AS Roma

Imparare a essere Soulé

Il talento argentino che sta imparando a riconoscersi mentre la Roma cambia con lui. E il confine Dybala, da affrontare e superare

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Lorenzo Paielli
26 Novembre 2025 - 17:32

C’è qualcosa di (più) grande. La sensazione percepibile in maniera viscerale ogni volta che Matias Soulé abbia il pallone tra i piedi, è che possa accendersi qualcosa, accendersi la luce. A volte, quasi paradossalmente, lascia ancora spazio a un’ombra: l’inconsapevolezza, quella del ragazzo di Mar del Plata, di non aver tuttora chiaro il potenziale assoluto della propria classe. Ma è tutto sotto controllo. Trust the process. Non è solo un concetto astratto, fine a se stesso. Anche perché Soulé di prove e di risposte, finora, ne ha date, nitide e illuminanti.

Non è solo estetica, è talento messo in atto nei fatti concreti. A partire dal raggiungimento (in 4 mesi) dello stesso numero di gol messo a referto nella scorsa stagione (5, insieme al primo gol europeo in giallorosso). Oppure il primo posto nella classifica dei marcatori e degli assistman della Roma stagionali; la vetta in solitaria anche nei dribbling tentati rispetto al resto dei compagni, il primato (condiviso con Papa Gueye) dei gol siglati da fuori area (ben 5) nei maggiori cinque campionati europei da inizio 2025.

Restano diverse le cose su cui lavorare, i confini da superare. Un po’ come la Sindrome di Stendhal che Mati sembra accusare quando si ritrova a condividere il campo insieme al suo idolo, Paulo Dybala. In sua assenza, Soulé resta più al centro dell’azione, dell’attenzione dei compagni. Con Paulo in campo, inevitabilmente, si traveste da aiutante, agendo un po’ più nell’ombra.

Ma se la realtà è in continua trasformazione, allora è tutto parte di un percorso ben delineato. Basta percorrerlo, con lo stesso spirito di sempre. La maturazione completa passa soprattutto nel saper essere Soulé anche con la Joya al proprio fianco, nella stessa porzione di campo o meno. E magari continuando a rubare con gli occhi tutto il possibile. Tutta esperienza da sperimentare sulla propria pelle.

Ma la crescita già più che evidente, invece,  non è dovuta solo alla sapiente gestione di Claudio Ranieri prima, oppure al lavoro quotidiano fondamentale di Gian Piero Gasperini dopo.

Era già tutto previsto: è nella voglia, nella necessità e nel dovere di fare ancora di più. È nella purezza incontaminata del talento, nella ricerca quasi spasmodica della giocata, nell’essenza del calcio. O almeno del suo modo di viverlo, di interpretarlo. Quello di Mati è un destino leggibile anche solamente nello sguardo, poi disegnato attraverso quel mancino che ha ancora tanto, se non tutto, da raccontare. Da scoprire, insieme.

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