma senza quel pennellone bosniaco là davanti e pure dietro, in grado di svariare per tutto il fronte offensivo, i sogni Champions rischiano di rimanere tali.

Per un semplice motivo. Perché è vero che qualche gol se l'è mangiato, qualcuno pure clamoroso, che qualcun altro se ne mamgerà, ma Edin il pallone lo butta dentro come pochi, è una garanzia in questo senso, c'è una carriera ultradecennale a testimoniarlo, Bundesliga, Premier, serie A, nazionale, il bosniaco ha segnato, tanto, sempre e comunque, con una continuità che è stata ed è di pochi. Forse qualcuno nelle settimane scorse se lo era dimenticato, ma tutto questo lo ha fatto pure con la nostra maglia. Basta ricordare i numeri: con la doppietta di ieri sera al Benevento, a cui in tre partite ne ha fatti cinque, Edin ha ripreso la sua scalata nella classifica dei cannonieri della nostra storia. Centootto. Ditelo ad alta voce, scoprirete che suona tondo, importante, irreversibile. Ora è quarto da solo in questa classifica, ha staccato di due reti un mito come Volk, portandosi a sole tre lunghezze dal terzo posto occupato dal Fornaretto, Amadeo Amadei, il numero nove del primo scudetto. Non crediamo di dire un'eresia sostenendo che quel terzo gradino del podio sarà raggiunto nelle prossime settimane, poi ci sarà tempo per pensare al secondo posto, bomber Pruzzo a centotrentotto, e lì ci si deve fermare perché medaglia d'oro di sempre è quello con il Dieci irraggiungibile da qualsiasi umano a quota trecentosette. Gli ultimi due ieri sera il bosniaco ce li ha regalati di destro, il primo più difficile di alcuni che aveva fallito nelle prime partite, con un tiro a rientrare che si è andato a infilare nell'angolino più lontano, il secondo facile facile a porta vuota, servito da Mikhytarian che aveva ricevuto il pallone dopo una giocata di qualità di Villar (ci sbaglieremo, ma ‘sto ragazzino ogni volta che va in campo ci fa vedere qualcosa d'importante).

Sono stati i primi gol di Dzeko in questa stagione. Non saranno certi gli ultimi. E sono stati due gol importanti perché probabilmente ci garantiranno sin dalla prossima partita l'Edin vero, quello di nuovo dentro e al centro della Roma. Era fondamentale recuperarlo dopo quell'inizio un po' così, due partite con la Roma (a Verona stava in panchina e sapete perché) e altrettante con la sua nazionale senza gol, un'eternità per uno come lui abituato a una certa confidenza con la porta avversaria. Del resto per la terza volta, dopo il Chelsea e l'Inter lo scorso anno, in estate era stato venduto, stavolta alla Juventus, poi le cose sono andate in un'altra maniera e il bosniaco, siamo pronti a scommetterci, ha avuto bisogno di tempo per metabolizzare tutto quello che era accaduto. Perché è vero che lui aveva trovato un accordo con i campioni d'Italia, ma è ancora più vero che la Roma comunque lo aveva venduto, ripetiamo per la terza volta, conseguenza di esigenze economiche che sono sotto gli occhi di tutti. Ecco, proprio per questo, i due gol di ieri sera ci hanno riconsegnato il campione bosniaco, quello che può più di chiunque altro alimentare i nostri sogni. E per questa ragione, quando giustamente Fonseca lo ha richiamato in panchina a una manciata di minuti dal novantesimo, ci hanno fatto un piacere enorme gli applausi dei mille tifosi presenti nel deserto dell'Olimpico. Se conosciamo un po' il bosniaco, quegli applausi sono stati più importanti della doppietta. Perché ce lo hanno riconsegnato per quello che è, un campione.

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